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Allestimenti

Grace under Pressure

Walter Aprile e Massimo Banzi



Il progetto qui presentato è quello risultato vincitore della consultazione in due fasi -D40_2 promossa dalla Direzione Generale per l'Architettura e l'Arte Contemporanee e volta a selezionare, tra le proposte inviate da architetti under 40, l'installazione dell'Infospazio DARC alla 8a Mostra di Architettura della Biennale di di Venezia. Il progetto Grace Under Pressure, presentato da Cliostraat e dall'Interaction Design Institute di Ivrea e ospitato nel Padiglione Venezia della Biennale, è stato scelto per le sue caratteristiche di "significatività, fattibilità, funzionalità e adattabilità". ARCH'IT intende qui dar voce agli autori stessi di questa interessante proposta progettuale. Con il loro personale contributo, Walter Aprile, Massimo Banzi e Stefano Mirti illustrano gli aspetti più significativi dell'allestimento dell'Infospazio da loro previsto e fanno così partecipe il lettore, oltre che del coinvolgente richiamo del loro progetto, anche degli inconvenienti tecnici e delle difficoltà pratiche alle quali sono andati incontro nell'affrontare il complesso tema dell'installazione interattiva, durante le fasi di progettazione, prototipazione ed esecuzione del progetto. [PG]





Foto di Ivan Gasparini.

La foto è bella, ma in quale modo ci si arriva? In questo articolo vorremmo dare conto del processo mediante il quale abbiamo costruito l’installazione interattiva rappresentata qui sopra. È stato un processo possibile e si può fare molto meglio; ci sembra che possa aggiungere qualcosa alla viva discussione contemporanea sul rapporto tra architettura e tecnologia.



[04oct2002]
CONTESTO. Grace under Pressure è un progetto che nasce dal concorso -D40_2 bandito dalla Direzione per l'Architettura e l'Arte Contemporanee (DARC) (http://www.darc.beniculturali.it/) del Ministero per i Beni e le Attività Culturali (http://www.beniculturali.it/). Il DARC si impegna in varie attività, tra cui concorsi e mostre; su di esse ha dei notevoli materiali scritti filmati e fotografati da proporre. La Direzione esiste però da poco, ed ha molto interesse a farsi conoscere. Come l'anno scorso, il concorso –D40 (di cui questa è la seconda edizione) ha come tema la trasformazione in infopoint di una stanza di 5 x 6 x 4 metri nel padiglione Venezia della Biennale. Budget a disposizione: 60.000 euro. Tempo a disposizione: due mesi (di cui il secondo è agosto in cui notoriamente tutto è chiuso e nulla funziona).



IL NOSTRO PROGETTO E LE CONDIZIONI AL CONTORNO. Il progetto presentato in fase di concorso è all'incirca così:





> RELAZIONE


La relazione si abbandona ad un certo ottimismo sulle nostre capacità di fare funzionare effettivamente il tutto. Di molti dei componenti abbiamo solo notizia attraverso pagine web. Wishful thinking che non è normalmente praticato in architettura; contiamo di riuscire ad installare Linux su questi computerini. Crediamo che i touch screen funzionino anche appesi a fili metallici lunghi quattro metri. Siamo realmente convinti di poterli usare per presentare immagini.
Sappiamo che ben presto dovremo scendere a un livello di dettaglio che, in questa fase iniziale del progetto, ci sfugge almeno in parte.

Il fatto di non avere in mano tutti i pezzi, in realtà, è del tutto normale nel mondo dell'alta tecnologia. In questo momento le ditte di software stanno sviluppando dei programmi che non gireranno sui computer di oggi, ma su quelli che saranno disponibili tra 1, 2 o n anni. In un mondo in cui il time to market salva o perde le aziende, non si può che operare in condizioni di incertezza.


Come gruppo di progetto e sviluppo, abbiamo un'acuta percezione dei rischi legati allo sviluppo del software. Si parla di Ingegneria del Software (ci sono anche corsi universitari sull'argomento), ma si dovrebbe in realtà parlare di Arte del Software.

Se non abbiamo ancora in mano tutta la conoscenza, abbiamo però (da tecnologi) la capacità di adattare la tecnologia al progetto; ad ogni momento, tra le varie soluzioni possibili, dobbiamo scegliere quella che è sensata e permette di arrivare al 4 settembre con il sistema funzionante.

In altri termini, non è che non siamo capaci di fare qualcosa perché non abbiamo studiato abbastanza a scuola – il problema è che quel qualcosa non lo ha mai fatto nessuno, almeno non proprio così. Tra l'altro, se qualcuno lo avesse già fatto non sarebbe più tanto interessante e si potrebbe comprare e installare, proprio come si fa con un sistema di condizionamento, un pavimento di gres, o un sistema software per fare le paghe.

Insomma, partiamo per questa sfida con lo spirito di chi si accinge a circumnavigare il globo; ci attendono oceani tempestosi e tempeste impreviste. La nostra nave è solida, e l'equipaggio è esperto. Il gruppo di progetto, in effetti, è composto da persone che, nei loro ambiti, hanno accumulato una cospicua esperienza professionale – il lavoro a Interaction Design Institute Ivrea ci ha riuniti, e l'esperienza quotidiana ci ha convinto che siamo in grado di portare a termine il progetto.

Vediamo però che non siamo solo noi a esercitare il wishful thinking; tra i 14 progetti che arrivano alla fase finale della selezione ce ne sono diversi che suppongono un magico apporto tecnologico. "Qui c'è uno schermone interattivo... questa parte dell'ambiente reagisce ai movimenti del visitatore... dalla stanza parte un collegamento Internet che trasporta un segnale video streaming". Ma voi lo sapete che razza di problema logistico sarebbe farsi mettere un collegamento Internet serio in Biennale? O fare un sistema di riconoscimento dei movimenti?

È certo che il risultato sarebbe molto-molto-affascinante...

Viene dunque il sospetto che la tecnologia intersechi l'architettura in un territorio che può essere alternativamente noioso o terrificante, ma non "normale".

Torniamo al progetto: l'idea iniziale è quella dello spazio.






UNA MATRICE TRIDIMENSIONALE DI PICCOLI DISPLAY. O addirittura di piccoli computer. Il costo più o meno sta nel budget, il tutto è simpaticissimo. Su ognuno dei display mostriamo un progetto, un architetto o un concetto su cui il visitatore esprime la sua opinione. Un'interfaccia un po' come questa qui accanto.

I piccoli computer potremmo costruirli direttamente noi; abbiamo trovato una fonte di display (curiosamente è la parte più costosa dell'oggetto) a 10 euro al pezzo. Si accoppia il display con un singleboard computer su cui si fa girare Linux (http://www.linux.org). C'è un sito WWW dedicato a questo genere di operazioni, http://www.linuxdevices.com. Oppure si potrebbe usare l'Agenda VR3, un PDA a forma di Palm con uno chassis trasparente che ha già Linux a bordo.

Insistiamo su Linux perché sia Walter che Massimo hanno esperienza di sviluppo in questo ambiente. E poi Linux corrisponde molto alla nostra idea di simple tech; non costa niente, è tutto documentato e non richiede hardware costoso. Il distributore tedesco dell'Agenda VR3 avrebbe proprio un lotto di unità di cui vorrebbe molto disfarsi.
Tombola, ci diciamo.
Se Jean Nouvel spinge il visitatore al sorriso :-), questi premerà "yes". Se no, premerà "next" (che è anche il motto della Biennale), e gli verrà proposta un'altra scelta possibile.
Presentiamo questa idea al DARC. L'idea piace, però scopriamo che c'è una grossa priorità per il DARC; presentare le sue attività. Che sono molte; ci sono dei cataloghi di mostre, dei concorsi fatti, il fondo dei disegni di Carlo Scarpa e altre ancora. Sono già organizzate in alcuni videoclip, che sarebbe bene utilizzare.




Display.


Singleboard computer.
DESIDERATA SCONOSCIUTI. Però su questi display il videoclip proprio non funziona. Sono piccoli, molto piccoli. In bianco e nero, a bassa risoluzione, non ottimali per mostrare immagini con dettagli. Questo si potrebbe aggirare, però c'è un problema più profondo, legato allo spazio e alle attività umane.
In un momento dato ci sono, diciamo, tre display accessibili, uno quasi a terra, uno ad altezza d'occhio, uno che si raggiunge allungando il braccio in alto. Il quarto e il quinto in alto sono inaccessibili (male). Se possiamo immaginare il visitatore che si allunga o si inginocchia per premere un pulsante e votare, non possiamo credere che rimanga in una posizione scomoda per parecchio tempo guardando un videoclip.
Per cui di questi display, 20 ad altezza d'occhio hanno una funzione e gli altri (che poi sono la maggioranza) non si sa bene cosa facciano. Diventano decorazione. No-o-o-o, la tecnologia che diventa decorazione per noi sarebbe un fallimento.
Back to the drawing board, ripensarci e correggere.
Immaginiamo che i display siano di meno, più grandi, e a colori (e più costosi). Questo permette la visione dei videoclip con buona qualità anche da qualche metro di distanza; i display cessano di essere decorazione e ritornano funzione. Naturalmente (a questo punto siamo già a luglio avanzato) sorgono ulteriori problemini da risolvere.

Prima di tutto, i soldi. È vero che oggi si può comprare a distanza, e che in Europa non ci sono più problemi doganali. Però noi dai venditori italiani possiamo ottenere di differire il pagamento a 60 o 90 giorni. Il venditore straniero invece, in media, vuole essere pagato subito, anzi prima. Per limitare l'esposizione finanziaria, scegliamo di usare fornitori italiani.

Ed è proprio vicino a casa che troviamo un fornitore interessante e pieno di volontà di collaborare.Proprio ad Ivrea prendiamo contatto con Olivetti Tecnost (
http://www.olivettitecnost.it/), un'azienda del Gruppo Olivetti, che produce tra le molte altre cose un PC con schermo a colori e touch screen, l'Explor@, che si potrebbe ben adattare ai nostri scopi. Purtroppo però arriva (non di sorpresa) agosto, e Tecnost molto correttamente ci avvisa che non può garantire la consegna dei dispositivi nei tempi giusti.
L'unica maniera di arrivare in fondo degnamente è continuare a confrontare i desideri del committente con ciò che è fattibile tecnologicamente, i vincoli economici e l'aspetto estetico.
Ricapitolando:
- ci devono essere i videoclip (che tra l'altro sono molto belli)
- vogliamo mantenere l'idea dello spazio marcato da una matrice di display (anche perché quella è l'unica cosa che ci separa dalla solita stanza-buia-zeppa-di-computer.
- non possiamo usare per la matrice dei display di qualità elevata perché il budget non lo permette
Questi vincoli ci costringono a spezzare il sistema in due:
- computer-leggio con uno schermo a colori di dimensioni adatte a presentare i materiali video
- display sospesi nello spazio che diventano una più semplice riflessione dell'attività degli utenti.

I display vengono semplificati ulteriormente, e diventano delle immagini statiche fornite dal DARC e affini ai loro materiali video. La stanza è buia, quindi la soluzione più semplice usa delle trasparenze retroilluminate.
La prima idea è un pannellino di plastica trasparente che reca all'esterno l'immagine e contiene all'interno dei LED bianchi. L'effetto è quello giusto, e i LED sono una buona soluzione perché producono poco calore e sono alimentati a bassa tensione - questo faciliterebbe la costruzione e la certificazione elettrica. Un produttore interessante di LED bianchi è Nichia (www.nichia.co.jp), una ditta giapponese che esporta in tutto il mondo.



I LED, però, sono fonti puntiformi. Montandoli nel modo più banale ci vuole una camera d'aria per rendere uniforme l'illuminazione, montandoli lateralmente è un po' più complicato. Il vero ostacolo è che sono necessari 10 o 12 led per pannello, da montare su circuiti stampati. 100 pannelli, 1200 Led (che tra l'altro costano sui 1600 euro in totale, comprando i superbright a montaggio superficiale di Fairchild (http://www.fairchild.com), 2400 saldature: non abbiamo il tempo necessario.

Back to the drawing board, che potrebbe anche diventare il nostro motto.
Dati i tempi strettissimi ogni circuito elettronico deve essere realizzato con il minor numero possibile di componenti. Alla fine, come in ogni macchina, ogni componente è una cosa in più che si può guastare.
Commissionare il lavoro a una ditta sarebbe stato difficile, essendo ormai arrivato il simpatico agosto italiano in cui nessuno lavora tranne te. E poi, alcuni componenti del progetto sono così custom che si fa prima a costruirli che a descriverli.


A noi serve una fonte di luce piatta, fine, illuminata uniformemente, che non scaldi, di buona durata, economica.
Foglietti elettroluminescenti! Durante uno degli ennesimi brainstorming ci viene questa idea (un produttore è http://www.durel.com).

Sono sottili fogli di plastica flessibile e si illuminano quando vengono collegati a un apposito alimentatore elettrico. Vengono attualmente usati per illuminari i cruscotti di automobili di lusso e aerei - forse un po' cari, ma proprio la tecnologia giusta, il che soddisfa la nostra anima simple tech. L'elettroluminescente è per sua natura uniformemente illuminato e non si scalda quasi per nulla. In realtà emette luce solo da un lato, e noi vorremmo molto che le immagini fossero fruibili da entrambi i lati, quindi siamo costretti a inventarci un sandwich leggermente più complicato, di cui presento qui una schematica sezione:



L'isolante nel mezzo ci deve essere perché il retro di ogni foglietto elettroluminescente è sotto tensione. Attraverso il foglietto corrono anche due monofilamenti di nylon che si ancorano a terra e al soffitto; due strisce di materiale elastico mantengono il tutto sufficientemente teso. L'attacco a terra viene risolto dal punto di vista elettrico mediante una scatolina di derivazione con due connettori RJ-45 (http://www.rj45info.com) -uno porta il collegamento di rete al computer-leggio, l'altro porta l'alimentazione elettrica ai 4 pannelli elettroluminescenti. La soluzione permette di semplificare notevolmente il cablaggio complessivo. Sopra la scatola viene montato un illuminatore a LED blu, che rende visibile la base della colonna nella profonda oscurità della stanza.




Facciamo un rapido giro di consultazioni per vedere se questa cosa piace agli architetti tanto quanto soddisfa i tecnologi e ordiniamo un metro quadrato di materiale elettroluminescente (EL per gli amici) di diversi colori in fogli che poi taglieremo a misura.


Non abbiamo mai fatto prima un progetto impegnativo che utilizzasse materiali elettroluminescenti, e questo è pure il primo vero progetto che facciamo assieme, dobbiamo sforzarci di stare semplici.

La nostra esperienza di software ci insegna che nello stesso progetto non ci può essere più di una tecnologia nuova. One step at a time; la tecnologia di cui non si ha padronanza creerà problemi inaspettati.
Il materiale EL viene ordinato mentre costruiamo un prototipo della scheda elettronica che controllerà l'accensione dei vari pannelli. La scheda è necessaria per questa ragione: al computer è facile generare tensioni continue fino a 12 V- il materiale elettroluminescente, però, per accendersi ha bisogno di 110 V a 400 Hz – tutta un'altra cosa.

Per gestire questa tensione usiamo dei piccoli ed economici triac. Il computer controlla i triac, che agiscono come dei relais, e i triac lasciano o meno passare la tensione elevata necessaria ai materiali elettroluminescenti per accendersi.




 

Il prototipo serve per capire quanto dovremo soffrire quando arriva il materiale EL. Lo realizziamo con un'invenzione geniale e già un po' vecchiotta; la breadboard. Una scheda di plastica con tanti forellini messi alla distanza standard dei piedini dei componenti elettronici. Questi ultimi vengono montati a incastro e collegati rapidamente. Si possono sperimentare mille circuiti senza fare una saldatura.
Ora ci manca solo un pezzo, qualcosa che da un lato comunichi il server e dall'altro dica alle schede di controllo quali sono i pannelli da accendere.
Anche qui utilizziamo un componente molto semplice ma provato in mille situazioni diverse, il Basic Stamp (http://www.parallaxinc.com/ e http://www.artek.it/): in pratica un computer microscopico che sta in un chip e che si programma in BASIC, come dire il nostro vecchio Commodore 64 ridotto ad un francobollo postacelere con 24 zampette. Costa meno di cento euro, e comunque ne usiamo uno solo.



A questo punto i pezzi ci sono e ci accordiamo su come funzionerà il tutto.
Il visitatore vede un filmato sul computer-leggio. Non appena il video entra in riproduzione, parte sulla rete un messaggio al server. Il messaggio dice "Caro server, il leggio numero 3 sta mostrando il filmato numero 2, quello su Zaha Hadid".


Il server prende atto della cosa e modifica lo stato di una matrice di numeri che corrisponde, miracolosamente, alla matrice dei foglietti nella stanza. Il server sa che, al filmato numero 2, corrisponde il terzo foglietto della prima colonna della seconda fila, il primo foglietto della seconda... e così via, secondo qualche relazione significativa.
La matrice diventa il riassunto di tutte le attività di consultazione svolte nella stanza, e quindi contiene la traccia della presenza attiva del visitatore. Bisogna anche fare in modo che ci sia un decadimento temporale, la matrice deve dimenticare per poter imparare qualcosa.


Il problema successivo è quello di mostrare lo stato della matrice. In altre parole, se il video numero 3 viene riprodotto quattro volte in un'ora succederà che l'elemento della matrice che corrisponde al pannello elettroluminescente che porta l'immagine di Carlo Scarpa sarà nello stato 4 di 6 che ne sono possibili; ma nello spazio architettonico ancora non abbiamo detto che effetto mostrare (ovvero, quale effetto visivo corrisponda allo stato numero 4).
In principio, potremmo modificare l'intensità dell'illuminazione dei foglietti elettroluminescenti; l'elettronico del gruppo boccia l'idea perché è troppo complicato, ci vuole troppo tempo, e poi non si sa se il triac ce la fa. Gli altri progettisti non sanno bene cosa sia un triac, però credono sulla parola. Povero triac, anche lui ha i suoi problemi.


Ci sono dunque concessi solo due stati: acceso e spento. Rimane la possibilità di giocare sul tempo, cioè sul ritmo. Per esempio, potremmo dire che lo stato 4 vuol dire acceso per un quarto del tempo. Se, banalmente, acceso=1 e spento=0, allora si tratta di pompare fuori una opportuna sequenza di zero e uno, cioè di simboli binari; per esempio "1000100010001000..." E quando c'è da generare una sequenza di bit, c'è un modo molto rispettabile. Gli AUTOMI!

Senza entrare nel dettaglio di cosa siano gli automi a stati finiti, diciamo solo che sono pratici costrutti matematici che producono elegantemente e prevedibilmente sequenze di simboli. Ogni elemento della matrice ha il suo piccolo automa, che controlla il corrispondente pannello. Bisogna curare un po' anche il problema della concorrenza, cioè se diversi utenti fanno dei cambiamenti quasi contemporanei alla matrice non ci devono essere disastri. Se poi facciamo tutto usando protocolli alla Internet, la stanza si può anche controllare dall'esterno.

Se poi abbia senso che io da Poggibonsi faccia accendere delle lampade elettroluminescenti in una stanza che sta ai Giardini della Biennale, all'informatico tipo non interessa. Basta che sia possibile.

Dunque ricapitolando:

azione utente -> messaggio al server -> server cambia stato matrice-> automi nella matrice generano sequenze di bit -> sequenze di bit vanno alle lampade corrispondenti -> tutti contenti.

È solo con il senno di poi che notiamo che, in realtà, il software usato per i leggi avrebbe potuto essere Linux – infine il semplice multimedia che usiamo per mostrare i videoclip sarebbe potuto essere tutto HTML. Ma questo è strettamente un cruccio da informatici.




LEGGII. I leggii sono stati più semplici, relativamente parlando. Una volta messi in opera se ne è squagliato uno, così abbiamo capito che il raffreddamento non andava tanto bene. È stato necessario che Massimo comprasse in tutta fretta delle ventole extra, e montasse il disco duro nella posizione del pipistrello, che per fortuna non abbiamo fotografato.

Abbiamo usato due tecniche di modellazione che si sono rivelate molto utili.

MODELLO 1:1. All'inizio del progetto abbiamo costruito un modello 1 ad 1 dello spazio. In una stanza di dimensioni appropriate sono stati tirati dei fili dal soffitto al pavimento; sui fili sono stati montati dei cartoncini bianchi. Poi si è convinto Sergio a vestirsi da fantasma, in bianco totale. Il tocco finale è stato oscurare completamente la stanza e illuminarla poi con luce ultravioletta. Questo ha fatto sì che, senza neanche troppo lavoro finale di Photoshop, nelle foto e nel video inviato al DARC si vedessero solo i rettangolini luminosi e il modello che si aggirava tra di essi. Ci sembra che avere fin dall'inizio un modello discretamente corrispondente dell'ambiente rafforzi molto sia il progetto sia la sua presentazione.



MODELLO COMPUTAZIONALE. Usando Python (www.python.org) e l'estensione VPython (www.vpython.org, "3D Programming for Ordinary Mortals") abbiamo realizzato un modello tridimensionale interattivo dell'ambiente. Non si tratta però di un semplice rendering; questo modello computazionale può essere ruotato in tempo reale, e i vari elementi del modello cambiano di stato sotto il controllo dello stesso software che, nell'installazione reale, controlla l'ambiente fisico. In questo modo è stato possibile sperimentare diversi elementi dell'interazione molto prima di aver costruito i pannelli elettroluminescenti o i leggii. Sarebbe stato però improponibile lavorare in questo modo mediante rendering realizzati al di fuori del gruppo di progetto.





Il modello computazionale si è rivelato di fatto più flessibile di un'animazione o di un rendering, e ci ha permesso di sperimentare con parametri come il colore degli elementi elettroluminescenti, le loro dimensioni e soprattutto i loro comportamenti. Nella migliore tradizione del software libero (darc5.py) ve ne facciamo dono (però funziona solo se avete installato Python sulla vostra macchina). Python è un linguaggio di programmazione orientato a oggetti di concezione abbastanza recente – a noi piace parecchio. E costa esattamente zero euro.



TEMPI E ENERGIE. Il progetto richiede (dati i tempi ristretti) una serie di aggiustamenti successivi su diverse delle sue componenti. È stato assolutamente essenziale avere a Roma Sergio che potesse mantenere i rapporti con il DARC giorno per giorno e gestire produzione e lavorazione dei materiali video da mostrare.
Lo sforzo di comunicazione all'interno e all'esterno del gruppo è stato notevole, e si è manifestato sotto forma di ore al telefono e centinaia di mail da leggere e scrivere.
Lavorare a Venezia è ovviamente più complicato che altrove, per cui il nostro piano era di produrre il più possibile in laboratorio a Ivrea, e arrivare a Venezia con un sistema testato e pronto per l'installazione. Abbiamo però omesso di chiarire la cosa al DARC, che invece si aspettava un processo più "da architetti" in cui si va ogni giorno in cantiere a supervisionare gli operai; da qui una certa tensione verso la fine.



ALLA FINE COSA ABBIAMO IMPARATO? Abbiamo imparato che non è banale mettere assieme degli architetti con un informatico con la passione della fotografia, un elettronico con la passione per Eizenstein e un brianzolo con la passione per il dettaglio. Abbiamo imparato che fare questo genere di cose è faticoso, e che la parte tecnologica, oltre a richiedere un parecchie energie, tende a divorare la parte architettonica sia dal lato estetico sia da quello realizzativo.

Quello che sappiamo, invece, è che determinati problemi proprio non si possono risolvere con un processo elegantemente diviso in compartimenti stagni. Ben pochi elettricisti sono disposti a certificare la sicurezza elettrica di un sistema che usa dei materiali nuovi. Una gran parte del lavoro di installazione è stato fatto direttamente da noi –ma sarebbe difficile immaginare una soluzione diversa. L'attacco a terra che abbiamo mostrato sopra richiede che chi installa la rete si coordini con chi cura la parte elettrica, che poi intervenga chi attacca i fili di nylon e che poi si attivi chi mette la moquette. Tutta questa sinfonia richiedebbe dei disegni bellissimi e precissisimi, un manuale di istruzioni di 50 pagine e un trainining di un giorno. La soluzione reale è stata così: Brambilla ha spiegato come fare a Stefano a Matteo, e poi l'hanno montato tutti assieme.
Vorremmo pensare che, la prossima volta, saremo molto più bravi a gestire il processo, e nessuno si dimenticherà il server a casa, brucierà l'inverter o perderà per strada l'Adobe Trade Gothic. Però ci viene il sospetto che se si chiama cutting edge una ragione un po' sinistra ci deve essere.

Walter Aprile
w.aprile@interaction-ivrea.it

Massimo Banzi
m.banzi@interaction-ivrea.it





NOTA:

(questa la scrive Stefano che non sa nulla di computer-software-hardware). Essendo che la maggior parte di voi lettori siete architetti come me, alla fine di tutto questo non avrete capito praticamente nulla (tale e quale come è capitato a me & Matteo, trascinati per i capelli in questa avventura). Non vi preoccupate. È normale. Tutto sotto controllo. Houston we have a problem.
Volendo, per venirvi incontro (so bene che un sacco di voi lettori siete assatanati di tecnologie nuove) si potrebbero mettere gli indirizzi mail di Massimo/Walter/Sergio che –teoricamente– dovrebbero essere in grado di rispondere a ogni vostra possibile richiesta di delucidazione. Anche questa però è una strada che non porta lontano. Loro vi spiegheranno pazientemente cose che noi in qualità di architetti non possiamo strutturalmente comprendere.
Forse, l'unica maniera per cercare di spiegare realmente quello che abbiamo fatto è quella di invitarvi a Ivrea, curioso posto dove tutti noi abitiamo. Voi potreste venire a trovarci un pomeriggio, ci beviamo un te o un'aranciata in quel di Talponia, oppure vi invitiamo a pranzo nell'allegrissima mensa di Gardella, per poi farvi fare un giro per questo istituto in cui passiamo la gran parte del nostro tempo (e se non state più che attenti potremmo risucchiarvi nel prossimo progetto già in cantiere...).
Grace Under Pressure
Infospazio interattivo

NEXT - 8a Mostra Internazionale di Architettura
Venezia, Giardini di Castello

informazioni:
La Biennale di Venezia
Ca' Giustinian
San Marco 30124
Venezia
tel: 041 5218846
fax: 041 24 11 407
fossam@labiennale.com
http://www.labiennale.org

dall'8 settembre al 3 novembre 2002

esposizione a cura di:
Cliostraat e Interaction Design Institute Ivrea

progetto di:
Jeremy Tai Abbett, Walter Aprile, Massimo Banzi, Franziska Hübler, Stefano Mirti, Chris Noessel, Sergio Paolantonio, Matteo Pastore.
Cliostraat è un progetto collettivo nato a Torino nel 1991 sull'idea di un lavoro di gruppo sul territorio urbano, di una pratica capace di contaminare le procedure e le tecniche di osservazione dell'architettura e dell'urbanistica con quelle dell'arte, della fotografia, del cinema. In una sorta di anonimato individuale convivono in modo interdisciplinare forme espressive diverse indagando e producendo nuovi immaginari. Esperienze professionali su scala territoriale ed architettonica interferiscono con l'attività di ricerca e gli interventi temporanei in un continuo confronto con altri gruppi sia italiani che stranieri.

Interaction Design Institute Ivrea è un centro di ricerca e di formazione post-laurea unico in Europa, con sede a Ivrea (Italia), promosso e sostenuto da Telecom Italia ed Olivetti. L'Istituto, che ospita oggi 80 studenti e ricercatori da tutto il mondo, unisce design, cultura, tecnologia e impresa per progettare nuove modalità di impiego delle ICT.
> DARC
> CLIOSTRAAT
> INTERACTION IVREA
> LA BIENNALE DI VENEZIA
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La sezione Allestimenti
è curata da
Paola Giaconia


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