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Continuities
of the incomplete. Morphosis Teresanna Donà |
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In
una recente trasmissione radiofonica sul canale californiano KCRW, Edward
Goldman, conduttore della trasmissione Art Talk, ha raccontato le sue
impressioni sulle due mostre visitate a Parigi. Due mostre, aperte contemporaneamente
al Centre Pompidou, che celebrano la città degli angeli: Los
Angeles 1955-1985. The birth of an art capital e Continuities
of the Incomplete. Ma mentre la prima, a detta del commentatore,
è molto didascalica e accademicamente pesante, la seconda è
invece frizzante e coinvolgente per il pubblico. Molti complimenti vengono
spesi da Goldman per Thom Mayne, capace non solo di sedurre i visitatori
con un allestimento spiazzante e ironico (quanti architetti lascerebbero
che il pubblico cammini letteralmente sui propri lavori?), ma anche
di trasmettere tutta l'energia creativa che i singoli progetti presentati
contengono. Teresanna Donà ha visitato la mostra, scortata nel
suo sopralluogo dallo stesso Thom Mayne che le ha spiegato i criteri
espositivi adottati nella presentazione delle opere selezionate e la
volontà di consentire al pubblico, in una sorta di ipertesto
tridimensionale, l'adozione di vari livelli di lettura. Il catalogo
stesso della mostra costituisce un fondamentale tassello per comprendere
appieno il racconto ordito dal curatore Frédéric Migayrou.
[PG] |
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Foto Novella D'Amico. L'otto marzo scorso si è inaugurata al Centro Pompidou di Parigi la mostra "Morphosis", in cui sono presentati i progetti più recenti del noto studio americano di architettura, fondato e diretto da Thom Mayne, premio Pritzker 2005. La mostra, curata da Frédéric Migayrou, è un'ennesima conferma della competenza con cui il Centro seleziona gli architetti che vi espongono. La struttura espositiva, concepita da Mayne e dai suoi collaboratori appositamente per la mostra, è un vero e proprio gioiellino di architettura, che reinventa la maniera di esporre delle opere e il modo con cui lo spettatore può relazionarsi ad esse. Si tratta di un'installazione di qualità, che racconta di architettura tramite architettura. |
[09may2006] | |||
IL
CONTENITORE. Lo spazio espositivo messo a disposizione dal Pompidou
è un'ampia sala rettangolare, con una superficie utile di 550
mq, situata al sesto ed ultimo piano del museo. L'accesso, che è
al tempo stesso anche l'unica uscita disponibile, avviene dal punto
centrale di uno dei lati corti. Le pareti perimetrali sono semplici
vele in cartongesso dipinte di bianco, le cui aperture secondarie sono
state condannate da pannelli di materiale trasparente per permettere
di richiamare gli sguardi dalle gallerie adiacenti. La nota più
caratteristica della sala è il profondo soffitto tecnico, in
cui le grandi travi reticolari, costituenti la struttura portante del
museo, sono intervallate da tubi più piccoli per il passaggio
dei fluidi impiantistici. IL CONTENUTO - CONTINUITIES OF THE INCOMPLETE. La struttura espositiva, espressamente ideata dallo studio Morphosis per questa occasione, è in realtà un'unica grande "vetrina" che, a differenza delle monotone bacheche in vetro che si trovano solitamente nei musei, cresce dal suolo per innalzarsi gradualmente e inglobare tutte le opere esposte all'interno di un unico e decisivo gesto architettonico. La "vetrina" diviene così un nuovo suolo praticabile, accessibile anche alle persone a mobilità ridotta, la cui pendenza variabile ricorda le lievi asperità di un terreno che qui viene riprodotto in modo del tutto artificiale. LA STRUTTURA. La piattaforma espositiva è una superficie formata da 170 pannelli rettangolari di vetro multistrato dello spessore di 24 mm, retti da un'intelaiatura in alluminio che si sviluppa in pianta secondo un modulo di 1,02 per 1,82 metri. La piattaforma si innalza, distaccandosi progressivamente dal pavimento, fino a 1,20 m da terra, con diversi gradi di pendenza mano a mano che sale. La parte terminale della piattaforma si piega di 90 gradi per formare un ampio schermo proiettivo che si sviluppa fino al soffitto. La struttura raggiunge così le travi reticolari riportando volontariamente l'attenzione su di esse. È questo l'unico punto di interazione con la stanza (il contenitore) che la ospita, e insospettabile tributo al museo. |
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Foto Chris Warren. Thom Mayne, un uomo alto e cordiale, pronto a scambiare due chiacchiere e a rispondere alle domande dei visitatori con tutta la pazienza tipica di un professore, mi racconta della sua prima visita al Pompidou, un edificio per il quale ha da sempre provato ammirazione. In quella visita, avvenuta molti anni fa, era rimasto colpito dai soffitti tecnici, nudi e scoperti allo sguardo del visitatore. "Quei soffitti di solito non piacciono, ed io volevo qui ridar loro valore, portando lo spettatore ad alzare lo sguardo su di essi". I due espedienti per raggiungere lo scopo sono stati quello di prolungare la struttura fino al soffitto, e quello di renderla lucida e levigata per fare in modo che il soffitto vi si rifletta, diventando così in un certo senso parte dell'installazione. La piattaforma è posizionata al centro della sala, staccata dalle pareti e ruotata di qualche grado rispetto ad essa. Sebbene sembri in pianta un rettangolo perfetto, uno dei quattro angoli è smussato, nel punto più vicino all'ingresso della galleria, probabilmente per permettere un più facile accesso alla piattaforma (anche e soprattutto da parte dei disabili). Il fatto di avere un'unica entrata alla sala permette inoltre di controllare meglio il pubblico, e invitarlo ad indossare dei copriscarpe in tessuto-non-tessuto, firmati "Morphosis", al fine di preservare l'installazione pulita e lucida. |
Foto Novella D'Amico. Foto Graham Ferrier. |
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Foto Teresanna Donà. |
Foto Novella D'Amico. In linea con la tendenza più generale di una ricerca d'autonomia rispetto al contenitore, la struttura è volutamente autosufficiente dal punto di vista dell'illuminazione. Entrando nella sala lo spettatore si immerge in un ambiente in penombra. Le sole luci presenti provengono dalla struttura stessa, grazie ai quattro punti luce ancorati e ripetuti all'interno di ogni modulo strutturale, e grazie alle proiezioni che avvengono sulla parete di fondo. LE OPERE ESPOSTE. La mostra presenta 24 progetti recenti del gruppo americano, di cui alcuni realizzati o in fase di realizzazione ed altri rimasti alla fase di concorso. Tra essi il Palazzo di Giustizia Wayne L. Morse, in corso di costruzione; il progetto di concorso per l'edificio della Banca Centrale Europea a Francoforte; quello in fase di realizzazione per un complesso di case popolari a Madrid; la sede della compagnia autostradale Caltrans District 7, terminata a Los Angeles nel 2004; l'immobile dei Servizi Federali di San Francisco, attualmente in costruzione; il centro sportivo dell'Università di Cincinnati e il Complesso Hypo Alpe-Adria che sarà terminato quest'anno a Klagenfurt. I materiali raccolti sotto l'ampia superficie vetrata sono di vario tipo: plastici, tavole contenenti disegni e immagini renderizzate, video di interviste a Thom Mayne e filmati del balletto "Silent Collisions", presentato alla Biennale di Venezia nel 2003 e avente per scenografia una struttura mobile progettata da Morphosis. Questi materiali eterogenei sono sospesi pochi centimetri al di sotto del piano di vetro, ancorati alla struttura in alluminio tramite un sistema di cavi e lamelle metalliche. Solo il filmato "Silent Collisions" si distingue per una certa individualità, essendo proiettato sulla parete di fondo dell'installazione invece che tramite uno dei 9 schermi al plasma, giacenti orizzontalmente al di sotto dei piedi dei visitatori. Per una visione più accurata delle opere lo spettatore è così costretto ad inchinarsi, abbassandosi verso il suolo, pratica che richiede ai più miopi una certa dose di elasticità! LA LOGICA ESPOSITIVA. La struttura forma, nella sua modularità, una griglia cartesiana che permette di localizzare agilmente le opere esposte, grazie al contemporaneo ausilio della cartina che viene consegnata all'ingresso della galleria. Ogni colonna della griglia è indicata da un numero progressivo, compreso tra 1 e 6, mentre le righe sono contrassegnate da una lettera dell'alfabeto che va da A a V. Le opere sono sistemate sotto la piattaforma, raggruppate per progetto, e indicate all'interno della cartina con un binomio alfanumerico del tipo "C4", "E2" o "K5". La maniera con cui sono state disposte non segue un ordine cronologico né di altro tipo. L'intento di Mayne e del curatore della mostra, Frédéric Migayrou, è quello di lasciare che il visitatore cerchi il proprio percorso lungo le opere, proprio come farebbe nel visitare una città, sentendosi libero di intraprendere una traiettoria personale e di trovare nuove connessioni o interpretazioni ai progetti esposti. CARTOGRAFIA SEMANTICA. Con un intento simile, ovvero quello di lasciare che lo spettatore cerchi i propri percorsi interpretativi, ma questa volta all'interno di tutti gli scritti riguardanti lo studio americano e apparsi fino ad oggi, Migayrou ha elaborato un uso innovativo dell'ampia banca dati disponibile. I testi sono stati importati all'interno del software Tropes Zoom (Acetic) nell'intento di generare un modello tridimensionale, da Migayrou chiamato "carta semantica" o "grafico semantico", che metta in relazione le parole chiave in essi contenute. Il grafico tridimensionale che ne deriva ha l'aspetto di una galassia, fatta di moltissimi astri, ognuno dei quali corrispondente ad una parola chiave e legato ad altri tramite una linea curva, ad indicare una sorta di legame ipertestuale. Il grafico, ancora in fase di sperimentazione, trova una prima trattazione all'interno del catalogo della mostra. |
Foto Graham Ferrier. Foto Teresanna Donà. |
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Foto Graham Ferrier. La volontà è quella di trattare opere e scritti secondo le modalità progettuali proprie del gruppo Morphosis, ovvero senza banali semplificazioni, ma accettando e mettendo in valore la complessità in quanto fondamento stesso dell'architettura e della città contemporanea. "Tous les écrits de Thom Mayne revendiquent –come ha scritto Migayrou nel saggio presente nel catalogo della mostra- une architecture fondée sur l'essence même de la complexité. Le complexe, la segmentation, les différences, l'accident, le conflit, autant d'états de disruption qui constituent notre principe de réalité et que l'architecte considère comme la richesse d'un monde pluraliste, où il faut additionner les différences plutôt que les segmenter". La mostra diventa così un'estensione delle linee di ricerca dello studio, spingendo lo spettatore a muoversi al di sopra della piattaforma, a confrontarsi con la complessità delle opere esposte, e favorendo un'esperienza aperta e mutevole con il lavoro dell'architetto. Al tempo stesso schermo di cinema, vetrina espositiva, immagine globale della città a griglia regolare, come quella caratteristica dell'organizzazione urbana della città di Los Angeles, da cui Mayne proviene, questa "scenografia" rende conto visivamente della complessità e ricchezza delle realizzazioni e dei metodi di lavoro dello studio Morphosis e costituisce, al di là di tutto, un bel pezzo di architettura. Teresanna Donà teresannadona@architettura.it |
Foto Graham Ferrier. |
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Foto Novella D'Amico. |
Continuities
of the incomplete. Morphosis |
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ARCH'IT
books consiglia: Frédéric Migayrou (a cura di) "MORPHOSIS. Continuities of the Incomplete" Editions du Centre Pompidou, Paris, 2006 pp. 208, €39,90 |