I SISTEMI DI GESTIONE A CICLO CHIUSO NEI DISTRETTI PRODUTTIVI

I tre casi della Toscana 

L’ Agenzia regionale per la protezione ambientale della Toscana (ARPAT) in collaborazione con la società di consulenza ECOSISTEMI di Roma, l’11 maggio scorso hanno presentato, in un apposito Convegno, il programma denominato CLOSED (Closed Loop Management System, cioè Sistema di gestione a ciclo chiuso), cofinanziato per il 40% dall’Unione Europea nell’ambito di “LIFE II”, il programma per gli interventi nelle aree dell’ambiente e della natura.

Tale progetto – che durerà due anni per un costo complessivo di circa 2 miliardi e che al momento interessa i distretti produttivi di Prato ( per il tessile), Pistoia ( per il florovivaismo) e Lucca (per il settore cartario) - consiste nella realizzazione in tali distretti di un sistema di gestione delle loro attività capace di ridurre fortemente l’impatto ecologico sul territorio ( ecco perché denominato a “ciclo chiuso”), stabilendo un sistema di relazioni interaziendali fondato sulla gestione comune delle problematiche ambientali e incentrato sullo scambio dei materiali di scarto e sul loro reimpiego come materie prime all’interno delle filiere produttive.

In pratica si tratta si sviluppare un vero e proprio sistema eco – industriale che ha non solo il prerequisito di supportare alcuni elementi chiave per lo sviluppo sostenibile ( pressione ambientale, contabilità integrata economica e ambientale, ecc.) ma uno strumento per sviluppare strategie concrete nel campo della gestione dei rifiuti.

Il “Progetto Closed” si propone, dunque, di studiare le filiere produttive della carta, del tessile e del settore vivaistico  per dar vita ad un nuovo modello di gestione dell’ambiente e delle risorse disponibili “utilizzate e scartate” durante il processo produttivo.

Questo modello, che si può definire di “simbiosi eco- industriale”, potrà consentire alle comunità di imprese erogatrici di beni o di servizi di migliorare le “performance” economiche e minimizzare gli impatti ambientali, attraverso la collaborazione e la cooperazione nel riutilizzo degli scarti come prodotto intermedio, nella gestione delle risorse naturali e dell’energia e, più in generale, nella gestione dell’ambiente.

Dobbiamo sottolineare che l’idea di creare questi distretti o parchi eco- industriali che partendo dal riutilizzo dei rifiuti arrivano al prodotto finito trae origine da iniziative intraprese circa una quindicina di anni fa. Durante il convegno ce lo ha ricordato la danese Noel Jacobsen del Symbiosis Institute che è stata fra le realizzatrici del primo Parco eco – industriale della Città di Kalundborg, dove alcune industrie appartenenti a diversi settori merceologici avviarono una stretta collaborazione diretta a ridurre i costi d’impresa, promuovendo il riutilizzo reciproco dei propri scarti di lavorazione ed un uso efficiente delle risorse idriche ed energetiche. Infatti, la spinta iniziale alla realizzazione del sistema Kalundborg è stata  proprio la convenienza economica.

I progetti di scambio di materiali di rifiuto tra le imprese presenti nell’area sono state pattuite ed organizzate commercialmente tra i differenti partner. Gli accordi che si sono sviluppati all’interno del sistema nascono, quindi, come dei progetti indipendenti che, solo in un secondo momento,  sono diventati parte di un progetto più complessivo. In un secondo momento la possibilità di verificare la convenienza economica delle decisioni assunte – ha detto la Jacobsen – ha rinforzato tale processo e dato vita alla forma organizzativa oggi operante che ha legato un gruppo di aziende di diversa tipologia produttiva ( dai pannelli in gesso alla produzione di energia elettrica, dalla raffinazione alla produzione di enzimi e insulina, fino alla bonifica dei suoli) alla realizzazione  di progetti comuni riguardanti il riciclaggio delle acque, riciclaggio e riuso dei rifiuti e trasferimento energetico.

Dopo i primi esperimenti avvenuti 15 anni orsono, i risultati ottenuti a Kalundborg sono stati veramente sorprendenti: in quell’area industriale sono stati ottenuti cospicui abbattimenti delle emissioni in atmosfera e notevoli riduzioni nella produzione di rifiuti e nel consumo di risorse.

Oggi sono attivi in questa città danese 19 progetti 6 dei quali riguardano gli scambi di acqua, 6 di energia e 6 di rifiuti. Una stima approssimativa dei vantaggi e dei risparmi ambientali è data dai seguenti dati: annualmente sono stati risparmiati circa 3 milioni di metri cubi di acqua normalmente impiegati nei circuiti di produzione; 20mila tonnellate di oli e circa 200mila tonnellate di gesso naturale.

All’epoca, l’esempio di Kalundborg fu interpretato come una risposta intelligente ai mutamenti legislativi che stavano avvenendo in campo ambientale mettendo in difficoltà le produzioni inquinanti. Nessuno poteva immaginare che il processo di simbiosi industriale avviato da queste imprese danesi sarebbe stato la prima applicazione concreta sul territorio di un modello avanzato di ecologia industriale.

L’idea di istituire all’interno di un’area industriale un fitto sistema di relazioni per il raggiungimento di obiettivi condivisi di performances  ambientali ed economiche ha trovato da allora altre svariate applicazioni. In tutto il mondo si contano oggi decine di esperienze di “parchi eco – industriali”, concentrate soprattutto negli Stati Uniti, dove queste iniziative sono sostenute sul piano finanziario dell’EPA ( Environment Protection Agency, cioè l’Agenzia di protezione ambientale statunitense).

Di queste esperienze statunitensi, al Convegno  dell’11 maggio  Judy Kinkaid ha parlato del progetto del Triangle J Counsil Governement (Agenzia di pianificazione governativa) che è stato avviato tre anni fa con l’obiettivo di ridurre il volume complessivo dei rifiuti di sei contee nel Nord Caroline.

I ritorni che tale progetto intende ottenere sono:

-         un ritorno economico per le istituzioni e le imprese;

-         un sistema di informazione per le imprese circa le materie riutilizzabili nell’area;

-         identificare nuove opportunità d’impresa;

-         individuare soluzioni per il risparmio energetico ed idrico.

Il progetto ha ricevuto il finanziamento dell’EPA assieme alla partecipazione finanziaria di altre organizzazioni locali (Università, enti di governo locali) e di un panel di imprese locali garanti del corretto funzionamento e della ricerca delle informazioni sul territorio.

Le imprese selezionate per la ricerca delle informazioni rispondevano ai seguenti criteri:

-         consumi idrici elevati nel processo di produzione;

-         possesso di rifiuti tossici e/o pericolosi;

-         partecipazione passata a programmi di prevenzione dall’inquinamento;

-         rappresentatività del tipo di produzione nell’area.

Il campione di imprese così stratificato – ha precisato la Kinkaid – ha consentito di selezionare circa 350 unità produttive. La fase di rilevazione dei dati ha avuto una durata di circa 1 anno al termine della quale sono stati definitivamente rilevati i dati di 182 imprese corrispondenti circa al 53% del campione iniziale.

Il progetto si è inoltre avvalso di un Sistema Geografico Informativo (GIS) in maniera tale da poter visualizzare e contenere le innumerevoli informazioni rilevate circa i potenziali “serbatoi” di rifiuti da riutilizzare. La prossimità e la localizzazione delle imprese costituisce uno dei principali parametri di fattibilità economica degli scambi sul territorio. L’impiego del GIS si è rivelato, inoltre, un utile strumento a supporto della trasmissione delle informazioni ottenute alle imprese.

Uno dei  più sorprendenti risultati è stata l’attivazione di idee in relazione ai possibili reimpieghi delle materie presenti nelle aree e presso le imprese esaminate.

Il progetto ha richiesto l’attiva presenza di operatori sul territorio in grado di promuovere la visione del “sistema di relazioni simbiotiche” tra i materiali individuati. Questi facilitatori di processo – come definiti da Judy Kincaid – hanno rappresentato il trade union tra le diverse imprese ed i risultati analitici del processo.

Ci è sembrato interessante riportare le esperienze di cui sopra, perché –considerando i Paesi altamente industrializzati da cui provengono – ci aiuteranno a meglio comprendere e diffondere il più possibile nei vari distretti industriali italiani il progetto che si stà avviando nelle tre aree toscane (Prato, Lucca e Pistoia) che hanno storie assai diverse alle spalle e che sono  caratterizzate da differenti produzioni.

“Orientare in senso ecologico - ha detto Laura Della Mora esperta di Ecosistemi-

i processi di produzione e la gestione quotidiana delle aziende rappresenta il futuro scenario al quale molte imprese si vedranno per un verso costrette da vincoli e pressioni, sociali ed economiche, e per un altro attratte, considerando le opportunità di mercato e oltrechè di sostegno finanziario che si vanno creando.

Di recente un decreto del Ministero del Tesoro ha modificato e intensificato gli aiuti previsti dalla legge 598/94 per quanto riguarda gli investimenti in innovazione tecnologica e o tutela ambientale, inoltre la legge finanziaria per il 1998 prevede uno sgravio fiscale per le piccole e medie imprese che adottano un sistema di gestione aziendale.

Per quanto riguarda le attività di tutela ambientale, il decreto prevede delle agevolazioni per le aziende che intendono adottare: sistemi per il trattamento ed evacuazione dei rifiuti inquinanti; installazione di dispositivi di controllo dello stato dell’ambiente; interventi per la razionalizzazione degli usi dell’acqua potabile; installazione di impianti antinquinamento; conversione o modifica di impianti e processi produttivi; eliminazione e sostituzione dai cicli produttivi di sostanze inquinanti e nocive”.

La nascita dell’ecologia industriale si deve all’emergere di una strategia specifica per ridurre gli impatti antropici sulle risorse naturali prendendo a modello i fenomeni di riciclizzazione della materia presenti nell’ecosistema.

Siamo tutti consapevoli che oggi il problema dei rifiuti assume dimensioni di impatto ambientale sempre più difficilmente risolvibile.

Per affrontare, dunque, il problema dei rifiuti occorre considerare il sistema industriale come un sistema interconnesso di produzione e consumo, esaminando come questo genera scorie e inquinanti che danneggiano l’ambiente. Si tratta di esaminare se esista qualche modo per porre una interazione reciproca di processi industriali differenti che producono rifiuti, in particolar modo, rifiuti pericolosi.

Mentre gli approcci tradizionali al management ambientale sono incentrati sui processi produttivi o sui siti industriali, l’ecologia industriale utilizza un approccio sistemico; potrebbe infatti non essere opportuno minimizzare i rifiuti di una particolare fabbrica o industria, ma si dovrebbe agire per minimizzare i rifiuti dell’attività industriale nel suo complesso.

L’obiettivo dell’ecologia industriale è quello di modificare l’attività umana per ridurne le caratteristiche dissipative; a tal fine sarà il concetto stesso di “scarto” ad essere considerato in una visione sistemica fino alla sua riconsiderazione in qualità di prodotto intermedio.

“Per sistematizzare – come ha detto ancora Laura Della Mora – il campo di analisi e le metodologie esistenti all’interno dell’ecologia industriale è opportuno accennare alle due principali strategie di intervento oggi esistenti:

a)     una strategia basata sull’analisi del prodotto, attraverso il suo ciclo di vita ecologico, che permette di valutare gli impatti sull’ambiente delle diverse fasi dall’estrazione delle materie prime allo smaltimento finale e che si avvale dell’Analisi del Ciclo di Vita (LCA) e del Design Ambientale (Design for Environment);

b)    una strategia basata sulla simbiosi industriale che focalizza la sua attenzione sugli impianti fissi e sui processi di produzione al fine di rendere possibile l’efficienza energetica e la riconsiderazione degli scarti in qualità di prodotti intermedi.

Il distretto eco – industriale è rappresentato, quindi, da un insieme di aziende che operano in collaborazione per :

- ridurre i consumi energetici dei processi produttivi;

- minimizzare i costi di utilizzo delle materie prime:

- valorizzare  dal punto di vista economico scarti di produzione altrimenti destinati a diventare rifiuti.

La missione del Progetto CLOSED è proprio quello di aprire una nuova strada all’ecologia industriale attraverso la creazione del Distretto Eco-Industriale (EID) connotando, in senso ambientale, le interrelazioni tra le attività produttive, le organizzazioni e le istituzioni locali ed evidenziando le conseguenti riduzioni di costo”.

Il Progetto CLOSED consentirà di individuare le specifiche criticità ambientali delle aree e dei settori produttivi coinvolti nell’iniziativa, valorizzando i vantaggi offerti dalla concentrazione sullo stesso territorio/distretto delle aziende componenti la cosiddetta Filiera. Infatti, la concentrazione territoriale di imprese e realtà produttive con cicli tecnologici omogenei e collegato, appunto, in filiera è una delle condizioni più favorevoli alla condivisione di problematiche ambientali che richiedono di essere affrontate con una visione di ampio raggio e che richiedono l’individuazione di soluzioni d’insieme. Radicamento locale, condivisione nella diffusione delle innovazioni, vicinanza alle istituzioni locali rappresentano tutti fattori che concorrono all’adesione volontaria di decisioni collettivamente vincolanti, quali sono appunto le scelte in campo ambientale applicate ad un territorio.

Il Progetto CLOSED coinvolge i tre distretti del tessile, cartario e vivaismo che per le loro prossimità territoriali e “tecnologiche” possono individuare e sviluppare un modello di politica ambientale “reticolare” sull’intero territorio coinvolto, in grado di capovolgere le attuali diseconomie ambientali.

Per concludere, vediamo come si presentano, sotto gli aspetti sociali ed economico-produttivi, le tre filiere coinvolte nel progetto, secondo le informazioni elaborate da ARPAT ed Ecosistemi.

Per la filiera tessile, il distretto di Prato è costituito da un tessuto produttivo di dimensioni medio piccole di circa 8000 imprese. La popolazione coinvolta nelle attività del tessile è di 44.000 unità equivalenti a:

-         15% della popolazione;

-         30% della forza lavoro totale;

-         60% degli addetti d’impresa.

I principali settori di produzione sono: articoli di lana (27,1% della produzione totale), filati (18,6%) e tessuti in cotone e lino che costituiscono quasi il 16% della produzione totale. Recentemente ha avuto un discreto sviluppo anche la produzione di tessuti sintetici (7,2% del mercato di produzione dell’area).

La produzione di macchine per il settore tessile è la seconda attività cardine dell’area. Sono impiegate ben 200 aziende con un fatturato annuo pari a 210 milioni di dollari (il 40% della produzione viene esportato). Infine un ristretto numero di imprese è impiegato nella produzione del packaging o di prodotti ausiliari (oli, tinte, detergenti) per le aziende del tessile.

Analizzando per “gruppi” le attività presenti sul territorio del distretto di Prato si evidenzia come questo raccolga quasi tutta la filiera del tessile. Il sistema di produzione è caratterizzato dalla piccola impresa ed il sistema di produzione  è quello tipico delle economie di scopo (piccole quantità con elevata variabilità). Le aziende di Prato sono caratterizzate da un’elevata versatilità e una propensione alla cooperazione che consente la creazione di un’efficiente network d’area; le aziende presenti associano i vantaggi delle economie di scopo (effetto della flessibilità produttiva della piccola dimensione) ai vantaggi delle economie di scala ( conseguenza delle esternabilità positive del distretto). La forza del distretto di Prato è l’ambiente imprenditoriale, la condivisione e l’apprendimento del linguaggio e delle sue tecniche, che avviene fin dall’età scolare.

La filiera del cartario. Con un fatturato stimato di circa 3.975 miliardi, l’industria della carta nella lucchesia rappresenta il primo settore produttivo della provincia. L’occupazione assorbita è stimata attorno ai 5.5000 addetti e come secondo comparto produttivo del territorio in termini di capacità occupazionale.

L’industria cartaria lucchese detiene il controllo di circa l’80% della produzione di carta tissue a livello nazionale ed oltre il 30% della produzione di cartone ondulato. Complessivamente sono circa 200 le imprese che operano nel settore della carta e cartotecnica.

La Filiera del vivaismo pistoiese, rappresenta nel suo complesso circa l’80% del valore produttivo riferito al complesso settore agricoltura con 410 miliardi di cui 250 miliardi per il vivaismo e 160 per la floricoltura.

Il settore vivaistico nasce a Pistoia alla metà del secolo scorso e si afferma gradualmente grazie alle qualità agronomiche del suolo e all’esperienza sempre perfezionata e accresciuta dei suoi addetti. Nato nella piana dell’Ombrone (dove ad oggi risiede circa il 90% delle attività di produzione) si è andato estendendo nella Valdinievole, dove fra l’altro c’è il maggior numero di coltivatori di garofani (nella zona di Pescia) nel mondo. Nelle zone di montagna si va affermando, invece, assieme ai tradizionali vivai forestali, una interessante produzione di “alberi di Natale”.

Il comprensorio vivaistico si estende oggi per una superficie coltivata stimata in 4.950 ettari distribuiti nei Comuni di Pistoia, Serravalle Pistoiese, Agliana, Quarrata, Montale e Margliana.

Attualmente le aziende vivaistiche, quasi interamente stanziate nel territorio del comune capoluogo, sono circa 1870 ed assorbono stabilmente 5000 addetti. La dimensione media dell’impresa à di circa 1,5 ha.

La superficie coperta dai vivai è stimata in circa 5000 ettari, di cui circa 800 destinati alla coltivazione in contenitore.

Pistoia nel panorama nazionale rappresenta ¼ dell’intera produzione vivaistica nazionale fortemente caratterizzata dalla produzione di piante per parchi e giardini. Il distretto rappresenta il centro del vivaismo paesaggistico e di piante ornamentali da “pien’aria” più importanti d’Europa dove si producono gli alberi pronti per la realizzazione dei parchi e dei giardini “di pronto effetto” in una moltitudine di specie e varietà in grado di soddisfare tutte le esigenze di forma, dimensione e colore.

Come ha dichiarato il direttore generale di ARPAT, Alessandro Lippi, nel presentare il progetto, “CLOSED rappresenta  un’opportunità per i territori coinvolti nell’iniziativa di elaborare delle strategie proprie di sviluppo sostenibile a partire dalle opportunità e dalle conoscenze che il progetto CLOSED sarà in grado di realizzare nel corso del tempo.

Benché non finalizzato a tale scopo, appare tuttavia evidente la correlazione fra gli studi e le ricerche del progetto CLOSED e le attività volte ad ottenere la certificazione EMAS di distretto.

Tutti i risultati analitici, gli indicatori ambientali e soprattutto la ricognizione e la ricostruzione dei flussi di materia (materie prime, materie prime seconde, risorse naturali e rifiuti) delineano, infatti, il quadro degli snodi cruciali delle relazioni fra processi produttivi e ambiente, sia dal lato dell’uso delle risorse che dal lato degli impatti.

In tal senso il progetto CLOSED è anche un esercizio preliminare alla certificazione ambientale e in essa trova un suo risultato ulteriore e qualificante”.