RELAZIONE
DEL PRESENTATORE
ONOREVOLI SENATORI. - Il nostro sistema prevenzionistico, come é
noto, si é sviluppato in modo "alluvionale", attraverso la stratificazione
e la sovrapposizione, nel corso degli anni, degli interventi legislativi.
Al generale obbligo di sicurezza sancito dall'articolo 2087 codice civile
si sono aggiunti, nel corso degli anni '50, numerosi decreti prevenzionistici,
che hanno definito i doveri generali dei datori di lavoro, dei dirigenti,
dei preposti e dei lavoratori e hanno dettato numerose regole e disposizioni
di carattere tecnico da seguire nello svolgimento dell'attività
lavorativa. In seguito, con la riforma sanitaria attuata con legge 23 dicembre
1978, n. 833, ulteriori disposizioni sono state emanate al fine di migliorare
i livelli di sicurezza e di creare un nuovo metodo di intervento basato
sull'integrazione della tutela della salute dei cittadini negli ambienti
di vita e di lavoro. La legge di riforma sanitaria, inoltre, conteneva
una delega al Governo per l'emanazione di un testo unico delle norme di
tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, volto a riordinare
il già complesso quadro normativo. La delega, tuttavia, non é
stata esercitata in tempo utile, nonostante le proroghe concesse e, negli
anni successivi, ulteriori disposizioni, emanate soprattutto in attuazione
delle numerose direttive comunitarie in materia di tutela della salute
e della sicurezza del lavoro, si sono sovrapposte alle precedenti. Basti
ricordare, a titolo esemplificativo, i piú recenti decreti legislativi
15 agosto 1991, n. 277, e 25 gennaio 1992, n. 77, che hanno attuato le
direttive in materia di esposizione al rumore e ad agenti e sostanze nocivi
per la salute.
Con il decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, successivamente
modificato con decreto legislativo 19 marzo 1996, n. 242 (qui di seguito
il testo coordinato dei due provvedimenti verrà definito come decreto
legislativo n. 626- bis ), l'Italia ha dato attuazione a altre otto
direttive comunitarie in materia di salute e sicurezza sul lavoro; tra
le quali rileva principalmente la direttiva 89/391/CEE del Consiglio, del
12 giugno 1989, cosiddetta "Direttiva quadro", che detta i princípi
e le regole generali della normativa prevenzionistica.
Le nuove regole della sicurezza sul lavoro, tuttavia, si sono sovrapposte
- senza coordinamento - alla disciplina precedente. Di conseguenza, si
é creato un quadro normativo complesso, che impone una sollecita
opera di coordinamento e di integrazione tra le diverse disposizioni, in
modo da rendere piú agevole, per i destinatari degli obblighi prevenzionistici,
l'individuazione delle misure da attuare.
L'attuazione delle direttive comunitarie, tra l'altro, é avvenuta
sempre in ritardo e con qualche contraddittorietà, tanto da comportare,
in alcuni casi, un abbassamento dei livelli di protezione già assicurati
dalla nostra legislazione, come é avvenuto, per alcuni versi, con
l'attuazione delle direttive in materia di protezione dei lavoratori contro
i rischi derivanti dall'esposizione a rumore e ad agenti chimici, fisici
e biologici. Anche il decreto legislativo n. 626- bis pone alcune
questioni, soprattutto perché si sovrappone, con nuove disposizioni,
alla legislazione prevenzionistica precedente, senza che risulti ben chiaro
quali di esse siano da ritenere tuttora in vigore. Analoghe questioni si
pongono per altre e importanti direttive comunitarie che hanno trovato
attuazione in questo periodo, relativamente a settori di grande delicatezza,
quali la sicurezza nei cantieri, la segnaletica di sicurezza, la tutela
delle lavoratrici madri e la sicurezza nelle industrie estrattive, recepite
dal nostro ordinamento rispettivamente con decreto legislativo 14 agosto
1996, n. 494, decreto legislativo 14 agosto 1996, n. 493, decreto legislativo
25 novembre 1996, n. 645, e decreto legislativo 25 novembre 1996, n. 624.
Inoltre, altre direttive in materia di sicurezza e igiene del lavoro sono
in attesa di attuazione.
La necessità di predisporre un sistema normativo che consenta
il rapido e tempestivo adeguamento dei precetti prevenzionistici all'evoluzione
della tecnica e alle nuove acquisizioni della scienza é stata da
tempo sottolineata dagli interpreti e dagli operatori del settore.
All'esigenza di riordinare il quadro legislativo, dunque, si aggiunge
quella di apportarvi alcune innovazioni, che diano effettiva attuazione
al principio di tutela della salute sancito dall'articolo 32 della Costituzione,
rafforzando l'efficacia del complessivo sistema prevenzionistico e consentendone
il tempestivo aggiornamento; anche perché, mentre il fenomeno degli
infortuni sul lavoro ha ancora dimensioni allarmanti, e ben superiori alla
media europea, nuove e sconosciute malattie professionali, determinate
dall'evoluzione delle metodologie produttive e di lavoro, dall'impiego
di sostanze e prodotti i cui effetti non sono del tutto noti e, talora,
dalla stessa organizzazione del lavoro, fanno la loro comparsa, senza che
il nostro ordinamento sia attrezzato per prevenirle e combatterle. Occorre
dunque prevedere al piú presto un diverso sistema normativo, attraverso
la predisposizione di un testo unico nel quale siano stabiliti i princípi,
le procedure e le regole generali che tutti devono rispettare e che costituisca
il punto di riferimento per tutta la successiva produzione normativa, anche
di carattere tecnico.
Peraltro, c'é un nodo preliminare da sciogliere, come ogni volta
che si tratta di predisporre un testo unico: realizzare una sommatoria,
sia pure coordinata, delle disposizioni vigenti, senza alcuna innovazione
ed anzi - se mai - con qualche abrogazione; oppure affidare al testo unico,
come del resto prevedeva la legge di riforma sanitaria, una funzione piú
ampia, e dunque anche di integrazione, di completamento e, ove necessario,
di innovazione?
Con il presente disegno di legge, si é seguita la seconda strada, in quanto ritenuta piú efficace in un settore di tanta delicatezza e complessità come quello della prevenzione. D'altronde, la sommatoria delle norme vigenti avrebbe condotto, piú che a un testo unico, ad un vero e proprio codice di sicurezza, il cui principale connotato sarebbe stato quello "compilativo"; ma non si sarebbe potuto tenere conto dei problemi già presentatisi dopo le prime esperienze pratiche di attuazione delle normative comunitarie e delle riflessioni compiute da attenti studiosi della disciplina e - perché no? - anche dell'ampio contributo offerto da chi deve sperimentare questa disciplina sul campo. Né si sarebbe potuto considerare ció che ancora non é ben definito né dal decreto legislativo n. 626- bis , né da altre disposizioni successive, che lasciano fuori diversi settori di non poca importanza.
Infine, la scelta "compilativa", conducendo ad una sorta di codice,
avrebbe condotto al risultato di disporre di un sistema piuttosto statico
e resistente alle trasformazioni della realtà sociale, economica
e produttiva: la codificazione, infatti, é di per sé uno
strumento comodo, ma di non facile aggiornamento. Che é proprio
il contrario di ció che occorre nella nostra materia.
Dunque, si é scelta la seconda strada: un testo unico che raccoglie
e coordina, facendo chiarezza, le varie norme esistenti, ma coglie anche
le piú rilevanti novità, tiene conto delle esperienze e delle
elaborazioni di questi anni, mira a colmare rilevanti lacune: in sostanza,
un testo con un contenuto non solo compilativo e di coordinamento, ma anche
innovativo. Basterà considerare le parti dedicate al settore dell'agricoltura,
piuttosto negletto nella legislazione vigente, o alla tematica della specificità
femminile nel lavoro, troppo spesso limitata al le questioni riproduttive
e non estesa a tutta la complessità di un problema che riguarda
le caratteristiche particolari della donna e gli effetti complessivi, su
di essa, del lavoro e, spesso, del doppio lavoro.
Ma, a questo punto, compiuta la prima scelta, si é presentato
subito un altro nodo da sciogliere: che cosa inserire, in questo testo,
in modo da renderlo completo, ma anche di agevole consultazione e soprattutto
da impedire la cristallizzazione della normativa e particolarmente la sua
rigidità?
Si é allora ritenuto opportuno raccogliere in questa sede la
parte generale di tutti i provvedimenti esistenti nel nostro sistema, coordinati
fra loro, in modo da disporre di un'indicazione puntuale e precisa sul
contenuto essenziale della normativa, sugli obblighi di carattere generale
posti a carico dei vari soggetti, e in particolare del datore di lavoro,
sull'identificazione - appunto - dei soggetti cui si indirizza la disciplina,
sui diritti e doveri, sui connotati essenziali della vigilanza, sulla tematica
della formazione, sul sistema dell'informazione e della circolazione dei
dati e delle notizie, sul sistema sanzionatorio e processuale, e cosí
via.
In questo modo, dovrebbe essere considerata tutta la parte generale
contenuta nell'articolo 2087 codice civile, nei decreti di prevenzione
e igiene degli anni '50, nella normativa comunitaria di piú recente
attuazione, a partire dal decreto legislativo n. 626- bis fino ai
piú recenti provvedimenti legislativi.
Naturalmente, questa parte "generale" é abbastanza estesa, proprio
per la necessità di disporre di un complesso di norme chiare e coerenti,
anche se questo comporta il rischio di una maggiore rigidità. Ma
un testo unico di questo tipo é certamente destinato a durare nel
tempo, proprio perché ormai il quadro degli aspetti generali é
definito in modo esauriente e moderno.
Resta il problema della parte, per cosí dire, piú specifica,
quella cioé che riguarda settori particolari o che contiene disposizioni
cosí analitiche da non trovare sede opportuna in un testo unico
del tipo sopraindicato.
Per questa disciplina, che trova il suo presupposto nel testo unico,
e nelle sue disposizioni generali, é indispensabile la possibilità
di un aggiornamento piú rapido, ma anche di una piú agevole
conoscenza per coloro che operano nei singoli settori e che certo troverebbero
qualche difficoltà ad orientarsi in una sorta di "codice" omnicomprensivo.
Da ció la previsione di alcuni decreti legislativi, per settori
specifici, destinati ad integrare la normativa di carattere generale, fornendo
valori, indicazioni, misure, anche assai analitiche, ma suscettibili di
un piú rapido aggiornamento. Infatti, una volta scelto il sistema
del decreto legislativo ad ampio spettro, é possibile prevedere
- per i decreti "settoriali" - una piú agevole possibilità
di aggiornamento in tempi rapidi. Vengono poi riservate ad una normativa
di carattere regolamentare, ancora piú agevolmente adeguabile, determinazioni
di natura piú strettamente "tecnica" ed attuativa.
In questo modo, si avrà: un testo unico che riguarda tutti,
per gli aspetti di carattere generale, e detta quindi una disciplina organica
ed applicabile a tutti i settori, privati e pubblici; una serie (limitata)
di decreti legislativi di carattere settoriale, che definisce la normativa
specifica ed analitica per singoli settori maggiormente esposti a rischio
o che richiedono una disciplina particolareggiata; e infine un regolamento,
anch'esso di carattere generale, per la specificazione tecnica di una serie
di aspetti e criteri fissati nel testo unico in termini di principio.
Ovviamente, le disposizioni attuative e tecniche del regolamento valgono
anche per i settori specificamente disciplinati dai decreti delegati, salvo
che in questi ultimi non si ritenga necessaria, ma solo per la particolarità
della materia, qualche definizione o puntualizzazione di natura diversa.
Naturalmente, la forza dei precetti troverà la sua fonte nel
provvedimento generale di delega e nel successivo testo unico, al quale
é affidato il compito di attribuire un valore rilevante anche alla
disciplina (solo apparentemente) di carattere secondario.
In questo modo, si risolve anche il problema del sistema sanzionatorio,
che non potrebbe essere affidato a fonti di rango meno elevato di quello
legislativo.
Tenendo conto delle piú recenti acquisizioni (comprese le pronunce
in materia della Corte costituzionale, come quella, notissima, emessa con
sentenza n. 312 del 18 luglio 1996) si ritiene di aver previsto, nel provvedimento
di delega, quanto necessario perché in ogni caso sia assicurato
il rispetto del principio di legalità e la fonte degli obblighi
principali resti pur sempre la legge, quando si tratta di precetti penalmente
sanzionati.
In questo modo, non dovrebbero restare fuori dalla previsione legislativa
settori o disposizioni di alcun genere, mentre dovrebbero essere garantite
- in ogni caso - la certezza e chiarezza sia del precetto che delle relative
sanzioni.
Ovviamente, come di fatto si é già anticipato, la complessità
della materia e la quantità di precetti da considerare rendono indispensabile
il ricorso al sistema della delega al Governo. Una delega da attivare,
per il testo unico, con i sistemi piú rigorosi previsti dalla legge
23 agosto 1988, n. 400, e con un sistema "rinforzato" di intervento del
Parlamento. Nei casi, invece, in cui é prevista una delega ulteriore
per settori specifici, destinati ad integrare il testo unico, il sistema
delineato é meno rigido, tanto da rendere piú agevole un
rapido adeguamento. Quest'ultimo risulta ancora piú agevole per
ció che attiene al regolamento.
Ció detto, si puó passare ad un'indicazione, sia pure sommaria, dei contenuti essenziali della proposta, inerenti a ció che dovrebbe essere assunto a fondamento del testo unico da predisporre.
Nella prima parte del disegno di legge si dettano i criteri
generali cui il Governo dovrà attenersi nell'esercizio
della delega, che, come detto, ha per oggetto la riunificazione in un unico
testo delle disposizioni di principio e di carattere generale in materia
di sicurezza che si trovano disseminate nelle diverse leggi emanate nel
corso degli anni, nonché il loro coordinamento, per criteri anche
di innovazione. A tal fine, l'articolo 3 detta i princípi e i criteri
direttivi generali ai quali il Governo dovrà uniformarsi. Si sancisce,
anzitutto, che il rispetto della salute dei lavoratori deve essere garantito
attraverso la programmazione del processo produttivo in modo che esso risulti
rispondente alle esigenze della sicurezza, nonché attraverso la
programmazione della stessa attività prevenzionistica. Al fine di
assicurare l'unitarietà degli obiettivi della salute e della sicurezza
negli ambienti di vita e di lavoro, si dispone, inoltre, che l'attività
di prevenzione dovrà essere realizzata con l'intervento e sotto
il controllo del Servizio sanitario nazionale, al quale viene attribuito
il compito di valutare preventivamente la compatibilità delle attività
lavorative con le esigenze di tutela della salute dei lavoratori e dell'ambiente,
di assistere le imprese nell'attività di prevenzione, di svolgere
attività di informazione e formazione per tutti i soggetti impegnati
nella prevenzione e di acquisire le informazioni necessarie per realizzare
migliori condizioni di sicurezza. Si é ripreso, in questo modo,
quanto già stabilito dalla legge di riforma sanitaria n. 833 del
1978, che, come si é già accennato, all'articolo 24 aveva
delegato il Governo ad emanare un testo unico in materia di sicurezza sul
lavoro, cercando di delineare un sistema unitario di tutela della salute
dei cittadini dentro e fuori dai luoghi di lavoro, fondato sulla programmazione
e sul controllo preventivo, da realizzarsi mediante l'attribuzione al Servizio
sanitario nazionale di un ruolo propulsivo nell'attuazione del diritto
alla salute.
Tra i principi generali si prevede, inoltre, l'applicazione della normativa
prevenzionistica per tutti i settori di attività, pubblici o privati,
e per tutti i lavoratori. Al fine di assicurare che il riordino della normativa
non comporti delle lacune o dei peggioramenti rispetto alla situazione
attuale, si stabilisce espressamente il divieto di abbassamento dei livelli
di protezione, dei diritti e delle prerogative dei lavoratori e delle loro
rappresentanze. Tra i criteri generali, si é infine prevista la
semplificazione della normativa, in modo da renderla facilmente comprensibile
per tutti coloro che poi dovranno rispettarla.
L'articolo 4 detta i princípi e i criteri specifici ai quali
il Governo dovrà attenersi nell'elaborazione del testo unico. Il
punto 1) prevede, in linea generale, la riunificazione e il riordino delle
disposizioni legislative vigenti. I punti da 2) a 9) dettano i criteri
generali per definire un ambito di applicazione uniforme della disciplina.
Si deve infatti ricordare che le definizioni contemplate dall'articolo
2 del decreto legislativo n. 626- bis , che costituisce attualmente
il testo principale in materia, in base alle quali si stabilisce il campo
di applicazione della normativa, lasciano scoperti alcuni settori e categorie
di lavoratori. Inoltre, poiché tali definizioni pongono non irrilevanti
problemi applicativi, risulta per alcuni versi difficile stabilire con
certezza le competenze e le responsabilità di ciascuno dei soggetti
coinvolti nell'attività di prevenzione.
Per quanto riguarda le attività soggette all'applicazione della
normativa si prevede l'adozione di una definizione ampia, comprensiva di
tutti i settori di attività, pubblici e privati, e di tutti i datori
di lavoro, imprenditori e non, limitando, in conformità a quanto
disposto dalla Direttiva quadro, le possibilità di deroga a specifiche
categorie della pubblica amministrazione che, per le particolarità
dei servizi espletati, richiedono una differente regolamentazione. Inoltre,
si dettano disposizioni volte a risolvere il problema dell'individuazione
delle categorie di lavoratori tutelate dalla normativa prevenzionistica.
Infatti, la definizione di cui all'articolo 2 del decreto legislativo n.
626- bis include tutti i lavoratori dipendenti - compresi gli apprendisti
e quelli assunti con contratto di formazione e lavoro - i soci lavoratori
e gli stagiaires . Tuttavia, sono escluse altre rilevanti categorie
di soggetti. Tra l'altro, i decreti prevenzionistici del 1955-56 contengono
ancora le disposizioni tecniche generali in materia di prevenzione infortuni
e di igiene del lavoro e recano formulazioni piú ampie rispetto
a quella di cui all'articolo 2 del decreto legislativo n. 626- bis
. A causa delle diverse definizioni, si é realizzata una situazione
per cui alla regola generale dell'applicazione sia dei decreti del Presidente
della Repubblica degli anni '50 sia del decreto legislativo n. 626-
bis , si affiancano situazioni di soggetti tutelati dalle norme del
1955-56, ma non dal nuovo decreto, e situazioni di completa esclusione
da ogni tutela, benché ragioni sostanziali impongano l'estensione
della normativa in materia di sicurezza. Sul problema é intervenuta,
in passato, la Corte costituzionale che, pur ritenendo necessaria un'estensione
della tutela, ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità
dell'esclusione di determinate categorie di lavoratori, a causa della tassatività
e dell'inapplicabilità dell'analogia alle leggi penali. É
quindi necessario ampliare l'ambito di applicazione della normativa prevenzionistica,
onde evitare che le sia pur evidenti esigenze di certezza del diritto penale
si trasformino in irragionevoli differenziazioni di trattamento tra lavoratori
che si trovano nella medesima posizione. A tal fine, il testo unico dovrà
trovare applicazione, oltre alle categorie già previste dal decreto
legislativo n. 626- bis , anche ai lavoratori che svolgono la prestazione
a titolo non oneroso, del resto già inclusi nell'ambito di applicazione
dei decreti degli anni '50, ai partecipanti all'impresa familiare, ai lavoratori
che prestano la loro opera sulla base di un contratto di associazione in
partecipazione, agli addetti a servizi familiari e domestici, ai titolari
di rapporti di prestazione di lavoro coordinata e continuativa a carattere
prevalentemente personale e ai titolari di rapporti di lavoro atipici o,
comunque, non classificabili secondo gli schemi tradizionali. Per queste
categorie di soggetti si prevede, tuttavia, la possibilità di parziali
dero ghe, giustificate dall'incompatibilità delle disposizioni dettate
per la generalità dei lavoratori subordinati con la natura di tali
rapporti.
Si dettano poi i criteri da seguire per una migliore individuazione
dei soggetti coinvolti nell'attività di prevenzione. In merito,
si deve innanzitutto ricordare che, secondo l'articolo 2 del decreto legislativo
n. 626- bis , é datore di lavoro il soggetto titolare del
rapporto di lavoro o, comunque, il soggetto che, secondo il tipo e l'organizzazione
dell'impresa, ha la responsabilità dell'impresa stessa ovvero dell'unità
produttiva, in quanto titolare dei poteri decisionali e di spesa. Nelle
pubbliche amministrazioni, per datore di lavoro si intende il dirigente
al quale spettano i poteri di gestione, ovvero il funzionario non avente
qualifica dirigenziale che sia preposto ad un ufficio avente autonomia
gestionale. Questa definizione, come é emerso già dalle prime
interpretazioni, rischia di creare confusione tra due distinti problemi:
quello dell'individuazione, nell'ambito delle persone giuridiche, della
persona fisica responsabile per l'adempimento degli obblighi gravanti sul
datore di lavoro e quello della delega di tali obblighi. Si prevede, quindi,
di riprendere la formulazione già propria della Direttiva quadro,
che considera datore di lavoro il soggetto che é titolare del rapporto
di lavoro o che ha la responsabilità dell'impresa. Si stabiliscono,
poi, i criteri per la definizione degli altri soggetti coinvolti nell'attività
di prevenzione in azienda e, in particolare, per la definizione di "servizio
di prevenzione e protezione", di "responsabile del servizio di prevenzione
e protezione", di "medico competente", di "rappresentante per la sicurezza".
Salvo per quanto riguarda il responsabile del servizio di prevenzione e
protezione, per il quale é prevista le definizione dei requisiti
professionali necessari in relazione al tipo di impresa e di rischio, per
le altre definizioni si riprende, sostanzialmente, quanto già stabilito
dal decreto legislativo n. 626- bis .
Il punto 10) prevede la definizione delle misure di prevenzione e di sicurezza che devono essere adottate da tutti i datori di lavoro per realizzare l'obiettivo della tutela della salute negli ambienti di lavoro. Anche sotto questo profilo, si riprende sostanzialmente quanto già stabilito dal decreto legislativo n. 626- bis in attuazione della Direttiva quadro.
Il punto 11) detta i criteri e i princípi cui fare riferimento per la definizione degli obblighi generali di sicurezza del datore di lavoro , che, come si accennava sopra, sono disseminati in diverse disposizioni di legge. Si prevede la statuizione di un dovere generale di sicurezza, avente carattere di chiusura, ispirato al principio della massima sicurezza tecnologicamente fattibile e consistente nell'adozione delle misure di sicurezza generali delineate al punto 10), delle misure specifiche previste dalla normativa di carattere tecnico e di tutte le ulteriori misure necessarie secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica.
I princípi e i criteri di cui ai punti da 12) a 20) riguardano
l' obbligo del datore di lavoro di valutare i
rischi presenti in azienda . Tale obbligo, come noto, é
stato introdotto con il recente decreto legislativo n. 626- bis
, che impone al datore di lavoro di redigere un documento contenente una
relazione sulla suddetta valutazione, l'individuazione delle misure di
sicurezza e il relativo programma di attuazione. La normativa in materia,
tuttavia, non é stata formulata in modo chiaro e, per alcuni versi,
appare riduttiva rispetto alla funzione dell'obbligo di valutazione dei
rischi. Se ne prevede, quindi, una semplificazione, al fine di stabilire
piú chiaramente che la valutazione dei rischi deve essere effettuata
con riferimento a tutti i potenziali pericoli insiti nell'attività
lavorativa e che la relativa documentazione deve riguardare l'individuazione
delle misure di sicurezza adottate e quelle che devono essere ancora adottate.
Si vuole, insomma, che la valutazione dei rischi costituisca lo strumento
per spingere gli imprenditori a lavorare esplicitamente per la prevenzione
e a dichiarare il lavoro svolto e quello ancora da svolgere. Sia per dare
effettività al nuovo istituto, sia per agevolare i controlli degli
organi di vigilanza, si stabilisce l'obbligo di trasmettere la documentazione
in questione ai suddetti organi, salvo alcune eccezioni, in relazione alle
dimensioni e alle caratteristiche delle aziende. In merito, é opportuno
chiarire che in questo modo non si introduce, come da molti paventato,
una forma di autodenuncia, perché, comunque, la valutazione dei
rischi e i conseguenti adempimenti fanno parte di un metodo operativo che
il datore di lavoro deve adottare per conseguire il miglior rispetto della
normativa di sicurezza. Essi costituiscono, in realtà, uno strumento
metodologico, fondato comunque su una valutazione di parte.
É necessario, peraltro, sottolineare che il nuovo modello di
prevenzione in materia di sicurezza e igiene del lavoro, realizzatosi con
l'attuazione delle direttive comunitarie, presenta una lacuna vistosa,
perché sottovaluta la fondamentale esigenza di coordinare gli interventi
nei luoghi di lavoro con la piú ampia problematica della tutela
dell'ambiente e delle popolazioni residenti nelle zone vicine ai luoghi
di lavoro. I gravissimi disastri verificatisi in passato hanno infatti
dimostrato che é inconcepibile separare e regolamentare a "compartimenti
stagni", tra loro non comunicanti, la tutela della sicurezza e dell'integrità
fisica dei cittadini dentro e fuori dai luoghi di lavoro. Come si é
già rilevato, l'esigenza di un intervento preventivo integrato era
ben chiara nella legge di riforma sanitaria n. 833 del 1978. Quest'ultima
ha infatti previsto, all'articolo 2, numero 2), "la prevenzione delle malattie
e degli infortuni in ogni ambito di vita e di lavoro" e, sempre all'articolo
2, al numero 5), "la promozione e la salvaguardia della salubrità
e dell'igiene dell'ambiente naturale di vita e di lavoro". Inoltre, all'articolo
4, la legge di riforma sanitaria del 1978 ha previsto l'emanazione di norme
volte ad assicurare condizioni e garanzie di salute uniformi su tutto il
territorio nazionale, anche per quanto riguarda la sicurezza "in ambienti
di vita e di lavoro". Infine, l'articolo 24, nel delegare il Governo ad
emanare un testo unico in materia di sicurezza del lavoro, ha previsto,
come primo criterio, "l'unitarietà degli obiettivi della sicurezza
negli ambienti di lavoro e di vita". Il continuo riferimento operato da
tale legge agli ambienti di vita e di lavoro non é affatto casuale,
anzi, sta proprio a significare la volontà di costruire un modello
di intervento uniforme per le varie attività e situazioni che riguardano
il cittadino, considerato non solo singolarmente ma anche nella sua dimensione
sociale. A tal fine, la riforma ha stabilito altresí che l'attività
di prevenzione e la determinazione dei limiti massimi di accettabilità
delle concentrazioni o dell'esposizione ad agenti nocivi o al rumore siano
fissati con riferimento sia agli ambienti di lavoro, sia agli ambienti
abitativi e al territorio.
Il decreto legislativo n. 626- bis ha sottovalutato la questione,
limitandosi a prevedere, all'articolo 4, comma 5, lettera n) , l'obbligo
del datore di lavoro di prendere provvedimenti appropriati per evitare
che le misure tecniche adottate possano causare rischi per la salute della
popolazione o deteriorare l'ambiente esterno, ma senza fare alcun riferimento
alle esigenze di tutela delle popolazioni laddove definisce le misure generali
di sicurezza.
Occorre quindi rivalutare e dare effettività al metodo di intervento
già delineato nella legge n. 833 del 1978, stabilendo che l'obbligo
generale di sicurezza a carico del datore di lavoro e la valutazione dei
rischi devono riguardare tutti i pericoli e imponendo l'adozione di tutte
le misure necessarie a tutelare, oltre all'integrità fisica e alla
personalità morale dei prestatori di lavoro, anche le popolazioni
e l'ambiente (punti 11) e 12).
Secondo il decreto legislativo n. 626- bis , per le piccole
e medie imprese, ad eccezione di alcune attività particolarmente
a rischio, con decreto dei Ministri del lavoro e della previdenza sociale,
dell'industria, del commercio e dell'artigianato e della sanità,
sentita la Commissione consultiva permanente per la prevenzione degli infortuni
e l'igiene del lavoro, sono definite procedure standardizzate per gli adempimenti
documentali, nonché i casi di scarsa pericolosità nei quali
é possibile lo svolgimento diretto da parte del datore di lavoro
dei compiti del servizio di prevenzione e protezione e la riduzione delle
visite mediche. Si prevedono, comunque, delle eccezioni alla possibilità
di utilizzare le procedure standardizzate. Ma la disposizione mal si adatta
all'attuale realtà produttiva, giacché vi sono diverse attività
particolarmente pericolose che sono comunque ammesse all'utilizzazione
di procedure standardizzate e, d'altra parte, vi sono tipi di attività
e lavorazioni, come ad esempio i lavori stagionali o quelli svolti dalle
associazioni di volontariato, che, pur coinvolgendo un ampio numero di
lavoratori, presentano caratteristiche tali da rendere eccessivo l'adempimento
degli obblighi previsti dal decreto legislativo n. 626- bis e che,
quindi, dovrebbero essere ammessi alle procedure semplificate.
La standardizzazione, del resto, ha lo scopo di rendere piú
agevole l'adempimento degli obblighi di sicurezza da parte delle piccole
e medie imprese, ed é quindi fondamentale che le procedure siano
anche semplificate, onde evitare che l'attività di prevenzione sia
considerata solamente come un ulteriore vincolo burocratico. Si tratta
solo di impedire che la disposizione, anziché semplificare le procedure,
le riduca ad un semplice adempimento formale e che si realizzi una ingiustificata
discriminazione tra lavoratori esposti agli stessi pericoli. É ben
vero che la stessa norma prevede che possano essere individuate, con decreto
ministeriale, le imprese che, in quanto soggette a particolari rischi,
pur essendo di dimensioni ridotte, restano soggette alla regola generale
della documentazione scritta; tuttavia, si tratta di una disposizione riduttiva,
almeno fino a quando non saranno intervenuti tutti i decreti ministeriali.
La ragione per cui si é imposto l'obbligo di valutazione e di
documentazione é proprio quella di assicurare che i datori di lavoro
prendano effettivamente in considerazione i problemi della sicurezza e
svolgano le attività di prevenzione necessarie. É bene, dunque,
che, per tutte le imprese, l'obbligo di effettuare la valutazione dei rischi
sia effettivo e siano chiari i criteri per il riordino dell'ambito di applicazione
delle procedure semplificate e di autocertificazione; detti criteri vanno
stabiliti, oltre che in ragione delle dimensioni dell'azienda, anche sulla
base del tipo di attività e dei rischi per la sicurezza e la salute
dei lavoratori.
Con il punto 19) si interviene sulla questione degli adempimenti per
le imprese di nuova costituzione, per le quali l'articolo 96- bis
del decreto legislativo n. 626- bis dispone che la valutazione dei
rischi deve essere effettuata entro tre mesi dall'inizio dell'attività.
La disposizione é chiaramente in contrasto con i princípi
generali in materia di sicurezza, che impongono la prevenzione dei rischi
alla fonte e la programmazione della prevenzione stessa in modo coerente
ed integrato con le condizioni tecniche e produttive dell'azienda. Dunque,
si dettano i criteri affinché sia stabilito che la valutazione dei
rischi deve precedere l'inizio dell'attività d'impresa. Al fine
di assicurare l'assistenza e il controllo pubblico sulle condizioni di
sicurezza delle attività produttive, si prevede, inoltre, al punto
20), che in caso di rilevanti modifiche dell'attività dell'impresa
sia nuovamente trasmessa la notifica preliminare all'organo di vigilanza.
I princípi e i criteri stabiliti ai punti 21), 22) e 23) riguardano i compiti dei datori di lavoro, dei dirigenti e dei preposti, e si propongono di riordinare e semplificare la normativa in materia, anche al fine di chiarire i limiti entro i quali puó essere ammessa la delega delle funzioni. Il problema é stato affrontato nel decreto legislativo n. 626- bis ; tuttavia, con esso, si é realizzata una situa zione ambigua, perché la disciplina della delega delle funzioni si desume dal combinato disposto di tre diverse disposizioni: l'articolo 1, comma 4- ter , stabilisce che alcuni particolari adempimenti del datore di lavoro non possono essere delegati, l'articolo 4, invece, pone a carico dello stesso anche altri obblighi, che l'articolo 89 sanziona come reati propri del solo datore di lavoro. Per l'inadempimento a tali obblighi, di conseguenza, puó essere considerato responsabile solo tale soggetto, ancorché non vi sia un divieto esplicito di delega. Poiché é assurdo affidare la soluzione di questioni cosí delicate all'interpretazione combinata di tre distinte disposizioni tra loro non chiaramente coordinate, si delega al Governo il compito di riordinare la materia e di esplicitare, con chiarezza, quali siano gli obblighi che il datore di lavoro non puó delegare ad altri soggetti e, per quanto riguarda le funzioni che invece possono essere delegate, quali siano le condizioni di legittimità della delega, anche in conformità ai consolidati orientamenti giurisprudenziali.
I punti da 24) a 26) riguardano il servizio
di prevenzione e di protezione . Si tratta di un istituto introdotto
nel nostro ordinamento con il decreto legislativo n. 626- bis e
costituito dall'insieme delle persone, dei mezzi e dei sistemi interni
o esterni all'azienda di cui il datore di lavoro si avvale per effettuare
la valutazione dei rischi e per l'individuazione delle misure di sicurezza
da adottare. Si propone di riformulare le norme che riguardano le modalità
di costituzione del servizio al fine di semplificarle e di renderle, cosí,
facilmente comprensibili per tutti. Inoltre, si introducono modifiche alle
disposizioni che consentono al datore di lavoro di svolgere personalmente
i compiti del servizio di prevenzione o di avvalersi di competenze esterne
all'impresa, escludendo le imprese che svolgono attività particolarmente
pericolose o comportanti forme di sorveglianza sanitaria speciale.
Infine, poiché il decreto legislativo n. 626- bis si
limita a stabilire che i membri del servizio di prevenzione e di protezione
devono avere "attitudini e capacità adeguate", si prevede l'attivazione
di specifici corsi di formazione e di aggiornamento, necessari per mantenere
i membri del servizio costantemente preparati sull'evoluzione della tecnica
e sull'insorgere di nuovi rischi e pericoli connessi alle condizioni di
lavoro. In merito, va del resto ricordato che già il decreto legislativo
n. 626- bis ha previsto che il datore di lavoro, che intenda svolgere
personalmente i compiti del servizio, deve prima frequentare un apposito
corso di formazione, e non si vede quindi perché analoghi corsi
non debbano essere previsti anche nell'ipotesi in cui i compiti del servizio
siano svolti da altri soggetti.
I punti 27) e 28) dettano i criteri per l'istituzione di un albo dei consulenti per la sicurezza e l'igiene del lavoro , al quale devono essere obbligatoriamente iscritti tutti i soggetti che intendono svolgere attività di consulenza a favore delle imprese in questa materia. Si tratta di una disposizione innovativa, prevista allo scopo di regolamentare l'attività in questione, che nel corso degli ultimi anni ha avuto un rapido sviluppo, soprattutto a causa dell'accresciuta complessità degli adempimenti richiesti alle imprese. Tale sviluppo ha fatto sí che, accanto ad operatori seri e qualificati, molti consulenti e società di dubbia professionalità offrano servizi di consulenza in materia di sicurezza e igiene del lavoro spesso anche a prezzi altissimi e sproporzionati rispetto alla qualità delle prestazioni rese. L'istituzione dell'albo ha dunque lo scopo di selezionare, attraverso la definizione dei requisiti professionali necessari per lo svolgimento dell'attività di consulenza, i soggetti che effettivamente danno sufficienti garanzie di serietà. Per evitare poi ingiuste speculazioni a danno delle imprese, si é prevista anche la definizione di un sistema tariffario per l'attività di consulenza.
I princípi e i criteri stabiliti ai punti da 29) a 33) riguardano i diritti dei lavoratori. L'articolo 5 del decreto legislativo n. 626- bis ha infatti definito compiutamente i doveri del lavoratore, stabilendo che ciascuno deve prendersi cura della propria sicurezza e di quella delle persone presenti sul luogo di lavoro, e ha poi specificato il contenuto di tale dovere in una serie di regole di condotta da tenere durante lo svolgimento della prestazione. D'altra parte, dal complessivo quadro normativo non emerge con sufficiente chiarezza il diritto dei lavoratori a svolgere la prestazione in condizioni di sicurezza. Sotto questo profilo, si deve sottolineare che una ormai ultraventennale giurisprudenza afferma che al dovere di sicurezza posto a carico del datore di lavoro dall'articolo 2087 del codice civile corrisponde un diritto soggettivo perfetto del lavoratore all'adozione di tutte le misure necessarie a tutelarne l'integrità fisica e la personalità morale. Perció la giurisprudenza ha affermato il diritto del lavoratore di rifiutare la prestazione pericolosa o nociva, senza subire alcun pregiudizio retributivo. Inoltre, sia pure con qualche oscillazione, la giurisprudenza afferma che il lavoratore divenuto inidoneo allo svolgimento delle proprie mansioni a causa delle condizioni di lavoro ha diritto ad essere adibito ad altra attività lavorativa compatibile con il suo stato di salute e non puó essere licenziato. I piú recenti provvedimenti legislativi sono intervenuti su queste questioni, ma prevedendo garanzie che per alcuni versi appaiono riduttive rispetto alle acquisizioni giurisprudenziali. L'articolo 14 del decreto legislativo n. 626- bis dispone infatti che il lavoratore puó rifiutare la prestazione solo in caso di pericolo grave, immediato e che non puó essere evitato; ma, come si accennava sopra, la disposizione é riduttiva, sia perché sono stabiliti tre requisiti rigorosi: la gravità, l'immediatezza e l'inevitabilità del pericolo; sia perché non si tiene alcun conto della valutazione soggettiva del lavoratore, che in caso di valutazione errata o di reazione sproporzionata rispetto al pericolo, rischia di essere sanzionato anche se in buona fede, come é già avvenuto in taluni casi. Si propone quindi di ampliare le garanzie del lavoratore, stabilendo espressamente il diritto di svolgere la prestazione in condizioni di sicurezza e il diritto di rifiutarla in tutti i casi di violazione della normativa prevenzionistica e, comunque, tutte le volte che il lavoratore abbia un ragionevole motivo per ritenere di trovarsi in una situazione di pericolo grave e inevitabile. Oltre a ribadire che il lavoratore non puó subire alcun pregiudizio per tale condotta, si delega al Governo il compito di stabilire le procedure necessarie al fine di assicurare che l'attività lavorativa possa riprendere soltanto dopo che siano stati eliminati i pericoli che ne hanno determinato la sospensione. Infine, si prevede una piú completa disciplina dell'inidoneità sopravvenuta del lavoratore. Si deve ricordare che l'articolo 8 del decreto legislativo n. 277 del 1991 prevede che, a seguito del parere del medico, in caso di allontanamento temporaneo da un'attività comportante un'esposizione ad un agente chimico, fisico o biologico, il lavoratore sia assegnato, in quanto possibile, ad un altro posto nell'ambito della stessa azienda. É inoltre previsto che in caso di adibizione a mansioni inferiori il lavoratore conserva il diritto alla retribuzione corrispondente alle mansioni precedentemente svolte. Si tratta, tuttavia, di una disposizione insufficiente e riduttiva. Innanzitutto, perché trova applicazione solo con riferimento ai casi di esposizione a determinati agenti, escludendo tutte le altre ipotesi di inidoneità dovuta a cause inerenti all'attività lavorativa; in secondo luogo, perché mette in discussione la professionalità del lavoratore, in quanto non garantisce il diritto al mutamento di mansioni, essendo questo previsto solo "in quanto possibile"; infine, perché la disposizione si riferisce solo ai casi di allontanamento temporaneo e non risolve il problema dell'inidoneità definitiva. Per assicurare che il lavoratore, che già ha subito un grave danno alla propria salute a causa delle condizioni di lavoro, non debba anche sopportare le conseguenze negative che ne derivano sul piano del rapporto di lavoro, si prevede che se, a seguito dell'accertamento sa nitario, egli viene allontanato dall'attività svolta, ha diritto ad essere adibito a mansioni equivalenti alle ultime effettivamente svolte, e solo ove ció non sia possibile, a mansioni inferiori, senza alcuna diminuzione della retribuzione, e che, salvo il caso di totale incapacità al lavoro, l'inidoneità sopravvenuta dipendente da cause attinenti alle condizioni di lavoro non puó dare luogo al licenziamento del lavoratore.
Al punto 34) si delega il Governo ad integrare le disposizioni di legge relative alla formazione e informazione dei lavoratori prevedendo l'attivazione di campagne informative e di sensibilizzazione sui problemi della sicurezza del lavoro e la creazione di specifici corsi per la preparazione sia del personale pubblico addetto ad attività di prevenzione sia dei soggetti che, quotidianamente, devono rispettare le prescrizioni di sicurezza. A tal fine, il punto 35) prevede che, nella definizione dei finanziamenti, sia riservata una percentuale del Fondo sanitario nazionale all'attività di informazione e formazione in materia prevenzionistica.
I princípi e i criteri stabiliti ai punti da 36) a 44) riguardano la sorveglianza sanitaria dei lavoratori. Si tratta di una materia molto delicata, oggetto di numerosi interventi legislativi. La normativa, infatti, si caratterizza per la sovrapposizione di tre grandi gruppi di disposizioni: i decreti degli anni '50 hanno stabilito l'obbligo di sottoporre il lavoratore a visite mediche periodiche in caso di esposizione a particolari rischi; l'articolo 5 dello Statuto dei lavoratori (legge 20 maggio 1970, n. 300), al fine di garantire l'imparzialità del giudizio del medico e il rispetto del diritto alla riservatezza della persona del lavoratore, ha previsto che i controlli sullo stato di salute dei dipendenti possono essere svolti solo dalle strutture del servizio sanitario pubblico; infine, il decreto legislativo n. 277 del 1991, per quanto riguarda l'esposizione a particolari condizioni di rischio, e il decreto legislativo n. 626- bis per tutte le attività soggette a sorveglianza sanitaria speciale, hanno ampliato notevolmente le funzioni del personale sanitario e hanno consentito al datore di lavoro di avvalersi di medici non dipendenti dal servizio pubblico. Si prevede quindi il riordino della complessa legislazione in materia, cercando anche di apportarvi qualche miglioramento, con l'estensione a tutti i lavoratori del controllo periodico sulle condizioni di salute e con la definizione di nuove modalità della sorveglianza sanitaria speciale, necessaria quando il lavoratore é esposto a particolari rischi. Si introduce, quindi, una distinzione tra l'attività preventiva del medico competente, consistente nella collaborazione con il datore di lavoro relativamente alla valutazione dei rischi e all'attività di prevenzione in azienda, dai controlli sull'idoneità del lavoratore. Per il primo tipo di attività si stabilisce la preferenza per l'impiego di medici del Servizio sanitario nazionale, pur ammettendosi il ricorso a strutture private, ove non sia possibile l'intervento pubblico. Al fine di favorire una maggiore collaborazione delle strutture pubbliche e di ampliarne le possibilità di intervento, si limita a delimitati ambiti territoriali l'incompatibilità tra l'attività effettuata a favore delle imprese e quella di vigilanza svolta per gli organi pubblici di controllo. Per quanto riguarda invece gli accertamenti sanitari sullo stato di salute dei lavoratori, si prevede che questi possano essere svolti soltanto dal servizio pubblico, che deve emettere i propri giudizi sulla base di un formulario standardizzato, al fine di garantire l'imparzialità del giudizio stesso e il rispetto del fondamentale diritto alla riservatezza del lavoratore su fatti attinenti alla propria persona.
Il punto 45) prevede il riordino e il coordinamento delle norme che impongono al datore di lavoro di tenere e aggiornare determinati registri. Anche in questo caso, infatti, diverse disposizioni si sovrappongono: i decreti degli anni '50 prevedono l'obbligo per tutte le imprese di tenere il registro degli infortuni, la legge di riforma sanitaria del 1978 prevede, all'articolo 27, quinto comma, l'istituzione dei registri dei dati ambientali e biostatistici, il decreto legislativo 15 agosto 1991, n. 277 e, da ultimo, il decreto legislativo n. 626- bis prevedono, nuovamente, l'obbligo di tenere il registro degli infortuni e, inoltre, l'obbligo per il medico competente di istituire e aggiornare le cartelle sanitarie e di rischio dei lavoratori sottoposti a sorveglianza sanitaria speciale.
I punti 46), 47) e 48) riguardano gli obblighi dei progettisti, dei fabbricanti, dei fornitori e degli installatori di impianti, macchine, dispositivi di sicurezza e attrezzature di lavoro . La materia era in passato regolata dal decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1955, n. 547, ed é stata nuovamente disciplinata dall'articolo 6 del decreto legislativo n. 626- bis , che impone a tali soggetti di rispettare, nello svolgimento delle proprie attività, le disposizioni relative ai requisiti tecnici di sicurezza. Una disposizione analoga é inoltre contenuta nel decreto legislativo 15 agosto 1991, n. 277, relativamente alla costruzione e realizzazione di nuovi impianti comportanti rischi di esposizione al rumore. Tuttavia, le tre norme hanno formulazioni e ambiti di applicazione parzialmente diversi, sicché vi sono questioni regolate ancora da disposizioni del 1955 e altre disciplinate dai provvedimenti legislativi piú recenti, con differenziazioni anche per quanto riguarda l'apparato sanzionatorio. Si prevede quindi il riordino e l'integrazione tra le diverse disposizioni.
I princípi e i criteri stabiliti ai punti da 49) a 54) riguardano
il riordino e il miglioramento della normativa di sicurezza in caso di
affidamento di lavori da eseguirsi all'interno dell'unità produttiva
ad imprese appaltatrici o a lavoratori autonomi
. Si sottolinea, anzitutto, la necessità di coordinare la
normativa di sicurezza con quella sui lavori pubblici e sugli appalti in
genere, nell'intento di impedire fenomeni assai diffusi in questo campo,
che vanno sistematicamente a discapito della sicurezza. Ma poi, con riferimento
specifico alla norma attualmente contenuta nell'articolo 7 del decreto
legislativo n. 626- bis , si rileva che essa pone a carico del datore
di lavoro committente alcuni obblighi ulteriori, che incidono sia sulla
fase di stipulazione del contratto di appalto o d'opera, sia su quella
della sua esecuzione, stabilendo che il committente deve verificare l'idoneità
tecnico-professionale del lavoratore o dell'impresa appaltatrice e fornire
loro "dettagliate informazioni su rischi specifici esistenti nell'ambiente"
di lavoro. La norma prevede inoltre che, in caso di affidamento di lavori
all'interno dell'azienda a lavoratori autonomi o appaltatori, i datori
di lavoro: a) cooperino all'attuazione delle misure di prevenzione
e protezione dai rischi sul lavoro incidenti sull'attività lavorativa
oggetto dell'appalto; b) coordinino gli interventi di prevenzione
e protezione dai rischi cui sono esposti i lavoratori informandosi reciprocamente
anche al fine di eliminare rischi dovuti alle interferenze tra i lavori
delle diverse imprese coinvolte nell'esecuzione dell'opera complessiva.
L'ultimo comma del citato articolo 7 stabilisce, infine, che spetta al
committente il compito di promuovere la cooperazione e il coordinamento
tra i vari soggetti operanti nell'impresa, ma sancisce anche che tale obbligo
"non si estende ai rischi specifici propri dell'attività delle imprese
appaltatrici o dei singoli lavoratori autonomi". Si pone, in questo modo,
il problema di stabilire sino a che punto debba estendersi l'obbligo di
coordinamento e cooperazione del committente. Va ricordato che l'affidamento
dei lavori a soggetti esterni ha sempre costituito, nel nostro Paese, un
facile espediente per sottrarre il datore di lavoro alle proprie responsabilità,
anche in materia di sicurezza, e che in molti casi é lo stesso contenuto
del contratto di appalto ad ingenerare rilevanti problemi per la tutela
della salute e dell'incolumità fisica dei lavoratori perché
é anche dai tempi e ritmi di lavoro in tale contratto concordati
che possono derivare ulteriori pericoli o un aggravio di quelli già
esistenti.
Del resto, la nostra stessa legislazione, sia pure con riferimento
a particolari fatti specie di appalto, aveva già previsto norme
piú precise: l'articolo 18 della legge 19 marzo 1990, n. 55, aveva
stabilito, in materia di appalti pubblici, l'obbligo di predisporre, prima
dell'inizio dei lavori, un piano di sicurezza e di coordinare l'attività
delle diverse imprese operanti sui luoghi di lavoro; successivamente, il
decreto legislativo 14 agosto 1996, n. 494, ha introdotto ben piú
consistenti regole per garantire la sicurezza nei cantieri. Si prevede
quindi una migliore definizione degli obblighi di coordinamento e cooperazione
e, piú in generale, delle procedure, delle attività organizzative
e delle responsabilità del committente, degli appaltatori e degli
altri soggetti presenti nei luoghi di lavoro necessari per garantire la
sicurezza dei lavori. A tal fine, si é fatto riferimento a quanto
già stabilito dalla nuova normativa in materia di cantieri temporanei
e mobili di cui al decreto legislativo n. 494 del 1996. In particolare,
oltre a prevedere il coordinamento con la suddetta normativa, si impone
al datore di lavoro committente di redigere un piano di sicurezza che tenga
conto dei rischi e delle misure di sicurezza necessarie in relazione alla
presenza, simultanea o successiva, nei luoghi di lavoro, di piú
imprese. L'elaborazione del piano deve costituire requisito di validità
del contratto; esso, inoltre, deve essere allegato al documento di valutazione
dei rischi effettuato dalle singole imprese presenti nei luoghi di lavoro
e inviato alle competenti autorità di controllo. Si prevede, tra
l'altro, che il mancato rispetto, da parte di una delle imprese operanti
nei luoghi di lavoro, delle misure di sicurezza previste nel piano costituisce
inadempimento tale da giustificare la risoluzione del contratto di appalto
o di lavoro autonomo. Viene poi chiaramente stabilito che il datore di
lavoro committente ha l'obbligo di vigilare sull'adozione, da parte di
tutti i lavoratori presenti nei luoghi di lavoro, delle misure di sicurezza
necessarie.
Infine, si assicura ai lavoratori una adeguata e specifica informazione
sui potenziali rischi derivanti dalla presenza simultanea o successiva
di piú imprese nei luoghi di lavoro, nonché sui nominativi
dei responsabili dei servizi di prevenzione e di protezione e di quelli
di emergenza. Analoghi diritti di informazione e formazione devono essere
riconosciuti ai rappresentanti dei lavoratori di tutte le imprese, che
devono poter accedere ai luoghi di lavoro e alla documentazione relativa
al piano di sicurezza. Agli stessi, inoltre, é esplicitamente riconosciuto
il diritto di essere consultati preventivamente sul piano di sicurezza
e sulle sue eventuali modifiche, di ricevere i chiarimenti che ritengano
necessari e di incontrarsi e coordinarsi nel compimento delle funzioni
loro assegnate.
I punti 55), 56) e 57) dettano i criteri per adeguare la normativa prevenzionistica alle esigenze organizzative dei gruppi di imprese . Lo scopo é quello di assicurare il coordinamento, da parte della direzione del gruppo, dell'attività di prevenzione, anche mediante la facoltà di costituire un servizio di prevenzione e protezione unico, e di assicurare ai lavoratori e ai loro rappresentanti la possibilità di coordinarsi per l'esercizio delle loro funzioni. In materia, si prevede inoltre che, qualora piú imprese dello stesso gruppo utilizzino gli stessi luoghi di lavoro, sia adottato un piano di sicurezza che tenga conto della presenza simultanea di piú organizzazioni produttive negli ambienti di lavoro e siano assicurate ai lavoratori una informazione e una formazione adeguata ai rischi connessi alla presenza di altre imprese nei luoghi di lavoro.
I princípi e i criteri stabiliti ai punti da 59) a 63) riguardano
le funzioni e i diritti del rappresentante dei
lavoratori per la sicurezza . Il diritto dei lavoratori di nominare
una propria rappresentanza per il controllo e la promozione delle misure
di sicurezza é stato introdotto nel nostro ordinamento con l'articolo
9 dello Statuto dei lavoratori. Con il decreto legislativo n. 626- bis
é stata poi prevista la nomina del rappresentante dei lavoratori
per la sicurezza in tutte le imprese e ne sono state disciplinate le funzioni.
L'articolo 19 del decreto legislativo n. 626- bis attribuisce infatti
al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza: 1) il diritto di accesso
ai luoghi di lavoro; 2) il diritto di essere consultato preventivamente
e tempestivamente sulla valutazione dei rischi, sull'attuazione delle misure
di sicurezza, sulla designazione degli addetti ai servizi di prevenzione
e di emergenza e sull'organizzazione della formazione; 3) il diritto di
ricevere le informazioni e la documentazione aziendale attinente alla valutazione
dei rischi e alle misure di prevenzione, alle sostanze e preparati pericolosi,
alle macchine, agli impianti e all'organizzazione e agli ambienti di lavoro,
nonché agli infortuni e malattie professionali; 4) il diritto di
ricevere le informazioni provenienti dai servizi di vigilanza; 5) il diritto
di ricevere una formazione adeguata; 6) il diritto di promuovere l'elaborazione,
l'individuazione e l'attuazione delle misure di sicurezza; 7) il diritto
di formulare osservazioni in occasione delle visite delle autorità;
8) il diritto di partecipare alla riunione periodica di prevenzione; 9)
il diritto di ricorrere alle autorità competenti qualora le misure
di sicurezza non siano idonee. L'esercizio di tali funzioni deve peró
essere disciplinato dalla contrattazione collettiva. Quest'ultima, in qualche
caso, ha introdotto disposizioni restrittive delle modalità di esercizio
dei suddetti diritti. In alcuni contratti, ad esempio, non é previsto
uno specifico monte ore di permessi, ma un periodo di aspettativa non retribuita,
mentre il diritto di accesso ai luoghi di lavoro puó essere esercitato
solo in presenza di un rappresentante dell'associazione dei datori di lavoro,
previa comunicazione all'organismo paritetico territoriale e conferma dell'associazione
dei datori di lavoro. Anche per quanto riguarda le altre prerogative del
rappresentante dei lavoratori per la sicurezza si deve registrare la presenza
di alcune disposizioni restrittive. Ad esempio, si dispone che il rappresentante
dei lavoratori per la sicurezza, in occasione della consultazione, ha facoltà
di formulare proprie proposte "avendone il tempo necessario". In altri
casi, invece, la contrattazione collettiva ha introdotto importanti innovazioni
come quella dei "delegati di bacino" per imprese minori ed artigiani, con
un'iniziativa che va recepita nella legge, per assicurarne la diffusione
e l'estensione a tutti i settori produttivi.
L'esperienza maturata con l'applicazione dell'articolo 9 dello Statuto
dei lavoratori, del resto, ha dimostrato la frapposizione, da parte di
diverse imprese, di ostacoli all'operato delle rappresentanze dei lavoratori,
alle quali é stato spesso impedito l'accesso ai luoghi di lavoro,
sono state negate le informazioni necessarie allo svolgimento dei loro
compiti, oppure é stata imposta la presenza di esponenti della direzione
aziendale alle visite e ai colloqui con i lavoratori.
In molti settori, inoltre, non si é ancora trovato un accordo
sulla materia.
Affinché il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza possa
svolgere in modo efficace il proprio mandato, é dunque necessario
che siano assicurate la piena libertà di azione contro ogni ostacolo
e una effettiva funzione di rappresentanza degli interessi dei lavoratori.
A tal fine, si dispone che il rappresentante possa esercitare le proprie
funzioni, secondo le prescrizioni minime di legge, anche nel caso in cui
la contrattazione collettiva non ne abbia definito le modalità di
esercizio, o le abbia definite in modo insufficiente, e che, in ogni caso,
l'esercizio dei diritti del rappresentante non possa essere subordinato
all'adempimento di particolari oneri. Si prevede, inoltre, che il rappresentante
possa avvalersi, nell'adempimento delle proprie funzioni, della collaborazione
di tecnici esterni specializzati e che lo stesso abbia diritto di ricevere
dall'impresa tutte le informazioni necessarie e che possa utilizzarle ai
fini della prevenzione, pur nella salvaguardia del segreto industriale.
Infine, si dispone espressamente che il rappresentante puó rivolgersi
all'autorità giudiziaria al fine di ottenere l'adozione delle misure
di sicurezza effettivamente necessarie e che lo stesso puó ricorrere
al giu dice per ottenere, con lo speciale procedimento d'urgenza di cui
all'articolo 28 dello Statuto dei lavoratori, la cessazione dei comportamenti
del datore di lavoro volti a limitare l'esercizio dei diritti previsti
dalla legge.
I punti 64) e 65) riguardano la riunione periodica
di prevenzione e protezione che, a norma del decreto legislativo
n. 626- bis, si deve tenere obbligatoriamente in tutte le imprese
che occupano piú di quindici dipendenti una volta all'anno e nei
casi di significative variazioni delle condizioni di sicurezza. La previsione
ha chiaramente lo scopo di assicurare un luogo di confronto e di collaborazione
dei soggetti coinvolti nell'attività di prevenzione sui luoghi di
lavoro. Infatti, alla riunione partecipano il datore di lavoro, il responsabile
del servizio di prevenzione e protezione, il medico competente e il rappresentante
per la sicurezza, che devono esaminare il documento di valutazione dei
rischi, l'idoneità dei mezzi di protezione individuale e i programmi
di informazione e formazione dei lavoratori. Per assicurare che la riunione
costituisca un momento di effettivo confronto e che siano valutati tutti
gli aspetti della programmazione e dell'attuazione delle misure di prevenzione,
si é cercato di integrare la normativa in due sensi. Da una parte
si é previsto che alla riunione partecipino anche i membri delle
rappresentanze sindacali aziendali, i lavoratori incaricati dei servizi
di emergenza e, qualora ció sia richiesto da uno degli aventi diritto
a parteciparvi, anche i rappresentanti dei servizi pubblici di prevenzione.
Dall'altra si é integrato l'ordine del giorno della riunione, stabilendo
che siano valutati anche l'attuazione delle prescrizioni impartite dagli
organi di vigilanza, l'idoneità dei piani di gestione dell'emergenza,
le proposte di adozione di nuove misure di sicurezza e di igiene, le proposte
di indagini e ricerche specifiche connesse all'insorgenza di nuovi rischi,
i progetti di modifica dell'organizzazione produttiva rilevanti sotto il
profilo della sicurezza e, infine, l'idoneità delle misure di sicurezza
per quanto riguarda la tutela dell'ambiente esterno e della salute dei
cittadini.
I princípi e i criteri fissati ai punti da 66) a 82) riguardano
la normativa di carattere specifico. In sostanza, si prevede il riordino
e l'integrazione delle disposizioni relative alle regole e alle procedure
di sicurezza da seguire nella programmazione e nello svolgimento dell'attività
lavorativa. Prima di entrare nel merito di quanto stabilito in relazione
ai singoli aspetti regolamentati, é bene precisare che le disposizioni
in questione si limitano a prevedere la definizione delle regole generali
da seguire in materia di sicurezza e igiene del lavoro, mentre per quanto
riguarda gli aspetti e le disposizioni di carattere tecnico, si é
ritenuto opportuno, anche al fine di consentirne un rapido aggiornamento,
delegificare la materia, prevedendo, all'articolo 6, l'emanazione di un
regolamento da parte del Governo.
Tornando alle regole e alle procedure generali di sicurezza, i punti da 66) a 70) riguardano i requisiti minimi di sicurezza e di igiene dei luoghi e dei posti di lavoro . Oltre alla definizione di "luogo", di "ambiente" e di "posto" di lavoro, si prevede la definizione dei requisiti minimi di agibilità dei locali di lavoro, con riguardo, tra l'altro, sia alle caratteristiche strutturali, sia ai requisiti di illuminazione, temperatura e aerazione dei locali, sia alle regole da seguire per assicurare adeguate condizioni di igiene. Si prevede, inoltre, la definizione dei requisiti di sicurezza dei posti di lavoro, con particolare riferimento alla predisposizione di spazi e di attrezzature conformi ai princípi di ergonomia previsti dalle norme adottate dagli enti ed istituti di armonizzazione italiani ed europei.
Il punto 71) riguarda i servizi igienico-assistenziali e prevede il riordino e l'aggiornamento delle disposizioni legislative in materia, che si trovano sia nei decreti degli anni '50, sia nei piú recenti provvedimenti attuativi delle direttive comunitarie relativi a specifici settori di attività (ad esempio, nel decreto legislativo 15 agosto 1991, n. 277, per quanto riguarda l'esposizione a rumore e ad agenti chimici, fisici o biologici), sia, infine, nel decreto legislativo n. 626- bis .
Il punto 72) riguarda le regole generali in materia di pronto soccorso, salvataggio, lotta antincendio e gestione dell'emergenza, attualmente disseminate in diversi provvedimenti normativi e regolamentari. Si prevede, in particolare, il riordino e l'aggiornamento delle disposizioni relative alla cassetta del pronto soccorso (il cui contenuto, ancora oggi, é stabilito da un decreto ministeriale del 1958) e alla predisposizione, ove necessario, di un apposito locale di pronto soccorso. Inoltre, si dettano le disposizioni necessarie affinché siano organizzati i servizi di emergenza all'interno dell'impresa e siano definiti i rapporti con i servizi pubblici competenti in materia.
I punti 73) e 74) definiscono gli obblighi dei datori di lavoro e le regole generali di sicurezza da seguire nell'utilizzo di macchine, impianti, apparecchi, utensili e attrezzature di lavoro , mentre i punti 75) e 76) definiscono gli obblighi e le procedure da seguire nella scelta e nell'utilizzo dei dispositivi di protezione individuale.
Il punto 77) riguarda la movimentazione manuale dei carichi , la cui regolamentazione é stata introdotta nel nostro ordinamento soltanto con il decreto legislativo n. 626- bis . Si dispone, conformemente a quanto già stabilito dal suddetto decreto, l'adozione delle misure necessarie per evitare la movimentazione manuale dei carichi e, ove ció non sia possibile, la predisposizione di tutte le misure di sicurezza necessarie per evitare o ridurre i rischi. Tuttavia, innovando la disciplina precedente, che riguarda solo le misure di prevenzione connesse ai rischi dorso-lombari, si é fatto riferimento a tutti i possibili rischi per la salute connessi alla movimentazione manuale dei carichi.
I punti 78), 79) e 80) riguardano l'utilizzo di attrezzature munite di videoterminali . La materia é stata disciplinata per la prima volta con il decreto legislativo n. 626- bis , il quale tuttavia, limita l'applicazione delle disposizioni a tutela della salute solo ai lavoratori addetti a videoterminali per quattro ore "consecutive". Si tratta di una disposizione fortemente riduttiva, che rende la norma applicabile solo in limitati casi e che é stata oggetto di un intervento della Corte di giustizia delle Comunità europee. Con sentenza del 12 dicembre 1996 (C-74/95 e C-129/95) la Corte ha affermato che é rimessa alla discrezionalità degli Stati membri la definizione del "periodo significativo" di adibizione a videoterminali in relazione al quale trova applicazione la normativa prevenzionistica e, tuttavia, ha altresí precisato che, comunque, tutti i posti di lavoro muniti di videoterminale devono rispondere ai requisiti di sicurezza e salute stabiliti dalla Direttiva comunitaria. Già nei pareri espressi dalle Commissioni lavoro del Senato e della Camera sullo schema del decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, comunque, era stata sottolineata l'esigenza di ampliare l'ambito di applicazione della normativa a tutti i lavoratori addetti a videoterminali per una media di quattro ore giornaliere, pareri che tuttavia, sotto questo profilo, sono stati inspiegabilmente disattesi dal Governo. Sempre allo scopo di estendere, nel senso sopra delineato, l'ambito di applicazione della normativa in materia di videoterminali, é stato altresí presentato al Senato un disegno di legge, in data 25 giugno 1996 (atto Senato n. 770, d'iniziativa del senatore Smuraglia), di modifica dell'articolo 51 del decreto legislativo n. 626- bis , che é appunto la disposizione che regola la materia. Nel disegno di legge si riproponeva, dunque, l'applicazione della normativa a tutti i lavoratori addetti a videoterminali per una media di quattro ore al giorno per tutta la settimana lavorativa e, in conformità a quanto stabilito dalla Corte di giustizia, si prevedeva che tutti i posti di lavoro muniti di videoterminale dovessero rispondere ai requisiti di salute e di sicurezza. Ora, dopo la decisione della Corte di giustizia, si impone un riordino della materia.
Il punto 81) é volto al riordinare la normativa relativa all'impiego
di agenti fisici, chimici, biologici e cancerogeni e ai rischi derivanti
dall'esposizione a rumore o a sostanze e preparati
pericolosi o nocivi. La normativa in materia, infatti
é estremamente complessa: alle disposizioni contenute nei decreti
del 1955/56 si sono aggiunti, nel corso degli anni '80, altri interventi
relativi all'impiego di particolari agenti o sostanze, e, nel corso degli
anni '90, il decreto legislativo 15 agosto 1991, n. 277, che detta le regole
generali da seguire nell'impiego di agenti nocivi e regole specifiche per
l'esposizione a rumore e per l'impiego di alcuni agenti nocivi, il decreto
legislativo 25 gennaio 1992, n. 77, relativo all'impiego di altri agenti
nocivi e il decreto legislativo n. 626- bis , che, nuovamente, detta
regole di carattere sia generale, sia specifico. Si prevede, quindi, il
riordino della materia, mediante la definizione degli obblighi, delle procedure
e delle misure di sicurezza applicabili in tutti i casi di impiego di agenti
o sostanze pericolose o nocive, rinviando poi la determinazione delle misure
tecniche e specifiche relative all'impiego di ciascun agente alle specifiche
discipline di cui agli articoli 5 e 6.
Il punto 82), infine, prevede il riordino delle disposizioni in materia
di segnaletica di sicurezza , attualmente
contenute nel decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1955, n.
547, nel decreto legislativo n. 626- bis e nel decreto legislativo
14 agosto 1996, n. 493.
Il punto 83) detta alcune disposizioni per la tutela
della specificità femminile nel lavoro , non limitata
solo agli aspetti della salute riproduttiva e delle lavoratrici madri.
Si prevedono il riordino della normativa contenuta nella legge 30 dicembre
1971, n. 1204, e nel decreto legislativo 25 novembre 1996, n. 645, che
ha dato attuazione alla direttiva 92/85/CEE del Consiglio, del 19 ottobre
1992, concernente l'attuazione di misure atte a promuovere il miglioramento
della sicurezza e della salute sul lavoro delle lavoratrici gestanti, puerpere
o in periodo di allattamento. Allo scopo di predisporre strumenti idonei
a verificare gli effetti nocivi delle condizioni di lavoro sulla salute
delle lavoratrici madri si introducono peró anche disposizioni innovative,
che riprendono, in sostanza, il contenuto del disegno di legge presentato
il 28 aprile 1994 dai senatori Smuraglia e altri (atto Senato n. 192, XII
legislatura). Si prevede, anzitutto, un potenziamento delle funzioni di
prevenzione delle unità sanitarie locali, alle quali é attribuito
il compito di informare le lavoratrici sui rischi per la gravidanza e,
piú in generale, per la salute riproduttiva collegati all'attività
lavorativa e alle possibili interazioni tra l'attività lavorativa
stessa, il lavoro casalingo e le abitudini personali. Al fine di acquisire
le conoscenze necessarie per un'efficace attività preventiva si
prevedono l'istituzione, presso le unità sanitarie locali, di osservatori
sui rischi per la salute riproduttiva e per la gravidanza, e la predisposizione
di schede di rilevazione dei rischi. É inoltre prevista l'istituzione
di osservatori regionali, ai quali é attribuito il compito di rilevare
i rischi e di elaborare i relativi programmi di prevenzione.
Per assicurare il coordinamento degli interventi pubblici in materia,
si prevede, infine, l'estensione alle unità sanitarie locali del
potere, già riconosciuto all'Ispettorato del lavoro, di disporre
l'interdizione dal lavoro della lavoratrice in gravidanza in caso di pericolo
per la salute della lavoratrice stessa o del nascituro.
Sul piano del rapporto di lavoro, oltre al riordino delle disposizioni
relative all'obbligo del datore di lavoro di valutare i rischi per la salute
delle lavoratrici madri e al divieto di adibizione a lavori faticosi, pericolosi
e insalubri e al lavoro notturno, si prevede il diritto delle lavoratrici
a permessi retribuiti per partecipare ai programmi di informazione e di
prevenzione organizzati dal servizio pubblico e l'obbligo del datore di
lavoro di informare i lavoratori e il rappresentante della sicurezza sugli
esiti della valutazione dei rischi per le lavoratrici madri.
Fin qui, per restare agli aspetti piú "tradizionali". Peraltro,
si é compiuto anche uno sforzo per superare un gap molto
grave perfino sul terreno della conoscenza; infatti, si sa ormai che il
lavoro (e ancora di piú il doppio lavoro) produce effetti specifici,
sul piano della sicurezza e della salute, sulla donna. Ma il tema é
ancora poco approfondito e poco studiato. E dunque, bisogna mettere in
campo strumenti anche di osservazione e di rilevazione che consentano di
conoscere ed affrontare i fenomeni con piena conoscenza di causa.
I punti da 84) a 88) riguardano il settore della pubblica
amministrazione e dettano alcune disposizioni volte a risolvere
i problemi emersi nell'applicazione del decreto legislativo n. 626-
bis . In merito si deve infatti rilevare che secondo la prima formulazione
dell'articolo 1, il decreto trovava applicazione a tutte le pubbliche amministrazioni,
comprese le forze armate e di polizia e la protezione civile; per queste
ultime, si teneva conto delle particolari esigenze connesse al servizio
espletato e delle attribuzioni proprie di tali strutture, da individuarsi
con decreto ministeriale. A tali possibilità di deroga il decreto
legislativo n. 242 del 1996 ha aggiunto le strutture giudiziarie e penitenziarie,
quelle destinate per finalità istituzionali alle attività
degli organi con compiti in materia di ordine e sicurezza pubblica, le
università, gli istituti di istruzione universitaria, gli istituti
di istruzione e educazione di ogni ordine e grado, le rappresentanze diplomatiche
e consolari, i mezzi di trasporto aerei e marittimi. Inoltre, l'articolo
9, comma 22, del decreto-legge 1º ottobre 1996, n. 510, convertito,
con modificazioni, dalla legge 28 novembre 1996, n. 608, ha aggiunto gli
archivi, le biblioteche, i musei e le aree archeologiche dello Stato. Il
giudizio sulle deroghe cosí introdotte é molto severo, perché,
si é detto, si sta creando una gara all'esclusione dall'ambito di
applicazione della legge. A ció si deve aggiungere che la definizione
di datore di lavoro contenuta nel decreto legislativo n. 626- bis
, di cui, peraltro, si é già detto, pone problemi di difficile
soluzione per quanto riguarda la ripartizione degli obblighi e delle responsabilità
tra i vari soggetti e che il decreto legislativo n. 626- bis ha
trovato ampi settori della pubblica amministrazione impreparati, sia sotto
il profilo dell'organizzazione degli interventi prevenzionistici richiesti,
sia sotto il profilo della disponibilità dei mezzi finanziari necessari
per l'adeguamento alla normativa in materia di sicurezza e igiene del lavoro.
Per cercare di ovviare a tali problemi, e per sviluppare una maggiore consapevolezza
dell'importanza, anche sotto il profilo della migliore qualità dei
servizi offerti ai cittadini, della prevenzione e della sicurezza del lavoro,
si dettano alcune disposizioni volte a razionalizzare l'intervento prevenzionistico
dell'amministrazione pubblica. Si prevede l'adozione dei provvedimenti
necessari per l'individuazione dei soggetti tenuti all'adempimento degli
obblighi di sicurezza e l'obbligo di predisporre un piano di rientro nella
sicurezza e le procedure da seguire per assicurare il mantenimento, nel
tempo, dei livelli di sicurezza. Inoltre, si stabilisce che le pubbliche
amministrazioni devono obbligatoriamente destinare una quota delle proprie
risorse economiche all'attività di prevenzione.
Infine, si detta una disposizione volta a chiarire il contenuto dell'articolo
20, comma 3, del decreto legislativo n. 626- bis , in base al quale
gli organismi paritetici aventi funzioni di orientamento e di promozione
di iniziative formative in materia di sicurezza e igiene del lavoro, nell'ambito
della pubblica amministrazione, sono destinatari degli stessi diritti di
informazione che la legge riconosce in via generale alle rappresentanze
sindacali.
I punti da 89) a 102) riguardano il settore agricolo che, a causa di alcune sue caratteristiche peculiari, richiede un intervento in parte differenziato, e che in sede di indicazioni e direttive comunitarie é stato sempre trascurato o comunque considerato in modo meno specifico. Infatti, questo settore si distingue per una forte presenza di aziende condotte direttamente dal titolare con l'ausilio dei familiari e per una forte parcellizzazione delle imprese sul territorio, che rendono difficile la prevenzione. Le caratteristiche del lavoro, inoltre, svolto in massima parte all'aperto, secondo i ritmi biologici delle colture e delle specie animali allevate, con mezzi tecnici disparati e spesso in terreni declivi che condizionano la sicurezza delle macchine, sono ulteriori elementi che impongono la predisposizione di una normativa speciale. Tra l'altro, i grandi mutamenti avvenuti con la meccanizzazione e con l'utilizzo di sostanze chimiche di varia nocività e pericolosità hanno determinato un forte aumento degli infortuni e delle malattie professionali, tabellate e non.
La disattenzione cui si é accennato é dimostrata dal fatto
che fra i disegni di legge presentati dai componenti della cosiddetta "Commissione
Lama", nel 1989, ce n'era anche uno dedicato a questa specifica tematica,
che peró non ebbe la fortuna di compiere neppure un passo; che altri
disegni di legge, che tenevano ampio conto di quel lavoro e di quel disegno
di legge, sono stati presentati, per iniziativa dei senatori Smuraglia
ed altri, nelle successive legislature, senza successo e che anche l'ultimo
(atto Senato n. 47, presentato il 9 maggio 1996) é rimasto al palo.
Da ció l'impegno e la necessità di alcune indicazioni di
carattere generale da inserire nel testo unico e di una disciplina piú
specifica ed analitica, da affidare ad apposito decreto (vedi articolo
5).
Si dettano, anzitutto, alcune disposizioni di carattere definitorio,
necessarie per stabilire l'ambito di applicazione della normativa specifica,
cercando di tenere conto, anche nella statuizione degli obblighi generali
di sicurezza, delle caratteristiche dei soggetti che svolgono attività
nel settore agricolo e, in particolare, della forte presenza di lavoratori
autonomi. Anche con riferimento a questo settore, si conferma il ruolo
centrale delle unità sanitarie locali nell'attività di prevenzione,
prevedendo, tra l'altro, l'acquisizione del personale avente le competenze
specifiche necessarie e l'attivazione di piani specifici di prevenzione
per l'agricoltura. Si prevedono, inoltre, la definizione dei requisiti
minimi di sicurezza degli ambienti di lavoro, distinguendo tra ambienti
chiusi e zone aperte, e la regolamentazione della produzione, dell'immissione
sul mercato e dell'utilizzo di macchine agricole, disponendo, tra l'altro,
il riordino delle numerose disposizioni legislative e regolamentari che
hanno dato attuazione alle direttive comunitarie in materia di trattori
agricoli e forestali.
Di particolare importanza sono le disposizioni relative alle misure
di sicurezza e di igiene da adottare nell'impiego delle sostanze chimiche
in agricoltura, volte a regolamentare sia la produzione e la vendita, sia
la conservazione e l'utilizzo delle sostanze da parte delle aziende agricole,
sia, infine, la sorveglianza sanitaria dei lavoratori e l'attivazione di
idonee campagne di informazione da parte del Servizio sanitario nazionale.
Alcune disposizioni sono poi volte ad assicurare la tutela della salute
e la prevenzione con riguardo alla specificità femminile. In questo
settore, infatti, i pericoli per la salute in generale e per gli aspetti
riproduttivi sono particolarmente elevati, anche a causa dell'interazione
tra attività lavorativa e attività domestica.
I punti da 103) a 109) dettano alcune disposizioni volte a favorire
la circolazione delle informazioni e il coordinamento
delle attività delle pubbliche amministrazioni in materia di prevenzione
e sicurezza sul lavoro . Si prevede, analogamente a quanto già
stabilito dall'articolo 24 del decreto legislativo n. 626- bis ,
che le unità sanitarie locali, le regioni, il Corpo nazionale dei
vigili del fuoco, l'Istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza
del lavoro, l'INAIL e altri enti o istituti pubblici che operano nel campo
della prevenzione svolgano attività di informazione, assistenza
e consulenza alle imprese. Si stabiliscono, inoltre, i criteri per assicurare
omogeneità di comportamenti da parte delle strutture pubbliche e
per assicurare il coordinamento delle attività prevenzionistiche,
soprattutto prevedendo la possibilità di accedere reciprocamente
alle informazioni e ai dati rilevanti sotto il profilo prevenzionistico.
Per assicurare una migliore conoscenza delle condizioni di lavoro e
di rischio, é altresí prevista l'adozione di un sistema di
raccolta dei dati e di un
sistema informativo da realizzarsi mediante la creazione
di strumenti di collegamento telematico e di banche dati. Infine, si dispone
che siano adottati i provvedimenti necessari per assicurare, anche mediante
la collaborazione di enti o istituti specializzati, la realizzazione di
indagini specifiche sullo sviluppo di nuove malattie e di nuovi disturbi
connessi alle condizioni di lavoro. Si sottolinea con forza anche la necessità
di potenziare il lavoro di ricerca applicata, con la collaborazione degli
enti e istituti preposti e soprattutto degli istituti o dipartimenti universitari
di medicina del lavoro, anche per affrontare problemi e tematiche poco
conosciute (nuove patologie, nuove nocività, campi elettromagnetici,
eccetera).
I punti da 110) a 121) prevedono i criteri per il riordino delle funzioni
di vigilanza e dell' apparato prevenzionale
. La legge n. 833 del 1978, come noto, ha trasferito le funzioni di vigilanza,
precedentemente svolte dall'Ispettorato del lavoro, alle unità sanitarie
locali e l'articolo 23 del decreto legislativo n. 626- bis ha confermato
tale scelta. Tuttavia, la nuova disposizione non ha risolto alcune vecchie
questioni e, anzi, ne ha poste di nuove. Infatti, l'articolo 7 del decreto
del Presidente della Repubblica n. 616 del 1977 ha mantenuto, sia pure
in via transitoria, anche in capo all'Ispettorato del lavoro le funzioni
di polizia giudiziaria in materia. Tale norma ha di fatto consentito, e
consente tuttora, all'Ispettorato del lavoro di continuare a svolgere alcuni
tipi di controllo sulla sicurezza e igiene del lavoro, ponendo delicati
problemi di coordinamento tra le attività dei due apparati.
Non risolve, anzi complica il problema il decreto legislativo n. 626-
bis che, all'articolo 23, dopo aver riconfermato, al comma 1, la competenza
delle unità sanitarie locali, fa salve, al comma 2, le competenze
in materia di vigilanza attribuite dalla legislazione vigente all'Ispettorato
del lavoro e prevede che con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri
saranno individuate le attività comportanti rischi particolarmente
elevati per le quali la vigilanza potrà essere esercitata anche
dall'ispettorato del lavoro.
Nemmeno il decreto legislativo 19 dicembre 1994, n. 758, che ha riformato
in parte la materia, ha portato chiarezza sulla questione. L'articolo 19,
infatti, definisce "organo di vigilanza" il personale ispettivo delle unità
sanitarie locali, ma "fatte salve le diverse competenze previste da altre
norme".
Il sistema dei controlli pubblici emergente dalla normativa complessiva
é irrazionale ed é di conseguenza necessario un nuovo intervento
legislativo. Su questo punto, infatti, tutti gli interpreti concordano,
anche se poi le soluzioni prospettate sono diverse. L'attribuzione alle
unità sanitarie locali della competenza in materia di igiene e sicurezza,
che qui si prevede, trova la propria ragion d'essere nel fatto che non
é possibile separare la prevenzione e la tutela nei luoghi di lavoro
dalla piú ampia azione in materia di tutela della salute ed integrità
fisica dei cittadini e dell'ambiente e che, di conseguenza, non é
concepibile avere un sistema di controllo sul lavoro disgiunto e separato
da quello relativo alla tutela delle popolazioni e dell'ambiente esterno.
Si prevede, quindi, di destinare le funzioni essenziali dell'Ispettorato
del lavoro al controllo del rispetto della normativa in materia di lavoro
subordinato, imponendo, peró, un coordinamento effettivo ed una
reale collaborazione tra Ispettorato del lavoro e unità sanitarie
locali, con particolare riferimento ai casi (si pensi, ad esempio, al lavoro
nero) in cui l'intreccio, non solo tra le varie tipologie di condotte inosservanti,
ma anche tra forme diverse di messa in pe ricolo di interessi tutti meritevoli
di tutela, impone un lavoro coordinato. Si propone, dunque, al tempo stesso,
di ridurre al minimo i possibili casi di sovrapposizione o conflitti di
competenza e di introdurre idonee procedure volte ad assicurare le modalità
di coordinamento. Un'indicazione specifica viene formulata per ció
che attiene alle zone portuali, nelle quali occorre evitare la polverizzazione
delle competenze e definire con precisione l'ambito degli interventi, riservando
solo ad ipotesi particolari, l'intervento di autorità diverse dalle
unità sanitarie locali, ma sempre sulla base di giustificazioni
oggettive e con obbligo, comunque, di collaborazione e cordinazione.
Un discorso a parte deve essere fatto per quanto riguarda i controlli
di conformità ai requisiti essenziali di sicurezza dei
dispositivi di protezione individuale e delle macchine. In entrambi i casi
il controllo, finalizzato al ritiro dal mercato e al divieto di utilizzazione
di dispositivi o macchine non sicuri, é affidato ai Ministeri dell'industria,
del commercio e dell'artigianato e del lavoro e della previdenza sociale,
in coordinamento permanente tra loro. Anche sotto questo profilo, per dare
coerenza al sistema, appare opportuno trasferire la competenza in materia
al Ministero della sanità.
Con il decreto legislativo n. 758 del 1994, come si accennava sopra,
il legislatore ha razionalizzato e migliorato il complesso apparato sanzionatorio
posto a tutela della sicurezza e igiene del lavoro. Rimangono tuttavia
ancora da risolvere alcuni rilevanti problemi, dovuti, soprattutto, alla
sovrapposizione della nuova normativa con quella precedente.
Una delle piú rilevanti questioni é quella della distinzione
tra prescrizione, diffida e disposizione. L'articolo 25 del decreto legislativo
n. 758 del 1994 ha stabilito che per le contravvenzioni in materia di sicurezza
e igiene del lavoro non si applicano le norme vigenti relative alla diffida
e alla disposizione, contenute negli articoli 9 e 10 del decreto del Presidente
della Repubblica n. 520 del 1955, che disciplina le funzioni e i poteri
dell'ispettorato del lavoro; norme che sono parzialmente richiamate, per
quanto riguarda in specifico le unità sanitarie locali, della legge
n. 833 del 1978.
Si é di conseguenza creata una situazione particolare, caratterizzata
dalla presenza di diverse forme di intervento dell'organo di vigilanza,
tra loro non coordinate: oltre alla nuova prescrizione
, vi sono le disposizioni che intervengono a precisare le modalità
di adempimento ad un precetto legale elastico penalmente sanzionato, quelle
volte all'adozione di ulteriori misure di sicurezza necessarie a fronte
di una situazione di pericolo, che non integrano fattispecie contravvenzionali,
e quelle che consistono in provvedimenti adottati in relazione a norme
che riservano espressamente all'organo di vigilanza la specificazione o
la deroga al contenuto del precetto legale. A queste si deve inoltre aggiungere
lo speciale provvedimento di cui all'articolo 20 della legge n. 833 del
1978, in base al quale gli interventi di prevenzione all'interno degli
ambienti di lavoro concernenti la ricerca, l'elaborazione e l'attuazione
di misure necessarie ed idonee a tutelare la salute e l'integrità
fisica dei lavoratori, e non previste da specifiche norme di legge, sono
effettuati sulla base di esigenze verificate congiuntamente con le rappresentanze
sindacali ed il datore di lavoro. La disposizione puó considerarsi
superata, nella parte in cui fa riferimento alle rappresentanze sindacali
aziendali, giacché é stata istituita la nuova e diversa figura
del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, ma si tratta di una
procedura certamente attuale, nella parte in cui riconosce il ruolo delle
rappresentanze dei lavoratori nell'individuazione delle misure di sicurezza
necessarie in azienda.
Si prevede, dunque, di riordinare il quadro dei provvedimenti che possono
essere presi dagli organi di vigilanza e, in particolare di introdurre,
accanto alla nuova prescrizione, un provvedimento per la rimozione delle
situazioni di pericolo non direttamente riconducibili ad un reato contravven
zionale, che si sostituisca alla disposizione di cui all'articolo 10 del
decreto del Presidente della Repubblica 19 marzo 1955, n. 520, e alle norme
dettate per l'Ispettorato del lavoro, in modo da escluderne l'applicazione
in materia di igiene e sicurezza. In ogni caso, anche per non svuotare
di contenuti l'istituto del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza,
si introducono nuove disposizioni volte a consentire alle rappresentanze
dei lavoratori di intervenire in ogni fase dei procedimenti in materia
di igiene e sicurezza, precisando che le visite degli organi ispettivi
devono essere effettuate alla presenza del rappresentante dei lavoratori
per la sicurezza e che i provvedimenti di disposizione devono essere emanati
a seguito di un esame congiunto con il datore di lavoro e con lo stesso
rappresentante.
Infine, si dettano i criteri da seguire per risolvere alcuni problemi
emersi nella prima fase di applicazione del nuovo istituto della prescrizione.
Poiché, come detto, la prescrizione ha la funzione di rimuovere
la situazione di pericolo causata dall'inadempimento alle norme di legge
in materia, ne deriva che essa ha senso e utilità solo nei casi
in cui la situazione pericolosa si protrae nel tempo e puó essere
eliminata dal contravventore. Dunque, non si puó ricorrere alla
prescrizione con riferimento ai reati istantanei o a quelli di carattere
commissivo, per i quali non é concepibile che la lesione persista
nel tempo. Per tali fattispecie contravvenzionali, si stabilisce quindi
che non trovano applicazione gli istituti della prescrizione e della sospensione
del procedimento penale.
Sotto altro profilo, si deve rilevare che i tempi concessi alle imprese
per l'adempimento alle prescrizioni impartite dagli organi di vigilanza
sono decisamente troppo lunghi: il decreto legislativo n. 758 del 1994
prevede, infatti, un termine di sei mesi, ma con la possibilità
di ottenere una proroga di ulteriori sei mesi. Inoltre, l'articolo 30 del
decreto legislativo n. 242 del 1996 ha stabilito che sino al 31 dicembre
1997 i termini per l'adempimento alle prescrizioni impartite dagli organi
di vigilanza sono raddoppiati. Di conseguenza, a fronte di una accertata
violazione della normativa prevenzionistica, il tempo concesso per la regolarizzazione
puó raggiungere i due anni. É d'altra parte evidente che,
proprio perché ci si trova di fronte ad una violazione della normativa
in materia di tutela della sicurezza e della salute, non é possibile
ammettere che i lavoratori restino, per ben due anni, esposti al rischio
di gravi lesioni alla propria persona. Si propone, dunque, di ridurre i
tempi per l'adempimento alle prescrizioni, stabilendo che il termine massimo
non puó superare i tre mesi, con la possibilità di ottenere
una proroga di un mese.
Inoltre, la prescrizione si applica soltanto ai reati in materia di
sicurezza e igiene del lavoro puniti con la pena alternativa dell'arresto
o dell'ammenda in base alle norme indicate nell'allegato I del decreto
legislativo n. 758 del 1994. Pertanto, le contravvenzioni introdotte successivamente
all'emanazione di tale decreto, non rientrando nell'allegato, non sono
suscettibili di estinzione mediante la nuova prescrizione. Dovrebbero quindi
trovare applicazione le norme vigenti in tema di disposizione e diffida,
ció che peró introdurrebbe una evidente disparità
di trattamento e riproporrebbe i gravi problemi di coordinamento di cui
si é detto sopra.
Il problema é emerso in tutta la sua portata con riferimento
al decreto legislativo n. 494 del 1996, relativo alle misure di sicurezza
da adottare nei cantieri temporanei o mobili, che commina le pene alternative
dell'arresto e dell'ammenda, senza tuttavia richiamare il decreto legislativo
n. 758 del 1994, e si é riproposto esattamente negli stessi termini
per il decreto legislativo 14 agosto 1996, n. 493, concernente le prescrizioni
minime per la segnaletica di sicurezza nei luoghi di lavoro. Si prevede
quindi una modifica dell'ambito di applicazione della prescrizione, in
modo da consentirne l'automatica estensione a tutte le fattispecie contrav
venzionali in materia di sicurezza e igiene del lavoro.
Infine, si dettano i criteri necessari per risolvere il problema delle
sanzioni per l'inosservanza dei provvedimenti impartiti dall'organo
di vigilanza. L'articolo 11 del decreto legislativo n. 758 del 1994 dispone
infatti la pena dell'arresto fino a un mese o dell'ammenda fino a lire
ottocentomila "se l'inosservanza riguarda le disposizioni impartite dagli
ispettori del lavoro in materia di sicurezza o igiene del lavoro". A causa
dell'espresso riferimento all'Ispettorato del lavoro, é stato rilevato
da alcuni interpreti, la norma non é applicabile in caso di inosservanza
alle disposizioni impartite dagli operatori delle unità sanitarie
locali. Inoltre, lo stesso uso del termine "disposizioni" genera confusione,
ponendo il problema di stabilire se esso si riferisca alla nuova prescrizione
o al provvedimento di disposizione, limitatamente alle ipotesi in cui questo
possa ancora essere emanato.
I princípi e i criteri fissati ai punti da 122) a 129), infine,
introducono alcune disposizioni relative all' apparato
sanzionatorio e di carattere processuale , riprendendo il contenuto
del disegno di legge presentato il 9 maggio 1996 (atto Senato n. 51).
Le contravvenzioni in materia di sicurezza e igiene del lavoro, in
passato, erano prevalentemente sanzionate con la pena dell'ammenda, mentre
l'arresto era previsto esclusivamente per i casi di maggiore gravità.
Con la riforma dell'apparato sanzionatorio, attuata con decreto legislativo
n. 758 del 1994, si é invece stabilita la regola della pena alternativa
dell'arresto non superiore a sei mesi e dell'ammenda non superiore a dieci
milioni. L'inasprimento delle pene potrebbe apparire in contrasto con le
piú recenti tendenze verso la depenalizzazione dei reati minori;
tuttavia va ricordato che le disposizioni in questione sono poste a garanzia
del rispetto di diritti fondamentali della persona - quelli alla vita e
alla salute - la cui tutela é strettamente connessa alla realizzazione
di un preminente interesse pubblico, come chiaramente dispone l'articolo
32 della Costituzione. Inoltre, come si é visto, una delle piú
importanti novità della riforma consiste nella previsione di una
particolare forma di estinzione del reato, consistente nell'adempimento,
entro un determinato termine, delle prescrizioni impartite dall'organo
di vigilanza al fine di eliminare la situazione di pericolo. A ció
si aggiunga che, anche in caso di inosservanza della prescrizione, é
possibile richiedere al giudice l'estinzione del reato mediante l'oblazione
di cui all'articolo 162- bis del codice penale; questo a condizione,
tuttavia, che siano eliminate le conseguenze dannose o pericolose della
contravvenzione. La ratio di tali disposizioni é chiaramente
quella di attribuire all'apparato sanzionatorio una funzione decisamente
preventiva, privilegiando la realizzazione dell'interesse pubblico e del
diritto dei lavoratori alla sicurezza e igiene del lavoro rispetto alla
funzione meramente repressiva. L'inasprimento delle pene appare dunque
ampiamente giustificato, sol che si consideri che la loro applicazione,
grazie allo speciale istituto della prescrizione, sarà riservata
esclusivamente ai casi in cui proprio non vi é alcuna volontà
di regolarizzare la situazione. Sotto questo profilo, va ricordato che
il precedente sistema, prevedendo, spesso, la sola pena dell'ammenda, aveva
finito col trasformare la sanzione in un mero costo aggiuntivo per l'impresa,
magari inferiore a quello che la stessa avrebbe dovuto sopportare per la
rimozione delle situazioni di pericolo, frustrando, cosí, la funzione
preventiva della normativa.
Per quanto riguarda non solo le contravvenzioni, ma eventualmente i
reati di lesioni colpose e di omicidio colposo, commessi con violazione
di norme sulla sicurezza, si sono verificati casi in cui, anche attraverso
l'applicazione dell'istituto del patteggiamento, a fronte di gravi lesioni
subite dai lavoratori, i datori di lavoro sono stati condannati al solo
pagamento di poche centinaia di migliaia di lire, senza eliminazione della
situazione di pericolo e senza risarcimento dei danni subiti dai lavoratori.
Al fi ne di evitare il ripetersi di simili episodi, si prevede l'introduzione
di disposizioni volte a rafforzare l'efficacia dell'apparato sanzionatorio.
Si deve altresí rilevare che, soprattutto per quanto riguarda
i reati di esposizione a pericolo, come quelli relativi alla circolazione
stradale, allo svolgimento di attività produttive pericolose e alla
sicurezza del lavoro, la tendenza, in tutti i Paesi del mondo, é
nel senso di adottare anche sanzioni di carattere interdittivo o, comunque,
atipiche, che, per loro natura, hanno spesso piú effetto rispetto
alla previsione di sanzioni penali pecuniarie o di pene detentive che,
notoriamente, non vengono poi scontate. In questo senso si puó rilevare
che in Francia, sin dal 1976, sono state introdotte pene di carattere interdittivo:
il responsabile di gravi e ripetute infrazioni alla normativa prevenzionistica
che abbiano causato un infortunio sul lavoro é soggetto alla sanzione
del divieto di esercitare, per un massimo di cinque anni, determinate funzioni
(stabilite dal giudice caso per caso) all'interno dell'organizzazione di
impresa.
Si prevede, quindi, l'introduzione nel nostro ordinamento, - anche
a livello di pena principale - di sanzioni di carattere interdittivo e
atipiche, graduate in relazione alla gravità dell'infrazione. Si
prevede inoltre che, nei casi in cui sia da irrogare la pena detentiva,
sia applicata anche la sanzione della sospensione per un anno dai benefici
contributivi eventualmente goduti dall'impresa; per i casi piú gravi,
in cui sia accertato il reato di omicidio colposo o di lesioni colpose
gravi commesso in violazione della normativa prevenzionistica, si prevede
l'applicazione delle pene accessorie dell'interdizione temporanea dagli
uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese e dell'incapacità
a contrattare con la pubblica amministrazione.
Si prevede, inoltre, l'introduzione di alcune disposizioni volte a
regolare l'intervento e la costituzione di parte
civile delle rappresentanze dei lavoratori nei procedimenti
penali per reati in materia di sicurezza e igiene del lavoro. Il nuovo
codice di procedura penale, infatti, consente l'intervento nel processo
degli enti esponenziali, ma con facoltà limitate, perché
tali enti possono soltanto indicare elementi di prova o presentare memorie,
ma non partecipare attivamente al dibattimento. Inoltre, sebbene con il
nuovo codice sia stata ammessa la costituzione di parte civile delle associazioni,
l'orientamento prevalente in giurisprudenza ritiene che ció possa
avvenire solo a fronte della lesione di diritto soggettivo proprio dell'associazione
stessa e non dell'interesse collettivo o diffuso che l'associazione rappresenta.
In questo senso, si é affermato che il reato in materia prevenzionistica
dal quale sia derivato un infortunio o una malattia professionale comporta
soltanto la lesione del diritto alla salute del singolo lavoratore e che,
quindi, soltanto quest'ultimo é legittimato a costituirsi parte
civile nel procedimento penale. É evidente che, in questo modo,
si privano le rappresentanze dei lavoratori della possibilità di
dare voce e di difendere l'interesse collettivo dei lavoratori alla sicurezza
del lavoro e si nega la stessa rilevanza della dimensione collettiva della
sicurezza sul lavoro, che non puó non riguardare tutti i lavoratori
esposti ai medesimi rischi. Per garantire quindi che, effettivamente, il
procedimento penale porti alla rimozione delle situazioni di pericolo e
per assicurare il risarcimento dei danni alla parte lesa, si introducono
disposizioni volte a consentire alle organizzazioni sindacali e al rappresentante
dei lavoratori per la sicurezza di intervenire nel processo e di costituirsi
parte civile, per ottenere il risarcimento del danno sotto forma di rimozione
delle situazioni pericolose e di miglioramento delle condizioni di lavoro.
Si dispone, infine, che l'ammissione alla procedura del patteggiamento
sia condizionata, oltre che alla rimozione della situazione di pericolo,
all'avvenuto risarcimento del danno.
Come si é detto all'inizio, determinate - per il testo unico
- le regole generali ed i relativi obblighi, valevoli per tutti i soggetti
e per tutti i settori, si é ritenuto opportuno prevedere (articolo
5) una serie di deleghe per l'emanazione di disposizioni specifiche per
settori particolari. Ovviamente, si tratta di una specificazione analitica
- settore per settore - di quanto previsto solo in termini generali dal
testo unico. I settori prescelti per questo tipo di disciplina sono di
per sé significativi o per la loro particolare rischiosità
o per la necessaria complessità della disciplina oppure ancora per
la mancanza di una normativa preesistente idonea e completa. Sono stati
cosí previsti decreti legislativi per: costruzioni e cantieri, industrie
estrattive, lavori in sotterraneo, lavorazioni agricole, radiazioni, apparecchi
a pressione, attività con rischi di incidenti rilevanti, oltre all'attribuzione
di una delega per ulteriori normative specifiche per settori particolari,
che potranno essere di volta in volta individuate, ma sempre sulla base
degli stessi criteri e sempre nel presupposto della normativa generale
del testo unico.
Per questi decreti, il procedimento é un pó meno vincolato
e si prevede anche la possibilità di continui ed agevoli aggiornamenti.
Con l'articolo 6, si prevede l'emanazione di un regolamento di carattere
attuativo, con disposizioni attinenti - per quanto possibile - agli aspetti
piú tecnici ed analitici. Il procedimento, in questo caso, sia per
l'emanazione che per l'aggiornamento, é ulteriormente semplificato.
Basta scorrere le materie che dovrebbero essere contenute nel regolamento
per rilevare come si tratti di aspetti anch'essi di carattere generale
ma assai piú analitici e tecnici di quanto si potesse fare nel testo
unico, il quale, certamente, con l'inserimento delle disposizioni analitiche
attinenti a quelle materie, sarebbe stato fortemente e inutilmente appesantito.
Ció non toglie che le disposizioni regolamentari riguardino tutti
i settori, esattamente come quelle del testo unico; potrà, se mai,
essere riservata ai decreti legislativi "settoriali" qualche specificazione
diversa, ma solo nei casi in cui ció sia imposto dalla particolarità
del settore, dall'esperienza specifica e dalla tecnica.
L'articolo 7 stabilisce i criteri per l'attuazione delle direttive
comunitarie in materia prevenzionistica. Si é innanzitutto tenuto
conto del sistema di attuazione delle direttive comunitarie delineato dalla
legge 9 marzo 1989, n. 86, e, dunque, si é ribadito che le direttive
vengono attuate secondo le procedure stabilite con tale legge. Per evitare,
tuttavia, che le nuove disposizioni si sovrappongano alle precedenti senza
alcuna forma di coordinamento, si é previsto che, per quanto riguarda
le disposizioni di carattere generale che modificano le norme del testo
unico, ogni tre anni il Governo deve presentare al Parlamento un disegno
di legge di delegazione per l'integrazione nel testo unico delle nuove
norme, mentre, per quanto riguarda la normativa di carattere tecnico, si
é previsto che ogni tre anni il Governo, con uno o piú regolamenti,
integra e coordina le nuove disposizioni con quelle precedentemente in
vigore.
L'articolo 8 definisce i tempi di entrata in vigore dei decreti legislativi
e del regolamento e l'articolo 9 autorizza il Governo a procedere all'abrogazione
delle disposizioni legislative vigenti relative alle materie disciplinate
dai decreti legislativi. Per evitare che si creino situazioni di vuoto
normativo, o contraddittorietà all'interno della complessiva disciplina,
si prevede, comunque, il divieto di abbassamento degli attuali livelli
di tutela.
L'articolo 10, infine, prevede la possibilità di emanare disposizioni
integrative o correttive dei decreti legislativi entro il termine di ventiquattro
mesi dalla data della loro entrata in vigore.
In conclusione, si tratta di un tentativo di tratteggiare i fondamenti
di un quadro complessivo della disciplina della prevenzione, della sicurezza
e dell'igiene mediante lo strumento del testo unico per gli aspetti piú
generali, di alcuni decreti delegati per settori specifici ed esposti a
rischi particolari ed infine del regolamento di carattere attuativo e tecnico.
Il tutto anche con la possibilità di aggiornamento agevole, soprattutto
per le disposizioni a carattere specifico.
Se lo sforzo sia compiuto, senza lasciare lacune, ma anche ovviando
ad ogni possibile sovrapposizione di norme, lo si potrà giudicare
in seguito, anche nella fase di esame e di discussione del provvedimento,
il quale, comunque, vuol essere aperto ad ogni possibile contributo.
Ció che interessa é tendere all'obiettivo di una disciplina
coordinata, certa e chiaramente percepibile, per quanto riguarda doveri,
obblighi e quant'altro, per chiunque, nella ferma convinzione che ogni
sforzo deve convergere, da un lato, sulla definizione di una frontiera
il piú possibile impervia per ogni fonte di rischio e, dall'altro,
sulla creazione di un sistema fondato essenzialmente sulla prevenzione
e nel quale la repressione costituisca soltanto l' extrema ratio
.
Ció nella convinzione che il livello degli infortuni e delle
malattie da lavoro potrà finalmente essere abbattuto in modo consistente
solo quando si creerà una vera e diffusa cultura della prevenzione.
A quest'ultima, la legge puó dare un contributo rilevante non solo
adottando norme chiare e ben coordinate, ma anche delineando un messaggio
altrettanto chiaro ed inequivocabile, che valga come impegno della collettività
contro tutto ció che puó costituire minaccia e danno per
l'integrità fisica della persona che lavora.