Architetture

ma0. h-Ouse


FANTASMI

Ogni architettura porta con sé come una nebulosa, un fantasma che è poi tutto il groviglio di intenzioni e vincoli che concorrono a mettere in piedi un progetto e infine, quando accade, l'architettura stessa, spesso a distanze siderali da quella nebulosa che l'ha partorita: a volte è la storia, quando non è la malafede o la superficialità dell'architetto, che allontana l'architettura da quelle che potremmo più semplicemente definire le intenzioni progettuali; infatti "non c'è arma della tua volontà individuale che, maneggiata da altri, non si ritorca contro di te" (1). E paradossalmente, per una specie di legge della gravitazione universale dell'architettura, tanto più grande è questa distanza tanto più la nebulosa si ingigantisce, e pletoricamente, comicamente –per chi da profano leggesse un testo qualsiasi di presentazione di un progetto- pretende di descrivere non tanto il perché di due camere e cucina ma dell'universo stesso. È l'altra faccia di tutte quelle architetture per cui l'autore non spende una parola, la cui evidenza sopravvive attraverso tutti i detournément che la storia opera su di esse.

"Se si sceglie di non progettare direttamente sul terreno, in una simultaneità di pensiero e realizzazione ma si introduce tra idea e progetto il disegno questo per sua natura ci costringe a riferirci non all'"area" ma alla sua rappresentazione costringendoci quindi ad attraversare un vuoto pericoloso tra la concretezza di un tema topologico e il suo fantasma" (2) scriveva Franco Purini in anni in cui quella nebuolsa gravitava intorno alla realtà cercando fuori tempo massimo di ancorarsi alle permanenze geometriche e letterarie del territorio, raccontando di una condizione esistenziale che oggi che "nell'età del simultaneo, della giustapposizione, del vicino e del lontano, del fianco a fianco e del disperso" (3), è quantomai attuale, e lo è ancor di più nel momento in cui dobbiamo affrontare un progetto in termini puramente teorici.



[10sep2001]
È quanto accaduto con il progetto di h-0use, sviluppato per il concorso The final house in Giappone e che successivamente ci ha portato insieme a pochi altri –incredibilmente- ad Archilab 2001 dall'Italia, in cui ci siamo trovati di fronte ad un tema apparentemente trascurato negli ultimi anni: la casa -materia grezza ed imponente dello sviluppo urbano, elemento povero rispetto ai tanti Guggenheim che si vanno auspicando nei grandi concorsi internazionali. Un tema posto in termini così astratti (la casa finale) ci ha obbligati a moltiplicare nel futuro quella nebulosa che costruiamo intorno al progetto, a sognare ad occhi aperti. 



h-Ouse è dunque una visione dell'abitare del futuro: assume come realizzate alcune potenzialità tecnologico/costruttive e infrastrutturali per rispondere agli sviluppi socio-economici già in atto, fenomeni di de-territorializzazione a scala globale legati a flussi migratori sempre più consistenti che spezzano il rapporto cultura/territorio, mobilità e diffusione di beni materiali e immateriali, radicali modificazioni dell'ecosistema preindustriale ed espoliazione delle risorse energetiche e alimentari.

h-0use è l'abitare in un futuro in cui sarà venuta meno in altre parole la condizione su cui si è definito fino ad oggi l'abitare: il radicamento delle tecnologie e delle culture in un un luogo, a definire ciò che è un territorio.

I processi di globalizzazione in atto stanno investendo infatti profondamente l'abitare alterando il rapporto tra l'identità del suo abitante e le condizioni al contorno (tecnologie, economie, tradizioni etc...). modificando l'interazione tra spazio interno, ventre abitato segnato appropriato da chi lo vive, vero e proprio cumulo di sicurezze e feticci che proiettano all'interno movimenti che avvengono ben aldilà delle mura domestiche, e spazio esterno. 

Senza utente e senza intorno l'abitare non esiste, non è definibile. 

Ma l'uomo esiste ancora e "tende a vivere all'interno di uno spazio chiuso, limitato. Ha bisogno di avere attorno a sé una barriera che delimiti lo spazio che ha occupato, lo separi e lo protegga da un qualcosa che nel momento stesso in cui viene tracciato il confine diventa"altro", "diverso". (4)

Di fronte a tale spaesamento, di fronte alla necessità di semplificare, semplificare per ridurre il tutto a un progetto, e di immaginare una casa per un territorio ed un abitante che non c'è -ma anche questa è una semplificazione estremistica, perché "lo spazio viene perciò annullato come distanza, ma esaltato come luogo" (5)- non ci è rimasto più nulla se non due corpi, astratti nella loro semplificazione ma concreti allo stesso tempo: la terra e il corpo.

NOTE

(1). Tra virgolette, ma senza autore in: Raoul Vaneigem "Trattato sul saper vivere ad uso delle giovani generazioni", Malatempora 1999.
(2). Franco Purini "Una interpretazione del concetto di area in architettura" in Dal progetto scritti teorici di Franco Purini 1966-1991, Ed. Kappa 1992.
(3). Michel Focault, Spazi altri. I principi dell'eterotopia, in Lotus International, 1985-86 n° 48-49 pp. 9-17. 
(4). Piero Zanini Significati del confine p. XV, Bruno Mondadori 1997.
(5). Marco d'Eramo "Lo sciamano in elicottero", p.158, Feltrinelli 1999.
(6). "per l'uomo privato, (...) rappresenta l'universo. In esso raccoglie il lontano e il passato. Il suo salotto è un palco del teatro universale. (…) L'intérieur non è solo l'universo, ma anche la custodia dell'uomo privato. Abitare significa lasciare impronte, ed esse acquistano, nell'intérieur, un rilievo particolare." W. Benjamin Parigi. La capitale del XIX secolo in Angelus Novus, Einaudi 1962.
(7). Paul Virilio, in Virilio Remix, in "Earthscapes", video IaN+ ma0, presentato a Venezia a Gerico 20+20+20 giovani architetti italiani, 2000. Il corsivo è mio.
Abbiamo svuotato da ogni oggetto e feticcio l'intérieur (6) e, divenuto indefinibile il territorio, abbiamo dovuto pensare ad una terra che per mutazioni genetiche e cataclismi ambientali, o per un'inaspettata conversione delle politiche industriali globali, tornasse ad essere terra vergine.

Stretta tra queste due nudità indifese/offese l'architettura si è ridotta ad un limite che come una pelle si adatta ai due corpi che stiamo modificando radicalmente, lieve sulla terra, avvolgente sul corpo. E se un progetto evanescente come questo, nel quale però abbiamo cercato di depurare qualsiasi codice dell'architettura, di renderlo evidente come può esserlo un film di fantascienza, o come un sogno ad occhi aperti, se questo progetto ha un qualche valore, oltre le sue mere qualità formali, è proprio nell'indicare una ricerca di un rapporto diverso tra corpo, architettura e territorio.

"Se non capiamo la necessità di una doppia ecologia, sostanziale e spazio-temporale, ci troveremo in una situazione molto grave: troncheremo il rapporto tra corpo -l'uomo- e mondo -la Terra-, l'ambiente. Tutto è in situ e hic et nunc. Quel che posso dire è che i danzatori, i teatranti e gli architetti -gli artisti- sono in prima linea. Perché? Perché i danzatori? Perché lo strumento della danza è il corpo, la corporeità. Perché la gente di teatro? Perché al contrario del cinema è la presenza fisica dell'attore sul palcoscenico che fa la grandezza del teatro. E gli architetti. Perché gli architetti danno il riparo ai corpi, non a fantasmi."(7)





Per altre considerazioni su h-0use vi rimandiamo al sito del ma0 che abbiamo finito e messo in rete da pochi giorni nel quale progetti evanescenti come questo sono mescolati all'attività professionale, senza alcuna categorizzazione; unica debole distinzione è quella tra due insiemi "media" e "architettura", che effettivamente descrive il raggio di azione dello studio, ma è una distinzione di comodo, dal momento che intendiamo media etimologicamente come ciò che sta in mezzo: interfaccia o muro fa poca differenza quando i territori del fisico e dell'immateriale si mescolano.



Il sito è dunque concepito per perdersi tra i diversi aspetti del lavoro dello studio: i progetti di concorso –premiati e non-, le installazioni e i "conceptual playgrounds" si dispiegano come in una nebulosa legati gli uni agli altri da linee di forza trasversali, che più che una guida alla lettura del nostro lavoro, rappresentano i continui travasi tra realtà professionale ad un estremo e la ricerca –con tutti i suoi fantasmi - dall'altro; la traccia ad esempio che collega h-0use con Earthscapes, il progetto con IaN+ per il concorso Città III millennio della VII Biennale di Architettura di Venezia, da cui è stato tratto un video in cui abbiamo inserito il testo di Virilio di cui sopra, porta al progetto per Europan6 e da lì al progetto esecutivo per una piazza di tre anni fa, una delle nostre prime occasioni professionali: questi progetti condividono, l'uno con quello che lo segue, un'impostazione concettuale, una ricerca di un rapporto con il suolo, l'idea di architettura come articolazione di confini. Ma poiché ogni progetto stabilisce più di una relazione con altri questo percorso è solo uno dei possibili: tutto si cortocircuita, e ogni link potrebbe portare i altri mille luoghi, ben oltre i limiti della disciplina, in una misurazione continua dello scarto che da architetti dobbiamo -ed è una esortazione- continuare a misurare tra la realtà -e la complessità- ed i nostri fantasmi.

Alberto Iacovoni
alberto.iacovoni@libero.it
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