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Architetture

BASE1. Urban Periscope



Da qualche decennio ormai gli architetti romani si dividono tra depressione e autocompiacimento. Da un lato sembrano (sembriamo, sembriamo...) impotenti a cambiare una cultura politica e amministrativa abituata a ignorare con disprezzo ogni loro proposta e a cancellarli impietosamente dai processi di costruzione della città. Dall'altro si rivelano troppo spesso inclini a "rifarsi" di questa frustrazione con l'attitudine a mirabolanti prove grafiche e figurative (ieri manuali oggi digitali) che certamente hanno il pregio di mettere provvisoriamente in luce chi ha più talento ma che alla lunga finiscono per consolidare quella condizione di incomunicabilità tra la società e i suoi architetti più colti e coraggiosi. Per questo, confesso, mi capita di guardare ai fenomeni architettonici di vecchie e nuove "scuole romane" con un surplus di scetticismo e una sensazione diffusa di doloroso spreco di risorse. Vedo infatti molti architetti attenti a sperimentare forme e metodi radicali e innovativi, basati sull'uso creativo del computer o sull'attitudine all'evento urbano, ma sembrano ancora pochi quelli che hanno voglia di mettere insieme la giusta aspirazione ad allinearsi alle "ultime tendenze" internazionali con una elaborazione concettuale propria e originale e con uno sguardo innovativo sulla città e i suoi problemi (Roma e non solo). Sguardo ed elaborazione che forse permetterebbero di sfondare il "muro di gomma" di comittenze pubbliche e private e di affrontare con maggior possibilità di non soccombere sia la crescente invadenza di sovintendenze e conservatori vari sia l'abbraccio "peloso" e ancor più mortale di associazioni professionali neoredente, nuovi aspiranti alla carica di "maestro" e quant'altro.

[02dec2001]








Per questo, per questa strana insofferenza dell'architettura romana verso la stringatezza concettuale e le idee forti, la proposta del gruppo BASE1 per l'area della stazione di Mendrisio mi pare particolarmente interessante, con il suo dispositivo progettuale chiaro ed evidente, con le sue forme leggere e mutevoli, con la sua aspirazione ad essere luogo di relazioni piuttosto che di forme definite. Per questo mi pare logico che un gruppo con questo genere di ambizioni espressive sia andato a cercar gloria all'estero, in particolar modo in Svizzera, la madre adottiva dell'espressione rigorosa e concisa. Non che quello degli otto giovani romani sia un progetto "svizzero". Anzi, manca del tutto, e per fortuna, del lusso formale, della ieratica compostezza e circolarità retorica che caratterizzano il tardomoderno elvetico. All'opposto la sua forza e la sua credibilità si affidano a significati di tutt'altro segno: l'incertezza, la mutabilità, il senso del tempo e del movimento. Il progetto consiste di tre parti essenziali, immediatamente identificabili: il sottosuolo con la stazione e gli spazi pubblici e commerciali; i "periscopi", elementi verticali vetrati che nei punti sensibili fanno affiorare la nuova stazione alla quota della città; le residenze, genericamente indicate come più "tradizionali", dislocate sul versante sud-ovest della stazione.





La parte più studiata e definita del progetto è certamente quella che riguarda il sottosuolo, nel quale gli otto autori si sono sforzati fa ben convivere le funzioni legate alla ferrovia, quelle commerciali e di svago, quelle di puro attraversamente da una parte all'altra della città. La pianta ha un andamento obliquo e articolato, che consente alla città di attraversare trasversalmente l'area della stazione, e ai progettisti di dare una forma fluida e variabile, vagamente rizomatica, al grande ambiente. La planimetria farebbe certamente sorgere qualche problema al momento di realizzare davvero tutti quegli ambienti lunghi e stretti, inevitabili cul de sac, ma allo stesso tempo rende bene l'idea di uno spazio caratterizzato dal movimento e dalle relazioni piuttosto che da una sua propria tetragona identità, come spesso accade nelle stazioni poste sotto al livello dei binari, quando hanno forme più rigide e monumentali.



I periscopi, frutto di una elaborazione in chiave astratta del tema dello spazio modulare, hanno un grado di definizione minore e si mostrano nel progetto in una veste molto grafica, ipercomunicativa, non del tutto riscattata dal flash "esecutivo", ma che allo stesso tempo riesce a far intuire il possibile ruolo, specialmente notturno, di queste scatole luminose nella città e nei suio percorsi. Le residenze appaiono invece come un puro sfondo progettuale, ribadendo il sistema "componibile" dei periscopi. In sostanza un progetto che sceglie una soluzione tenica certamente non inedita, ma che la svolge con sorprendente chiarezza e con una buona capacità di "tenere duro" sui concetti base del proprio programma architettonico. La proposta di BASE1 (Cecilia Anselmi, Barbara Appolloni, Chiara Baccarini, Stefano Caiulo, Mattia Darò, Gianluca Evels, Simona Martino, Carlo Prati) è infatti stata premiata con una menzione speciale al concorso Europan 2001 di Mendrisio.

Pippo Ciorra
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