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Architetture

Candidato da ARCH'IT alla Medaglia d'Oro all'opera prima bandita dalla XX Triennale di Milano
METROGRAMMA STUDIO. ShowRoom Descho



Il piccolo caso dello Showroom Descho

A distanza di qualche mese dall'inaugurazione è necessario fare alcune piccole considerazioni sullo showroom Descho realizzato dallo studio Metrogramma a Bolzano. Perché ora? Forse perché il progetto, che alla sua realizzazione ha suscitato un certo clamore mediatico, è stato coperto da alcuni strati di patina che stanno investendo anche altri progetti italiani e che sono, a giudizio di chi scrive, fuorvianti rispetto ad alcune sistematiche trasformazioni che la nostra architettura sta cercando di compiere.

Negli ultimi anni si sta portando a compimento una lunga crisi di identità dell'architettura italiana che sta svuotando di senso il fare delle nostre scuole, dei nostri tradizionali strumenti e dei nostri storici punti di forza per leggere la realtà. La fine dell'Ideologia è stata anche la fine degli strumenti che essa si portava con sé per leggere la realtà, per costruire delle prospettive visive e mentali con cui l'architettura italiana ha magistralmente -per alcuni anni- risolto il problema della gestione dei rapporti fra spazi e uomini, fra spazi e oggetti e fra spazi e spazi.

Questo vuoto che sta investendo la nostra società a tutti i livelli è però anche una straordinaria opportunità di cambiamento, non solo perché per certi versi appare impossibile non cambiare (si vedano le riforme dell'istruzione di tutti gli ordini e grado), ma perché nei cambiamenti abitano sempre degli spiriti che liberati regalano sempre tempesta ed è nella tempesta che si vedono eventuali talenti. Il progetto per lo showroom è certamente, per rispondere alle critiche serpeggianti, piccolo, un interno, un progetto che risente dell'influenza olandese, e allora? Che problema ci dovrebbe essere a guardare all'Olanda per uno studio che si sta facendo una propria ricerca, perché è vietato rivolgersi all'estero quando le lezioni italiane, seppure interessanti e ricche, non rispondono più alle domande che la società pone? Perché non si dovrebbe ripartire da un progetto mediamente piccolo? Sulla questione dell'interno ed esterno credo sia necessario porre delle riflessioni particolari, infatti il progetto gioca in maniera davvero abile a nascondersi fra il dentro e fuori, ad essere massimamente visibile e contemporaneamente molto privato all'interno, credo che sia una delle cose più riuscite, assieme al livello delle finiture.


L'architettura italiana ha necessità di imparare con grande calma e mente sgombera da preconcetti a ripartire dalla domanda che la società pone, e questo avviene facendo tutti una piccola pausa di riflessione e non certo continuando a correre e facendo vedere i muscoli. In parte perché tutti sono molto deboli e andare a fare a gara con altre realtà non è molto conveniente, in parte perché sarebbe ora di avviare una seria discussione su perché siamo divenuti deboli e come mai siamo rimasti così spiazzati dalla fine dell'Ideologia. Finché questo non avverrà sarà molto difficile il compito di quegli architetti che stanno provando a muoversi cercando una propria via personale.

Credo sia ora di fermarci a pensare e per questo mi interessa ripartire dallo showroom Descho che è un edificio molto onesto, molto curato nei dettagli, ben realizzato, intelligente in alcune soluzioni come lo spostare l'esposizione al secondo livello, dando spazio al magazzino al piano terra, senza però perdere la vetrina. Un progetto che dimostra uno studio felice che ha diritto di crescere libero senza rincorrere nulla e nessuno.

Un progetto del genere è una risorsa per tutti, perché dimostra che si può uscire da questa dimensione della fuga nell'installazione, del tutto è arte, del virtuale: è un edificio costruito che dimostra che si può fare, che si può evitare la fuga e trovare la voglia di fare architettura, di progettare spazi e relazioni fra spazi e uomini, spazi e cose e spazi e altri spazi senza paura. Una nuova generazione di architetti sta maturando per conto proprio. Inizia a progettare e costruire e quello che pare interessante è che questa novitas non è data dall'età o da presunte voglie di rottura generazionale (anche perché questa generazione non ha la forza di andare allo scontro e intelligentemente si sta dedicando ad altro con molta maturità), ma la distanza dagli approcci precedenti rimane, e questa differenza è data da un modo diverso di guardare il mondo, la società, il mercato. Questo modo di vedere deve trovare ancora la sua compiuta via di emergere e farsi strumento per il progetto, ma ogni tentativo di soffocare queste flebili novità è da considerarsi un crimine verso il nostro futuro di europei e verso la nostra fragile architettura.

Non dobbiamo incorrere nell'errore di vedere questa mancanza di scontro con la mancanza di un confronto, nel grande calderone del rinnovamento e tra le molte banalità che genera sempre il movimento non si può non ascrivere a Metrogramma un tentativo di lettura e rilettura delle grandi esperienze italiane del dopoguerra.

Ha ragione Boschetti quando dice che lo showroom è più un oggetto di superdesign italiano anni Settanta nel suo essere fatto solo da questo grande solaio che si piega e dalla lama del blocchetto uffici che lo trafigge, come ha ragione ogni qualvolta rivendica le attenzioni di Metrogramma verso la ricerca, ma queste "rivendicazioni", di per sé comprensibili e molto corrette, non devono diventare solo un modo per staccarsi dalla propria generazione o un tentativo di essere qualcosa d'altro che non sempre piace, devono essere il blocco per un salto in avanti che sarà.

In questo senso si deve intendere anche il significato del termine giovane, non una parola vuota che voglia identificare un gruppo o, tanto peggio, una generazione che vuole emergere con l'unico merito di desiderarlo, ma la condizione del divenire, delle infinite strade che si aprono ad ogni passo. Giovane non come categoria anagrafica o come voglia di essere numero (maggioranza? maggioranza che diviene potere?), ma come ansia di futuro. In un passo di Dos Passos si legge: "eravamo giovani, sapevamo di avere più davanti che didietro e di dover camminare per raggiungere il nostro posto nella società". Solo trovando il modo, difficile, di andare avanti assieme e riflettere in maniera pacata si apriranno le porte di una architettura che saprà rispondere ai bisogni del nostro tempo. Per questo ha senso combattere e questo credo che sia il compito della nostra generazione, se si vuole vincere la guerra dobbiamo tutti assieme capire che ogni "particolare" deve essere messo a disposizione, deve divenire ricchezza. 

Il tempo di decidere chi e come si spartiranno seggiole e poltrone deve venire dopo le elezioni, per questo non è sopportabile che si possa voler attaccare lo showroom di Bolzano, per questo la mia breve risposta. Un intervento che non vuole essere una difesa di uno studio che sa difendersi da solo, ma un appello per fare una riflessione comune.

Giovanni Damiani






STORIA. Nel 1999 è stato commissionato a Metrogramma_Studio dalla ditta "Descho" l'incarico di studiare l'organizzazione spaziale e funzionale di un locale di ca. 600 mq alto poco più di 6m., porzione di un grande capannone preesistente, abitato da più aziende e localizzato nella zona artigianale di Bolzano-Sud. Una parte di questa superficie era da destinarsi a "showroom" espositivo e l'altra a magazzino.



[17jul2002]
Oltre a questi due programmi principali -se non altro per occupazione di superficie- i committenti richiedevano alcuni uffici da destinarsi a segreteria, reception, amministrazione e direzione. La ditta, che vende accessori ed arredo per alberghi, necessitava quindi di tre differenti habitat funzionali da localizzarsi all'interno di un unico grande volume vuoto: uno spazio vendita sufficientemente confortevole ed accattivante per esporre alla clientela i suoi prodotti; uno spazio magazzino piuttosto grande per poter organizzare lo stoccaggio delle merci; una zona uffici da collocarsi preferibilmente nelle immediate vicinanze dell'area esposizione clienti.











L'altezza del volume consentiva, da un punto di vista normativo (seppur al limite), la costruzione di un soppalco leggero, che a causa di ovvi motivi logistici di carico e scarico e di questioni statiche, non poteva certamente essere progettualmente pensato per accogliere il magazzino.



Il prospetto del capannone preesistente -che si affaccia verso la strada principale, per intendersi– presentava però, purtroppo, un'unica apertura-finestra verso l'esterno che coincideva solo in larghezza con quella del volume interno (ca. 17m.) mentre in altezza non superava i 3 metri d'altezza. La locazione quindi dello "showroom" al piano del soppalco avrebbe privato quest'ultimo –in assenza di idee architettoniche alternative- di una corrispondente vetrina commerciale; vetrina irrinunciabile secondo le prescrittive necessità della committenza.

Si è scelto quindi di collocare comunque l'area clienti/esposizione al livello del soppalco. L'espediente progettuale adottato è stato quello di piegare il solaio nella zona della vetrina per raccordarlo al suolo sottostante permettendo in questo modo di allestire la vetrina espositiva in continuità con lo spazio "showroom".



CONCEPT. L'intero spazio commerciale espositivo collocato al piano del soppalco, lo showroom vero e proprio, in definitiva, è stato pensato e concettualizzato come un oggetto di design fuori scala; un grande "cassetto" di pregevole fattura inserito dentro un anonimo capannone industriale. Un calco profondo, all'interno dell'involucro rigido della struttura scatolare e prefabbricata del capannone preesistente; un luogo pensato come uno spazio gradevole per accogliere clienti e visitatori e, al tempo stesso, sufficientemente raffinato e flessibile; immediatamente al di sotto di questo si trova l'habitat funzionale del magazzino merci.



La zona uffici è stata invece concepita come un blocco verticale che si affianca lateralmente ai due habitat principali. Al piano inferiore sono collocati infatti tutti gli uffici di servizio del magazzino e, al piano superiore, quelli pertinenti alla zona clienti cioè reception, amministrazione e direzione.










MATERIALI. Un legno rosso prefinito del tipo "iroko" riveste tutta la superficie –pavimento e soffitto- dell'involucro interno dello "showroom" restituendo a colui che lo percorre, oltre che un'immagine armonica ed elegante, l'intensa sensazione di uno spazio compresso ed, al tempo stesso, dilatato.



L'involucro esterno è rivestito invece da un'impialacciatura di lastre di ferro microforate e verniciate nero opaco. Un lungo mobile espositivo luminescente in "policarbonato alveolare", di tipo industriale e montato a secco, costituisce l'unico elemento di effettiva articolazione dello spazio. Quattro parti di questa lunga linea modulare, spessa e luminosa, delle dimensioni di ca. 40m. x 1m. sono spostabili in modo da consentire diverse soluzioni compositive e, quindi, espositive di questo spazio. La struttura portante dell'intero soppalco è in ferro zincato e costituita da travi a doppio T.
METROGRAMMA STUDIO. ShowRoom Descho


Luogo:
via Copernico, 17
Bolzano Sud 

Data
settembre 1999 - novembre 2001

Tipologia di lavoro:
Incarico privato diretto

Progetto e direzione lavori:
Metrogramma_Studio

Collaboratori:
Soik Jung (capo-progetto), Marco Sette, Andrea Austoni, Chiara Nifosì, Fabio Vianini

Committente:
Descho Hotel Service s.a.s K.G. forniture alberghiere di Verena Schojer & C. 

Struttura ed allestimento:
Corrado Vogrig (Openlab Permasteelisa Group)

Arredi uffici:
Giovanni Brescacin (Permasteelisa Interiors Division PM-Contract)

Impianto illuminotecnico:
Claudio Scanavini ingegnere illuminotecnico

Impianto di climatizzazione:
Studio Carlini Associati

Dati quantitativi:
3.600 mc; costo stimato 850.000,00 euro; costo effettivo finale 773.800,00 euro
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