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Architetture

MONDAINI ROSCANI. Edificio per la ristorazione veloce ad Ancona



Introdurrò il lavoro dello studio anconetano Mondaini-Roscani architetti associati contestualizzandolo nel panorama più ampio della giovane architettura italiana di cui tratteggerò l'atteggiamento sperimentale e pragmatico, nello sviluppo del tema e nel rapporto con l'area di progetto.



L'ATTEGGIAMENTO SPERIMENTALE E PRAGMATICO

Praticare la realtà

[04aug2002]
> DESCRIZIONE DEL PROGETTO
Praticare la realtà: accettare condizioni reali al contorno, obiettivi realisticamente perseguibili.
La necessità ci spinge a fare comunque e a qualunque costo, nella convinzione che qualsiasi "schifoso pezzo di terra" possa racchiudere emozioni, sensazioni, immagini, suoni, odori, e sicuramente idee. Se le idee non vengono trasformate in realtà allora evaporano?
Si fotografa la realtà, la si astrae dal contesto, si estraggono (chirurgicamente?) dei componenti o delle parti intere, si traspongono in un nuovo contesto e lì queste acquistano nuova vita, significati diversi ma ancora interessanti. Registrare con fantasia, tramite intuizione e discussione, contesto e astrazione, conservazione e innovazione.
Non è certo questione di arte. È desiderio di costruire idee con il solito budget, con la tecnologia spesso povera, con l'esperienza che non basta mai.
La forza è nei gesti, l'etica è nel perché.
Si cerca sempre di rendere chiaro l'argomento del progetto. I progetti sono scomponibili per sistemi/stratificazioni come layers di un disegno. Anche questa è una condizione operativa: è più facile isolare un problema per pensarlo, per discuterne, e risolverlo. La nostra città è impressionante nella sua esponenziale capacità di creare linguaggi e realtà.
Il progetto deve compromettersi con la realtà ma non compromettere le sue logiche.
(1)

L'atteggiamento sperimental-pragmatico degli architetti verso il progetto è riassumibile con altri slogan: "idee forti e stringatezza concettuale", "immaginazione e pragmatismo", "realismo fantastico". (2)

Caratteristica del progetto per un self-service del gruppo Mondaini-Roscani, comune a molti altri progetti di giovani architetti italiani (5+1, Nemesi, De Otto, Stipa, N! Studio, Spot, GAP Architetti Associati) (3) è la sperimentazione segnata da un solido pragmatismo.

I progetti non nascono in prima istanza per esprimere significati simbolico-metaforici e neppure per rispondere a problematiche teorico-concettuali, queste ultime in particolare sembrano, piuttosto, un risvolto secondario, derivato, del progetto. I progetti non nascono programmaticamente per esprimere utopie di carta, ma per lavorare sulla realtà attraverso lo spazio, la materia, la tattilità e il comfort avendo come centro di indagine il corpo.

L'apprezzamento dell'architettura non passa prioritariamente per via intellettuale, attraverso la rispondenza di idee e concetti nella carta, ma attende piuttosto la verifica de facto con l'esperienza fisica, che può derivare solo dalla costruzione. È un realismo-fantastico di impronta prevalentemente Olandese, eletta a modello di riferimento, che esprime ottimismo sulle possibilità del fare sperimentando. Sembra che i giovani progettisti italiani abbiano abbandonato ogni eco di tensione avanguardista -un tempo manifestata in forma di rifiuto, di opposizione e fuga nel disegno-, per porsi in un atteggiamento rivolto al fare, privo di ogni forma di scetticismo, che non cerca il rifugio in banali grafismi e mirabolanti prove grafiche fine a se stesse, mortifero ricordo di tanta architettura italiana di qualche lustro fa.

Il New Italian Blood, di cui si sta parlando, è attento alle occasioni professionali, che diventano ogni volta occasione per sperimentare con la prospettiva che poi si dovrà costruire. La possibilità di costruire e il confronto con la realtà, non quella dei concorsi, ma quella che ha dei vincoli precisi, fra i quali una certa arretratezza dell'industria edilizia e spessissimo l'ignoranza di una committenza illetterata, non comportano comunque la rinuncia alla sperimentazione e alla ricerca artistica. Prestinenza Puglisi parla al proposito di uno sperimentalismo cauto ma non inibito.

NOTE:

(1) 5+1, L'ombra delle idee, Skira, Milano 2001, p. 105.

(2) Cfr. Saggio, Antonino, "Realismo fantastico. Profilo dello studio Nemesi", Costruire 227, aprile 2002, pp. 74-77.

(3) Tutti questi gruppi, insieme a Mari, T! Studio, Centola, Amgod#n, Officina 5, Sciolari-Orsi-Avallone, ma0, sono stati invitati fra 2001 e il 2002 alla Facoltà di Ingegneria di Ancona nell'ambito del ciclo di seminari sulla giovane architettura italiana dal titolo "Work in Progress" organizzato da Sabrina Cantalini, Andrea Grimaldi, Gianluigi Mondaini e Matteo Zambelli dell'IDAU (Istituto di Disegno, Architettura, Urbanistica) sez. Architettura di Ancona.
Immaginazione e pragmatismo. Immaginazione nella capacità di inventarsi commesse, anche a fronte di logoranti ed estenuanti lotte per ricevere e soprattutto portare a termine l'incarico ricevuto. Immaginazione e invenzione nel cercare di far quadrare quel minimo "consentito" di ricerca estetica e tecnologica con i conti di chi finanzia il progetto. E qui ci vuole tutta la costanza, la passione, la determinazione, la forza d'animo di non mollare anche quando "si manderebbe tutto a quel paese", perché ogni cosa viene monetizzata, perché ci si accorge che intrighi e partigianerie politiche bloccano progetti che inizialmente sembravano essenziali –si pensi a tanti concorsi per opere di pubblica utilità- e poi cambiati il Sindaco e la giunta tutti i progetti si bloccano, perché, accidenti, ci sono state di mezzo le elezioni. E allora quei bei progetti prima di pubblica e inderogabile utilità, ora con la nuova amministrazione a gestire la res publica, RES PUBLICA, improvvisamente, quella biblioteca, quella piazza, quella scuola, quel piano regolatore… sul quale diversi studi hanno lavorato per anni, non servono più. E tutto accade d'improvviso.

Pragmatismo perché si cerca comunque di realizzare, superando tutti gli ostacoli che vengono frapposti e inventandosi ogni sorta di escamotage.

Sperimentazione e pragmatismo. Si cercano soluzioni tecnologiche sperimentali, perché quello che c'è non convince o non esiste o non è ancora diffuso nelle pratiche di cantiere o non si dispone della tecnologia necessaria, perché le imprese non vogliono dedicare una briciola di denaro alla sperimentazione: "costa troppo!". Pragmaticamente alcuni architetti non si preoccupano della arretratezza tecnologica e cercano loro stessi materiali e soluzioni tecnologiche investendo del proprio tempo e denaro nella sperimentazione e nella ricerca.

Sperimentazione e pragmatismo. Si sperimentano soluzioni formali in situazioni piene di limiti o fortemente compromesse. Il progetto di Mondaini-Roscani sembra debitore delle sperimentazioni volumetriche, spaziali e coloristiche del Vchutemas (Ateliers Tecnico-Artistici Superiori di Stato-VChUTEMAS, istituzionalizzati da Lenin nel 1920), riscontrabili nel traliccio scultoreo posto sulla copertura, espansione all'aperto del self-service. Se il Vchutemas si delineò, all'epoca della sua costituzione, come autentica scuola di design dell'Unione Sovietica, essa è rimasta punto di riferimento per architetti contemporanei come Zaha Hadid e Günther Behnisch, i cui echi sono ben amalgamati in questo progetto anconetano. I muri strapiombanti e soprattutto la lingua-accesso al self-service, con il pilastro disassato rispetto al filo del muro superiore (a enfatizzare l'effetto sospensione della copertura d'accesso), richiamano ricerche formali hadidiane. Così i frangisole e i parapetti richiamano la poetica della secchezza di Behnisch. Tutti riferimenti però assimilati e fatti propri.

Pragmatismo perché il budget messo a disposizione per la realizzazione del self-service era limitato e Mondaini-Roscani hanno fatto di necessità virtù mantenendo nel progetto un vecchio e anonimo magazzino e costruendogli attorno un carapace rosso, accettando, molto realisticamente, il vincolo preesistente come stimolo di progetto.



IL RAPPORTO CON L'AREA DI PROGETTO

Pensieri sparsi (alla ricerca di un self-service) nella periferia di un'Ancona qualsiasi.

Striscia di asfalto accidentata dalla ridda di capannoni alti, bassi, lunghi, larghi, stretti, grossolani-grossi-grassi, stridenti, strillanti.
Rutilante monotonia.

Strade. Macchine. Velocità.

Assordante frastuono di sibilanti e veloci ferri gommati.
Distratto ad effetto verso l'ugualmente diverso.
Anonimato noto. Delle periferie.

Pensieri trascinati verso grigie derive.

OSSIMORI PERIFERICI. La periferia è il luogo dell'anonimato dove l'architettura si mostra, non vista; lì tutto è diverso, ma irrimediabilmente uguale: la periferia è specchio della cogente ricerca di individualità sempre delusa da un universo di affermazioni, finite per diventare uguale indistinto. Tutto si mescola in un grigio omogeneo: patina uniforme che unisce e non divide.

Trovare un rapporto con la "città" periferica, non quella storica, con quell'ammasso continuo di case, fabbriche, negozi, magazzini, che indistintamente e senza disegno alcuno caratterizzano i margini delle strade, mentre si allontanano verso altre città. Per le periferie e per la città diffusa, non ci sono ancora strumenti che siano in grado di garantire un modo per relazionarsi e "fare" architettura. L'ultima teoria forte, quella del rapporto fra tipologia edilizia e morfologia urbana, non è in grado di dare risposte. Perché tipologie non esistono più e nelle periferie non si intuiscono disegni che possano guidare nel progetto urbano.

La tipologia è una configurazione precisa per una certa funzione. Ora, laddove non esistono tipologie univoche, ma sovrapposizione, commistione, ibridazione di funzioni, forme, materiali e colori, si capisce che la tipologia, che era uno strumento facilmente riproponibile all'interno della città consolidata, dove erano normalmente riscontrabili delle tipologie edilizie, non può funzionare più.

Quali risposte allora per la periferia? Se ne possono individuare almeno tre. La prima è quella di Stalker, A12 e Cliostraat. Essi operano con il minimo indispensabile di mezzi, al limite non costruendo neppure (non sono interessati alla forma, ma gli stati mentali dei luoghi), e utilizzando strumenti artistici, come l'happening urbano, per creare eventi, conoscere, scoprire o dare un senso e interpretare quegli spazi indefiniti, in ogni senso, della periferia che nonostante tutto fanno parte del nostro vissuto quotidiano.

La seconda risposta è la dimensione paesaggistica dell'architettura. Gli edifici che diventano un'estensione del territorio. Se non c'è più architettura consolidata alla quale riferirsi per stabilire un rapporto, per contrasto o per uniformità, il nuovo termine di paragone-confronto diventa il paesaggio con tutte le sue componenti integrate nel progetto.

La terza risposta è quella del gruppo Mondaini-Roscani, la logica del "caso per caso". Rifiutate le teorie razionali, forti e di stampo deterministico, emerge un atteggiamento flessibile e creativo, meno autoritario, impositivo e ripetitivo, che ben si adatta a contesti lontani dal centro storico, fatti di commistioni, ibridazioni e sovrapposizioni. Abbandonata ogni certezza metodologica e scientifica il rapporto il luogo di progetto si fa più casuale, legato a scelte personali e intime; il progetto è in funzione della biografia individuale e della sua ricchezza, della capacità di ascolto e di comprensione, delle capacità sensoriali e percettive dell'architetto. Ogni occasione progettuale diventa allora un modo per affinare la propria capacità empatica.

La logica del "caso per caso" è ovviamente pericolosa e difficile da perseguire, perché il progettista deve essere dotato di una formidabile capacità di "ascolto" per potersi sintonizzare con l'area e il luogo di progetto. Il self-service di Mondaini-Roscani cerca un rapporto con l'intorno proponendo un'architettura impostata sulle forme dinamiche, come rispecchiamento della velocità delle macchine che sfrecciano nella vicina strada e per attrarre a sé l'osservatore distratto da una periferia polisegnica.

Matteo Zambelli
zambelli@idau.unian.it

IL PROGETTO

L'edificio che ospita un self service, un bar e un tabacchi è sito all'interno di un area per rifornimento carburante lungo la S.S. 16 e si caratterizza come un ampliamento di un piccolo magazzino preesistente. Per il nuovo edificio viene pensato un carattere segnaletico in funzione sia degli utenti della stazione di benzina che dell'infrastruttura stradale che percepiscono il volume dall'automobile in movimento.



Per questo viene caratterizzato con pareti inclinate, dall'andamento dinamico ed avvolgente che introducono nel paesaggio circostante caratterizzato da grandi volumetrie per lo più anonime un elemento di disarmonia stimolato anche cromaticamente dall'uso di colori forti ancora in contrasto con il grigiore di fondo della confinante prefabbricazione.








Il dinamismo dell'edificio è forzato anche dalle forme delle bucature, molto generose per un rapporto immediato con lo "spettacolo del movimento" che caratterizza l'intorno, inclinate e angolari per forzare una dimensione generale di disequilibrio. Tutte le pareti vetrate sono state coperte con delle griglie metalliche a lamelle inclinate ancorate con stralli in acciaio la cui funzione è quella di controllare la quantità di soleggiamento all'interno del locale.



Per il dinamico fronte è stata scelta una finitura ad intonachino a forte grana di colore rosso, per il setto e lo sbalzo che caratterizza l'ingresso principale il colore blu, per i due elementi verticali che segnalano i due differenti ingressi il colore giallo e per il volume preesistente si è infine scelto il grigio. Tali colori oltre a forzare il dinamismo dell'edificio raccontano anche i colori della compagnia di bandiera della stazione di rifornimento.

L'idea di aggancio viene ulteriormente segnalata, sia planimetricamente che in altezza con: l'ubicazione all'interno del vecchio volume delle zone di servizio mentre il nuovo ospita i locali pubblici; la scelta di una nuova struttura a pilotis in contrasto con i pilastri quadrangolari dell'esistente, l'ubicazione sul solaio della preesistenza di tutta l'impiantistica circondata da una griglia in lamiera stirata che impedisce la sua praticabilità rispetto alla contigua terrazza. Le pavimentazioni degli interni dell'edificio sono realizzate in resina di colore chiaro per forzare, con l'assenza di ogni giunto, la dilatazione dello spazio e la sua tensione verso l'esterno. Per quest'ultimo e per l'ampia terrazza si è utilizzato il cemento colorato con inerti di ghiaia di fiume, segnato da inclinate incisioni costituite da sottili rigature di travertino che corrispondono ai giunti necessari per evitare crepature.

La copertura dell'edificio ospita una superficie praticabile, con un graticcio di travi metalliche attrezzabile contro il sole e raggiungibile da una scala sempre metallica realizzata a sbalzo e ubicata sul prospetto posteriore.
MONDAINI ROSCANI. Edificio per la ristorazione veloce ad Ancona


Progetto e direzione lavori:
Mondaini Roscani Architetti Associati
G. Mondani, G. P. Roscani
con S. Santini

Strutture:
Studio Tecnico Associato Belvederesi
G. Belvederesi, M. Belvederesi

Imprese realizzatrici:
Strutture edilizie. Caponi, Castelferretti (An)
Infissi e strutture metalliche. Promo Srl, Corridonia (Mc)
Strutture metalliche. S.A.A.F. Srl, Macerata

Impianti:
Impianto idrico. G.S. Termica Snc, Ancona
Impianto elettrico. Valter Polenta, Ancona

Committente:
IDP Impianti Distribuzione Petroli Srl, Ancona

Cronologia:
1999 progetto di massima
2000 progetto esecutivo
2001 realizzazione

Dati dimensionali:
250 mq superficie utile
1000 mc volumetria

Fotografie:
Paolo Semprucci

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