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Architetture

DIEGO TERNA, CHIARA QUINZI. Milano a pezzi



È possibile progettare una città? O, meglio e lungi da un ideale rinascimentale, è possibile che un progetto possa avere come scopo la modifica di una intera città e non solo di una sua parte?

[09nov2004]
> MANIFESTO
MILANO A PEZZI è un esperimento progettuale che indaga i limiti di due discipline che si occupano della città a scale differenti, cercando di trattare l'architettura come urbanistica e l'urbanistica come architettura, muovendo i primi passi dalle due opposte accezioni contemporanee di città: alcuni progetti partono dall'idea che non sia possibile definire Milano se non come spazio metropolitano, un'entità indeterminata, con margini sfuggenti e cangianti, che può indifferentemente estendersi alle sue periferie o arrivare a inglobare altre città, come Bergamo e Brescia, magari fondersi con Torino e Genova e poi fino alla Svizzera; altri progetti considerano che l'operare nella città sia limitato a singoli frammenti urbani visti come enclave dai confini precisi. Milano a pezzi aspira, invece, a modificare la CITTÀ, non la metropoli, ma nemmeno un singolo frammento e per questo cerca di costruire un macrosistema urbano, usando la logica dell'accumulo e della densità.


La mappa dei tempi. La mappa raccoglie le trasformazioni degli ultimi dieci anni che riguardano la città di Milano. Caratteristiche della mappa sono la non esaustività, in quanto raccoglie i progetti che riguardano la città di Milano e che hanno avuto una ricaduta notevole in termini di dibattito e di cambiamento dello spazio urbano, e la contemporaneità che la rende una mappa in continuo divenire. Infatti la suddivisione dei progetti avviene da un punto di vista empirico proprio perché vuole sottolineare i diversi stadi di fisicità delle trasformazioni. Il confine tra una categoria e l'altra risulta molto sottile e spesso legato a quello che viene considerato come il primo passo progettuale: una decisione politica.

Base di partenza è lo studio delle trasformazioni che stanno avvenendo nella città, osservate in maniera empirica: di volta in volta l'estensione della carta aumenta per inglobare nuove trasformazioni, costruendo una mappa in divenire: la MAPPA DEI TEMPI. Partendo da articoli di riviste come Casabella e Domus e dalla propaganda politica che si esplicita tramite fonti come l'urban center o i quotidiani, si è voluto raccogliere in questa tavola la cronaca delle trasformazioni spaziali che investono, investiranno o hanno investito la città.

I limiti fondamentali della mappa:
- la non esaustività: le trasformazioni analizzate sono quelle che hanno avuto una ricaduta notevole in termini di dibattito e di cambiamento dello spazio urbano.
- le trasformazioni debbono riguardare la città di Milano: sono prese in considerazione trasformazioni che si trovano in un territorio ampio ma che abbiano la natura di servire o di essere usate dalla città (ad esempio i multisala cinematografici). Non si prendono in considerazione progetti che fisicamente si trovano nel campo analizzato ma il cui interesse è specifico della zona in cui si situano.
- il limite temporale di dieci anni implica una contemporaneità delle trasformazioni, una loro ricaduta in termini di cronaca architettonica.
La costruzione della mappa è conclusa con l'assegnazione delle trasformazioni a categorie temporali: costruite, in progress, in mente dei, perdute. È una categorizzazione disillusa, che si affranca dalle sue fonti (prima fra tutte la propaganda politica) per definire i progetti per quello che si vede, per quello che gli abitanti possono vedere, un cantiere, un edificio che sta per essere terminato.

Questa è la mappa che segna le fondamenta del progetto: preso atto che Milano è a pezzi bisogna capire se questo è il meccanismo con il quale una città si può costruire. Per questo la mappa di osservazioni viene arricchita da una fase di studio che si articola in due modi differenti: il primo cerca di assegnare ad ogni progetto un potenziale meccanico: la città viene vista come una macchina nella quale le trasformazioni in atto non sono altro che aggeggi che dovrebbero muovere la macchina stessa. Sono meccanismi che si presentano con verbi: agucchiare, colmare, velocizzare, appropriarsi, aggiungere, non costruire. Sono verbi che esplicitano una azione, un effetto: da questi si dovrebbe desumere il moto della macchina Milano.

La seconda modalità di studio si basa sulla determinazione di strati nella città, osservando le sinergie di alcune trasformazioni, che riescono a definire dei P.R.G. sotterranei, non espliciti, ma molto più forti di un normale piano regolatore. In questi strati si possono osservare trasformazioni più tradizionali (le nuove università, i progetti pubblici, i progetti privati, le relazioni obbligate tra pubblico e privato) e quelle estensive, nel senso di sfuggenti ad una classificazione puntuale, ma altrettanto intense (gli abbaini, la pubblicità, il cablaggio, i quartieri etnicamente connotati).



10+1 ARCHITETTURE. Le provette. Ogni area si sviluppa come un laboratorio in cui sperimentare nuovi accostamenti e ritrovare archeologie ovvero funzioni esistenti o antecedenti. Le aree hanno perso all'interno della città un ruolo importante per mancanza di aggiornamento funzionale: l'inserimento di nuovi elementi e la messa in sistema con altre aree e funzioni scatenerà la reazione necessaria perché avvenga l'update.


Arnia: gli strati temporali delle trasformazioni. Come una stratigrafia archeologica gli strati temporali vengono visualizzati in una maquette: trasformazioni costruite, in progress, in mente dei, perdute... È possibile osservare fisicamente una storia di Milano, le contraddizioni progettuali, la propaganda politica che cambia approccio progettuale ad ogni legislatura e quindi la continua variabilità della stratigrafia stessa.

I meccanismi spaziali, e ancor più gli strati, mostrano una città incapace di avviarsi, nella quale schegge impazzite spingono verso direzioni opposte, casuali, magari fertili, ma senza dubbio caotiche. La città è una macchina celibe, simile a quelle dipinte da Picabia. Un meccanismo emerge per la sua peculiarità come elemento capace di essere la trama futura della città: il ricambio rapido, che si trova in nuce nel progetto dell'area dell'ex fiera: si sceglie una porzione di città, nella quale si individua una funzione che si ritiene obsoleta, se ne riprogetta il futuro mentre questa continua ad espletare la sua funzione, fino a che non verrà realizzato il nuovo progetto. È un'evoluzione del meccanismo della dismissione, nella quale si assisteva ad un periodo di decantazione di un'area, durante il quale la città si appropriava della vecchia funzione, erodendone i significati per poi farne emergere di nuovi, come nel progetto della Bicocca.


La città come racconto. Antica mappa di Tokyo. Questa mappa giapponese sostituisce al disegno degli edifici quello che riteniamo il grado zero della progettazione urbana: la parola. È questo il medium base usato dalla classe politica per modificare la città. La politica diventa l'attore principale nella modifica della città. In questo limbo architettonico il progetto MILANO A PEZZI muoverà i suoi primi passi.


10+1 ARCHITETTURE. Pianta. Il disegno delle nuove aree avviene per i due tipi in modo diverso: le aree ferroviarie cercano di individuare nuove tipologie per l'abitare con disposizioni planimetriche che sottolineino il tipo di relazione spaziale che si vuole instaurare con i bordi dell'area, per i "cristalli" invece si utilizza la tecnica del collage o del patchwork sovrapponendo disegni ai segni esistenti.

Un'ultima mappa porta al progetto finale di modifica della città: è una mappa che prende le mosse dalle antiche stampe giapponesi, nelle quali la città veniva presentata con segni e quindi parole. La parola diventa la chiave di passaggio al progetto, lo strumento attraverso il quale è possibile attuare la sintesi di scale differenti. Il linguaggio si fa architettura e attraverso le sue caratteristiche mediatiche rivela l'immaginario che si cela nelle trasformazioni che investono Milano: queste trasformazioni si mutano in racconti, racconti che presentano la città in un futuro prossimo, le molteplici Milano legate ai singoli progetti.

Il modello Esselunga. È uno degli strati che più stanno modificando la città. Viene così denominato in quanto si tratta di uno schema ripetuto i cui elementi predominanti sono la presenza di un centro commerciale (di solito Esselunga accompagnata da un negozio di beni ad alta tecnologia), le abitazioni, i parcheggi e il verde. Come uno slogan sembra offrire la perfetta immagine dell'abitare contemporaneo: una abitazione urbana ma nel verde, isolata (in quanto estremamente chiusa e protetta) ma connessa per mezzo della tecnologia.

Il nodo di MILANO A PEZZI sta proprio in questo immaginario: che cosa sarà la città nel futuro? La risposta che si può trovare è quella prepotente della periferizzazione del centro: si importano i modelli del suburbio e li si impianta nel corpo urbano senza paura di crisi di rigetto. L'immaginario che si fa largo è il modello Esselunga, il modello "abitacolo-abitazione-esselunga-mediaworld-verde". L'impoverimento della città sarà una diretta conseguenza di questo immaginario: il passaggio da patchwork ad antitessuto (Deleuze, Guattari, Mille piani).

Tempi, meccanismi, prefigurazioni: in questi tre passaggi vediamo racchiusa l'essenza di Mlano. Scrivere la città: questo è il medium favorito nella modificazione di Milano e il progetto si baserà proprio su questo medium per tentare di muovere la macchina verso l'arricchimento, il patchwork.

L'osservazione empirica ci ha portato a evidenziare 10+1 aree di possibilità ed in queste raccontiamo 10+1 architetture, basandoci su un'idea di reazione chimica: aggiungere un elemento ad altri componenti perché avvenga un grande cambiamento. Il progetto è una continua sovrapposizione di immaginari su realtà differenti, su zone che già posseggono immaginari in nuce che non bisogna far altro che esaltare. Le 10+1 aree sono aree di scarto dove nel futuro prossimo si assisterà, con buona probabilità, al meccanismo del ricambio rapido: sei aree sono scali ferroviari, in quattro si trovano importanti servizi pubblici, l'ultima area è l'anello ferroviario, ora spezzato. Il meccanismo del ricambio rapido viene variato: le aree prescelte per le trasformazioni non vedranno estirpate le antiche funzioni in favore di nuove attività più consone ai bisogni contemporanei, ma si lavorerà con la logica dell'accumulo e della densità. Di ogni area si esalteranno le peculiarità aggiungendo i pochi elementi necessari a completare la reazione. Per favorirla, inoltre, viene usato un catalizzatore, che si situa lungo l'anello ferroviario, ora ricomposto: la petite ceinture, la "circolare di Milano".


10+1 ARCHITETTURE. Aree di possibilità. La città considera le aree di intervento normalmente come aree bianche, vuote, ritagli considerabili in se stessi. Il progetto parte dall'individuare queste aree come aree di possibilità. Queste potrebbero formare tra loro un disegno, coinvolgendo il tutto e rimandando ad altri pezzi già elaborati.


La città come racconto. Scrivere la città. Attuiamo con i mezzi della propaganda politica: la città subisce le modifiche a partire da una serie di immaginari: la parola "architettonica" diviene legame tra architettura e urbanistica. Non un programma funzionale, ma bensì il racconto di una città diversa, Un testo sulle esigenze dei cittadini contemporanei.


10+1 ARCHITETTURE. Il progetto totale. Tutta la città è investita dalla trasformazione attraverso dieci aree strategiche: ancoraggi, espansioni ed un elemento ricorrente: l'infrastruttura. Ogni area lavora all'interno del suo intorno immediato coinvolgendo sistemi esistenti o inserendo nuovi temi analoghi. L'analogia dei temi lega alcune delle aree tra loro presupponendo una unità del sistema non solo data fisicamente dall'anello. Si propone dunque un arricchimento della città attraverso l'arricchimento delle aree e delle connessioni mentali tra queste.



Gli strati che modificano la città. Milano è una città dove intervengono diversi elementi di cambiamento; spesso questi elementi non trovano un coordinamento e assomigliano a meccanismi impazziti di una macchina che alla fine non riesce a procedere. Ogni cambiamento risponde, infatti, a esigenze e aspettative particolari e si configura come uno strato incomunicante con altri a tal punto che il sistema complessivo può arrivare a produrre veri e propri cloni nella città, configurandosi quindi come un sistema ripetitivo e noioso.


Progetto totale. Dettaglio: scalo Rho-Pero-Fiera campionaria. Vivere su ponti e rampe.


La circolare di Milano. Schema della metropolitana. Lo schema della nuova metropolitana sarà pubblicamente esplicativo, fondando ancora la sua esistenza sulla parola, sul racconto degli immaginari incontrati lungo il suo tragitto. In questo modo proporrà essa stessa un immaginario.


La circolare di Milano. Stazioni sopraelevate. Quello che la circolare propone è un mondo di attraversamenti a diversi livelli, che facciano di una metropolitana un nuovo mezzo, ibrido fra treno e tram, un mezzo che unisce la città in più dimensioni spaziali e temporali. Suolo, sottosuolo, cielo, veloce, lento, ordinato e caotico: definizione della nuova piccola cintura. Il campionario di spazi definito tende non tanto a eliminare la percezione di un dentro-fuori, dato già il totale inglobamento della infrastruttura da parte della città, quanto lo scoprire dello spazio nella infrastruttura stessa.


Progetto totale. Dettaglio: sistema Ippodromo-San Siro + ex piazza d'armi. Calendario di eventi + ronda dei convalescenti.


Il catalizzatore. La circolare di Milano. Una sovrastruttura può facilitare le reazioni che avvengono nella città. In questa maniera si pone come ipersistema che permette la relazione fra le aree di intervento del progetto, ma anche con aree già esistenti, ora incomunicanti, sia fisicamente che concettualmente.

Sarà luogo di molteplicità, giunzione fisica e concettuale per le nuove e vecchie trasformazioni. Anch'essa si baserà sul meccanismo dell'accumulo: ruberà un binario al vecchio anello ferroviario (alleggerito dai progetti per il passante e per l'alta velocità/capacità) e lo chiuderà ad ovest con l'unica parte interrata. In questo modo raccontiamo un nuovo mezzo, una metropolitana che vuole essere un tram correndo sui binari di un treno. Allora le stazioni non saranno più dei buchi sotto terra ma degli attraversamenti nella città, lungo i quali la città stessa troverà una base per gli slanci verso la metropoli e viceversa.

Progetto totale. Dettaglio: Pioltello+Idroscalo. Vivere in case panoramiche + giocare con l'acqua.

Le altre 10 architetture sviluppano due temi differenti: negli scali ferroviari si parla di un vivere fra, mentre negli spazi di interesse pubblico, definiti cristalli, il programma prevedrà un semplice no case. Queste due tipologie di progetti cercano di opporsi all'assurda trasformazione di una città in una periferia, nella quale l'abitare non è altro che rinchiudersi in un ambiente il più possibile isolato da ciò che lo circonda. MILANO A PEZZI vuole partire dalle contraddizioni, cioè da quegli elementi vitali che fanno di un agglomerato urbano una città. Per questo gli scali ferroviari si trasformano in luoghi del vivere, nonostante si presume siano solo un passaggio fastidioso tra le case. Questo vivere fra è la sospensione tra due mondi, quello veloce e nomade delle ferrovie, quello tranquillo e stanziale delle abitazioni. La reazione chimica dà luogo a ibridi fecondi, soprattutto grazie alle tipologie di persone che vivranno qui: studenti, lavoratori in trasferta, travelling business men, sportivi ospitati per gare internazionali, attori chiamati a girare uno spot, immigrati accolti in attesa di una sistemazione "regolare". Queste sono le persone che incidono significativamente nella realtà cittadina, nonostante non facciano parte di alcun censimento o statistica su Milano. Il "bisogno di case" di Milano non è altro che un bisogno precario, che soddisfi le esigenze di categorie di persone neanche tanto sommerse.


Vivere sull'acqua. Area S. Cristoforo.


Vivere in un bosco. Scalo Farini.

Proponiamo per ogni area un immaginario: vivere in un bosco, vivere in un corridoio, vivere su ponti e rampe, vivere su palafitte… Altro non sono che l'estremizzarsi di caratteristiche del sito scelto, in sé completi ma che necessitano di tutti gli altri per raggiungere il compimento dello scopo: dare un movimento unitario alla macchina.


Curarsi con gli animali. L'ex piazza d'armi. Le aree individuate dal progetto come cristalli sono aree che hanno rivestito, o rivestono ancora parzialmente, per la città un ruolo importante in quanto sedi di importanti funzioni collettive come l'ortomercato, la piazza d'armi o l'ippodromo. Molte di queste hanno perso o stanno vedendo mutare il loro utilizzo. Il progetto, come in un collage situazionista, sovrappone nuovi temi che abbiano un'analogia ora celata ma domani evidente.

No case è un'immagine semplice: definiamo cristalli le parti di città che abbiano un alto valore sociale, funzionale, rappresentativo nella città (osservazione facilmente desumibile studiando un aereofotogrammetrico: i disegni di queste aree paiono appunto cristalli in un vasto magma costituito dai tetti della case). Definite le aree non facciamo altro che mantenere inalterato questo valore, evitando di porre in esse una sommatoria di spazi privati (come possono essere delle abitazioni). Il meccanismo del ricambio rapido viene qui usato in maniera intensiva, ma ancora variato: si assiste ad un upgrade più che ad un ricambio; vengono scoperte nuove funzioni che siano consone ai bisogni del cittadino contemporaneo: la cura con gli animali, la neo-agricoltura, il calendario di eventi, giocare con l'acqua. Sono immaginari sociali dove la città trova i luoghi per incontrarsi e fare partecipi tutti gli abitanti delle proprie frenesie, ansie, ma anche cure e tranquillità.

Diego Terna
diego_terna@hotmail.com

Chiara Quinzi
chiara.quinzi@inwind.it
Diego e Chiara hanno fatto con la loro tesi una cosa che non gli capiterà più (in realtà spero di no, ovviamente) nella vita: progettare una città, o meglio, provare a progettare una città che c'è già ed è piena, soffocata, annichilita di progetti, che invecchiano senza vedere la realizzazione, che più sono ambiziosi e più sono improbabili, che scadono spesso nel provincialismo –quando va bene– e quasi sempre nella incapacità di raccogliere energie realmente innovative, energie che vagano altrove, che si disperdono senza adagiarsi sul territorio.

Per districarsi in questa selva di rumorose iniziative, hanno costruito quella che a me risulta essere la mappa più aggiornata, precisa e completa, almeno alla metà del 2004, delle trasformazioni milanesi, che poi tutte trasformazioni non saranno, e comunque saranno molto diverse da come sono disegnate, ma questo i milanesi lo sanno.

E questa mappa l'hanno usata per muoversi nella città, per andare e venire in bicicletta da casa alla facoltà, per osservare la stagione finale dei "grandi progetti urbani", immaginando di inscrivere dentro Milano una visione ottimista e parallela, che appare però anche più realistica dello stato delle cose da tempo ormai prevedibile, e che è, innanzitutto, come è giusto che sia, la città dove vorrebbero vivere loro per primi.

Giovanni La Varra
DIEGO TERNA, CHIARA QUINZI. Milano a pezzi

MILANO A PEZZI è un progetto sviluppato da Diego Terna e Chiara Quinzi e discusso, come tesi di laurea, il 30 marzo 2004 presso la Facoltà di Architettura del Politecnico di Milano, con relatore Remo Dorigati (Studio ODA) e correlatore Giovanni La Varra (Boeri Studio).
Diego Terna (Brescia 1979) ha studiato architettura al Politecnico di Milano e all'ETSAB di Bilbao-San Sebastian, laureandosi nel marzo del 2004 con il prof. Dorigati e il prof. La Varra. Ha collaborato con gli studi di architettura Usalef (San Sebastian, Spagna), Boeri Studio (Milano) e studio Branco (Milano). Ha partecipato a vari concorsi tra i quali il concorso per un padiglione d'accesso per la cripta della colonia Guell (primo premio nei paesi baschi) e quello per la nuova stazione dell'alta velocità di Napoli (con Boeri Studio e OMA).

Chiara Quinzi (Milano 1979) ha studiato architettura al Politecnico di Milano e alla Universidad Europea di Madrid, laureandosi nel marzo del 2004 con il prof. Dorigati e il prof. La Varra. Ha collaborato con gli studi di architettura Usalef (San Sebastian, Spagna) e Boeri Studio (Milano). Ha partecipato a vari concorsi di architettura tra i quali quelli per la nuova stazione dell'alta velocità di Napoli (con Boeri Studio e OMA) e per la nuova sede del gruppo Helvetia a Milano (con Boeri Studio).
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