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Architetture

MDU ARCHITETTI. Teatro di Montalto di Castro



Il Nuovo Teatro di Montalto di Castro nasce, come tutti i lavori di MDU architetti, come un progetto di misurazione.

Ma di cosa? Cos'è oggi misurabile? Rispetto a quali parametri? Ovviamente la risposta non è che un rimando ciclico alla domanda: dalla fine del XIX secolo in poi la complessità dei fenomeni (sociali, economici, politici, tecnologici, etc) impedisce l'individuazione della tradizionale catena di causa-effetto, e, d'altronde, è l'osservatore stesso che, posto all'interno di un quadro relativistico, è parte integrante di quei fenomeni che analizza e di conseguenza li modifica, postulando l'impossibilità di un punto di vista obbiettivo e per esteso l'impossibilità di giungere ad una "verità" scientifica, razionalmente concepita, misurabile. La misurazione assume i contorni di un atto creativo in cui razionale e irrazionale si incontrano, oggetto della misurazione e soggetto misurante sfumano l'uno nell'altro, i rispettivi limiti sfocano: il "chiasma" di Merleau-Ponty.

"Tra i miei movimenti e ciò che tocco deve esistere una qualche relazione di principio, una qualche parentela, rispetto alla quale essi sono l'iniziazione e l'apertura ad un mondo tattile. Questo può avvenire solo se la mia mano, nel momento in cui è percepita dall'interno, è anche accessibile dall'esterno, tangibile dalla mia altra mano, ad esempio. [...] Attraverso questo cortocircuito [chiasma] tra il toccare e l'essere tangibile, i suoi stessi movimenti si incorporano nell'universo che interrogano, sono registrati sulla stessa mappa come l'universo; i due sistemi sono applicati l'uno sull'altro, come le due metà di un'arancia." ( M. Merleau-Ponty)

[01may2005]
Non solo. Se la misurazione è ontologicamente inesatta, una sorta di paradosso scientifico, nello spazio dell'inesattezza si apre il mondo dell'errore, del profondamente umano... "mirare a sbagliare", ecco riemergere l'insegnamento di Cedric Price. Del resto il professore di campi elettromagnetici Roberto Tiberio, citando Einstein, ricorda che nello sviluppo dei teoremi matematici "l'approssimazione del numero è un atto creativo". Allora il progetto inteso come misurazione non si risolve nella semplice applicazione di un criterio di valutazione ad un'entità, non è una cerniera tra i due, ma è un nuovo ente di per sé, un "tertium non datur" che modifica la realtà e ne è modificato a sua volta.

 

Per noi ogni progetto è un esperimento di misurazione che viene applicata pragmaticamente sia al paesaggio in cui ci si inserisce, che al programma funzionale, letti in chiave trasgressiva:

"La trasgressione apre una porta su ciò che sta al di là dei limiti della normale osservazione, pur lasciando questi stessi limiti intatti. La trasgressione è complementare al mondo profano, eccede i suoi limiti, ma non li distrugge." (G. Bataille)

 




Il paesaggio (1) dopo Bob Venturi e Gehry è tutto, la prima operazione progettuale, allora, è scegliere il proprio paesaggio, un progetto dell'esistente, del proprio sguardo su di esso. Lo sappiamo, non siamo i primi, non saremo gli ultimi, ma è quello che ci interessa: cogliere nelle pieghe dell'esistente quelle manifestazioni che rendono ogni luogo unico rispetto agli altri e mai uguale a se stesso, perchè è lo sguardo [misurazione] che si applica su di esso che cambia. In fondo ogni progetto, nel bene e nel male, è anche la storia di chi lo produce in quel preciso momento ed è fondamentalmente una storia di relazioni svelate: relazione dei progettisti con il paesaggio fisico e mentale che si trovano di fronte, relazioni interne allo stesso paesaggio tra gli elementi che lo costituiscono e relazioni tra il paesaggio e i suoi abitanti stanziali o passanti e come nelle nature morte morandiane "nulla è dato in sé, tutto per relazione. E le relazioni si determinano nel corso dell'esperienza vissuta [della misurazione]: il significato dei valori muta ogni volta perché l'esperienza è vita e la vita è sempre diversa" (G.C. Argan).

Il programma funzionale, se misurato in relazione ai desideri, le paure, i sogni, le convenzioni delle persone che lo renderanno umano, perde i connotati di una asettica griglia di riferimento. Nelle sue pieghe uno sguardo trasgressivo può cogliere l'anelito ad emergere di una grande potenzialità esistenziale che non può essere arginata e che il progetto non può che favorire nel suo continuo divenire. Ci vengono sempre in mente le parole di Keith Haring:

"Di solito il dato essenziale è che il mutamento è la realtà. [...] Più semplicemente la gente si rende conto solo fino a un certo punto di come ci si senta mutati a ogni momento che passa o di come si appaia a se stessi diversi in giorni differenti. [...] Le persone tendono a controllare tutto questo vivendo secondo uno schema completamente opposto. È come sovrapporre una griglia su un prato vivo, in perpetuo cambiamento, e cercare di far corrispondere l'erba alla forma predefinita della griglia. [...] La gente può, vivere la propria vita con la consapevolezza che si cambia in continuazione. [...] Per lo meno si potrebbe vivere in armonia con una simile consapevolezza, anziché lottarvi contro. C'è un punto in cui l'uomo moderno può affrontare questa realtà, metterla in discussione, esplorarla e conviverci diventandone parte e conducendo una vita molto più semplice. Vivere in armonia con una realtà incontrollabile alla quale siamo soggetti, che ci piaccia o no" (Keith Haring).

Montalto di Castro oggi non è la metropoli, nemmeno la città diffusa, è una campagna agricola con lievi colline degradanti verso il mare in cui si inserisce la città con il suo piccolo centro antico, dominato dal Castello Guglielmi, l'espansione urbana della prima metà del XX secolo con decorosi villini in stile eclettico ed una piccola periferia uguale a tutte le altre (per gli interessati si rimanda a "Caterina va in città" di Paolo Virzì). Abbiamo deciso che questo paesaggio da cartolina non è il nostro, la nostra Montalto di Castro è un'altra, che scaturisce da una riflessione molto semplice: ci troviamo di fronte ad un paesaggio la cui naturalità è del tutto apparente, essendo completamente definito dall'opera umana su di esso -agricoltura, edificazione, infrastrutturazione territoriale, etc.-, per noi la sua essenza risiede in questa interazione. Così, tra i grandi segni operati dall'uomo, abbiamo preso il primo e l'ultimo in termini cronologici che coincidono anche con i più eclatanti e densi di significato nell'immaginario collettivo: in definitiva i più semplici.



Il primo è l'etrusco basamento del Tempio Grande (IV secolo a.C.) dell'area archeologica di Vulci, una piattaforma parallelepipeda composta da blocchi monolitici in tufo. Si tratta dunque di un frammento composto da frammenti, che nella nostra misurazione è stato svincolato da questa condizione di rovina e riconcettualizzato come entità finita, conclusa, un monolite minimalista che evoca la stereometrica tettonica etrusca, Donald Judd, l'Ayer's Rock, 2001: Odissea Nello Spazio, ...



Il secondo è la Centrale Elettrica Alessandro Volta (1990-2000), il più grande impianto termoelettrico italiano, presenza costante del paesaggio, le cui quattro imponenti torri turbogas si trasformano inaspettatamente in una filigrana di tubi nella visione controluce, ricordando le grandi macchine del XIX e del XX secolo, un'estetica ormai considerata naïf dai più. Il progetto misura la distanza tra di essi, la fa propria in una sorta di cortocircuito temporale rispetto al quale l'evoluzione del territorio viene concentrata ed espressa in un unico momento architettonico: arcaicità etrusca versus ipertecnologia della macchina.

 




Il Nuovo teatro è un grande monolite in cemento colorato sul quale la torre scenica appare appoggiata in modo etereo: un volume in policarbonato che si smaterializza di giorno confondendosi con il cielo e che di notte, illuminandosi dall'interno, si trasforma in una grande "lanterna" alla scala territoriale. Il monolite è caratterizzato da leggere variazioni cromatiche e di texture che derivano concettualmente dai blocchi in tufo che compongono il Tempio Grande filtrati attraverso i Wall Paintings di Sol Lewitt.



Il luogo prescelto per l'edificazione del teatro è un lotto triangolare libero da edificazione collocato all'ingresso della città tra due arterie di traffico la Via Aurelia Tarquinia e la strada Statale Castrense. La prima è l'antico tracciato dell'Aurelia lungo il quale sono collocati una serie di funzioni pubbliche e private che, a partire dal centro antico comprendono l'asse commerciale cittadino, la biblioteca comunale, il nuovo teatro ed una vecchia casa cantoniera, configurando un asse civico di ingresso a Montalto di Castro. La seconda è un'arteria di traffico ad alto scorrimento che collega il territorio al litorale attraversando la campagna viterbese. In corrispondenza dell'intersezione tra i due tracciati il lotto è occupato da tre grandi pini che dialogano con un quarto posizionato più all'interno.

Il progetto parte da nuove letture del luogo esistente e introduce elementi di discontinuità nella logica di innescare una sterzata nella percezione di questo paesaggio: esistente e nuovo entrano a far parte di un sistema di ambigue relazioni reciprioche. Abbiamo deciso, infatti, di posizionare il teatro lungo l'asse civico, precedentemente scoperto, definendo una nuova relazione tra i due tracciati viari esistenti e, soprattutto, nella logica di costruire la nuova porta di ingresso alla città.

  Una piazza allungata, in asfalto pigmantato, concepita come semplice deviazione della via Aurelia Tarquinia, conduce all'ingresso del teatro il cui corpo allungato si conclude con il volume della torre scenica che risulta, così, in una posizione visibile da grande distanza entrando in relazione con le immense stereometrie della centale elettrica. La direzione definita dalla piazza e dal teatro si prolunga nello spazio per spettacoli all'aperto e trova la sua conclusione nei grandi pini esistenti, introiettati nel progetto e riconcettualizzati come nuova quinta scenica naturale dell'intero sistema.

  Ma il teatro, è evidente, non si risolve esclusivamente nella sua architettura e nella sua dimensione urbana, ovvero nello spazio simbolico che occupa nella città. Il teatro semplicemente è quello che avviene oltre il boccascena. L'architettura ha lo scopo e l'onore di fornire un luogo in cui lo spettacolo teatrale possa avvenire. La prima domanda che ci siamo posti è stata: quale teatro è giusto progettare oggi? Ovviamente la risposta che ci siamo dati è che non esiste una risposta univoca: il teatro, in termini architettonici, può nascere per una specifica compagnia e, dunque, sviluppare spazialmente una ricerca d'avanguardia ma può anche sorgere in un luogo privo di tradizione teatrale. Quest'ultimo è il caso di Montalto di Castro e la nostra scelta di partenza è stata per una tipologia di teatro all'italiana -foyer, platea, boccascena, scena, torre scenica-, ritenendola quella adeguata al tipo di rappresentazioni che vi si svolgeranno, scelta oltretutto confermata dal programma funzionale che va nella direzione di una polivalenza (cinema, convegni, etc.).

 




Il nostro tentativo è, allora, quello di rileggere e modificare la tipologia tradizionale nella logica di dotarla di una maggiore flessibilità in funzione di rappresentazioni d'avanguardia contemporanea e parallelamente cogliere ed enfatizzare attraverso il progetto gli aspetti esistenziali latenti nel teatro all'italiana: come si muovono gli spettatori al suo interno, che risposte trovano alle loro aspettative, ai loro sogni. Infatti se il teatro è il mondo della rappresentazione è anche quello della "magia" che esercita: lo spettattore si reca ad incontrarlo con un'aspettativa che trova il suo apice nei momenti che precedono l'apertura del sipario... le luci si abbassano, il brusio si affievolisce, le tende iniziano a muoversi... La nostra intenzione è di concepire l'architettura del teatro come una rappresentazione di questo incontro: è lo spettatore che interpreta se stesso.





I luoghi ed i momenti di questo incontro sono solo in parte quelli del teatro inteso come edificio: il teatro vive fondamentalmente negli spazi dell'immaginazione di ogni spettatore e la soglia finale da varcare per accedervi è proprio quella del sipario. Il percorso che conduce lo spettatore di fronte ad esso è fatto di momenti che fanno parte di un rituale che si rinnova ad ogni spettacolo: si lascia la macchina al parcheggio, si cammina verso l'ingresso, si entra nel foyer, si lascia il cappotto al guardaroba, eventualmente si prende un caffè per poi, finalmente, dirigersi al proprio posto dove si attende l'inizio: il pathos dell'attesa è tutto concentrato nel sipario. Abbiamo concepito lo spazio interno del teatro come uno scavo del blocco di cemento originario che si carica di un significato ulteriore grazie alla forma ed al materiale di rivestimento impiegato.



Lo scavo, infatti, diventa una tenda in lamelle verticali di legno distanziate che fanno vibrare le pareti: è il sipario che si espande dal boccascena a tutto lo spazio della platea e oltre al foyer immergendo da subito lo spettatore nell'atmosfera di magia che precede la rappresentazione.

Si genera uno spazio caratterizzato da un continuum morfologico e spaziale in cui la tradizionale segregazione funzionale del teatro all'italiana è contraddetta: varcando l'ingresso sovrastato da una copertura a sbalzo in cemento colorato, lo spettatore è immediatamente proiettato verso la scena, solo durante lo spettacolo una tenda separa il foyer dalla platea.








La scena è collocata in posizione baricentrica tra la platea interna e l'arena estiva in modo tale da poter essere utilizzata da entrambe. Una grande apertura dai contorni aggettanti, concepita come una cornice allo spettacolo, collega l'esterno alla scena contribuendo, assieme alla torre scenica sovrastante, a connotare il teatro di Montalto di Castro come nuova porta di accesso alla città.

MDU architetti
mdu@mduarchitetti.it




MDU ARCHITETTI. Teatro di Montalto di Castro



Progetto primo classificato al concorso di progettazione per la realizzazione di una struttura teatrale polivalente a Montalto di Castro (Viterbo)

progetto:
MDU architetti (architetti Valerio Barberis, Alessandro Corradini - capogruppo, Marcello Marchesini)

collaboratori:
architetti Cristiano Cosi, Nicola Becagli, Michele Fiesoli

consulenti:
impianto scenico e progettazione scena: scenografo Roberto Cosi
strutture: ing. Alberto Antonelli e ing. Jacopo Ceramelli
impianti meccanici: ing. Federico Boragine
progettazione acustica: ing. Gianluca Zoppi e ing. Fabrizio Pedditzi
valutazione economica: geom. Antonio Silvestri

responsabile del procedimento:
arch. Massimo Fordini

cronologia:
progetto concorso: gennaio 2004
progetto definitivo: novembre 2004
progetto esecutivo: maggio 2005
MDU ARCHITETTI è uno studio associato di architettura che si occupa di progettazione dalla scala urbana a quella dell'interior design. Lo studio è stato fondato da Valerio Barberis, Alessandro Corradini e Marcello Marchesini. MDU ARCHITETTI è impegnato nella ricerca di una misura di sintesi tra differenti approcci che provengono dalla cultura contemporanea: arte, architettura, sociologia, letteratura. Il progetto di architettura è concepito come una misurazione, una sorta di esperimento scientifico-creativo, con l'intento di scoprire il differenziale di ogni paesaggio. Il progetto è una misurazione concettuale della realtà. L'attività di ricerca si sviluppa anche attraverso momenti di riflessione pura che sfociano in progetti teorici elaborati in occasione di mostre ed eventi culturali ai quali lo studio viene invitato. MDU ARCHITETTI ha ottenuto numerosi riconoscimenti e premi in concorsi di architettura, in particolare è risultato vincitore ai concorsi per la progettazione del lungomare di Palau (SS), la sistemazione urbanistica dello Stadio Marconi di Asciano (SI) ed il Nuovo Teatro Polivalente di Montalto di Castro (VT).
NOTA:

1. La "Convenzione Europea del Paesaggio" firmata dagli stati membri a Firenze il 20 ottobre 2000 così lo definisce: "paesaggio" designa una determinata parte di territorio, così come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall'azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni". www.darc.beniculturali.it/ita/ normativa/doc/convenz_europ_palombi.doc
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