|
||||
home > architetture | ||||
PEDRO
PACHECO, MARIE CLÉMENT. Cimitero e chiesa a Luz |
||||
La
chiesa, il cimitero e il museo che Pedro Pacheco e Marie Clément
hanno realizzato a Luz, in Alentejo, Portogallo, tra il 2003 e il 2006
saranno esposti all'interno della mostra Habitar Portugal 2003-2006,
di prossima apertura a Venezia. Domenico Cogliandro rilegge le vicende
del progetto e racconta il percorso del graduale ritrovamento della
storia costruttiva, della topologia, dei traguardi visivi che lo caratterizzano. |
||||
TRITTICO
A LUZ. Nel 1690 John Locke, nel suo Saggio sulla comprensione umana,
ha scritto: "Le parole sono i segni delle idee di colui che parla,
e nessuno può applicarle immediatamente come segni se non alle
idee che egli stesso ha in mente." Ho tratto questa citazione dal
libro enciclopedico di Michel Foucault Le parole e le cose,
che ho ripreso in mano da circa un mese per rileggerne delle parti.
Ho un'edizione tascabile che è tutta gualcita, lisa sui fianchi
e con molte pagine sottolineate a dismisura. È, questo, uno dei
tre libri con cui mi ritrovo spesso in compagnia, a distanza di tempo,
e che non voglio concludere. Gli altri sono La fine del Titanic
di Hans Magnus Enzensberger e La ricerca del giardino di Hector
Bianciotti. Anche gli altri due libri, che prendo e rilascio, sono gualciti,
lisi e sottolineati. Oltre la scrittura, che soffre (e gode) il tempo
macroscopico dell'idea e del suo sviluppo, queste copie di questi libri
sedimentano un altro tempo, microscopico, che ha a che fare con la mia
vita, i miei viaggi, il mio desiderio di riprenderli, di tanto in tanto,
e affondare dentro gli occhi e l'anima. |
[27aug2006] | |||
Riparto
da John Locke, "le parole sono i segni di colui che parla".
Ma non voglio farla lunga. Ognuno pensi e interpreti come vuole la citazione
che ho tratto da Foucault, io parlerò di una "construçao".
Non voglio fare lo snob, ma l'opera che qui presento ha a che fare con
la "costruzione" più che con l'architettura. Si tratta
di una piccola chiesa di campagna, in una delle zone più aride
d'Europa, in Portogallo, che è la regione dell'Alentejo, di cui
ha mirabilmente scritto José Saramago, almeno in due occasioni:
un romanzo e un libro di viaggio. Nel 1987 fui invitato, assieme ad
un cospicuo numero di altri studenti d'architettura europei, ad un meeting
in Finlandia. Eravamo un considerevole gruppo di persone, circa 500,
e ci trasferimmo, dopo una settimana ad Helsinki, presso un piccolo
villaggio del nord, Putikko, dove operammo, chi più chi meno,
realizzando una serie di opere nel rispetto del rapporto tra architettura
e natura, secondo un adagio aaltiano. Ho ritrovato la lista dei partecipanti
e ho notato, tra i giovani partecipanti, i nomi di Benedetta Tagliabue
e Vicente Guallart. L'anno seguente sono tornato al meeting, ancora rapito dal sacro fuoco dell'architettura, che si svolgeva a Berlino. Era il 1988, e il muro era ancora lì. Vivemmo tutta l'avventura, progetti e workshop, nei luoghi che erano stati location del film di Wenders Il cielo sopra Berlino, e lì ho conosciuto Pedro Pacheco. Qui volevo arrivare. Quando ci siamo incontrati la prima volta io ero glabro e lui aveva capelli ricci, tirati dietro con un codino. Ci siamo reincontrati per puro caso (non dico come, che la porterei troppo per le lunghe) a Porto nel 1991, lui glabro e calvo, io con una barba talmente lunga che io stesso non mi sarei riconosciuto. Da quel secondo incontro ci siamo rivisti più volte, a distanza di tempo, sia in Portogallo che in Italia. Per farla breve. Pedro ha vinto lo scorso anno il Premio Cosenza, a Napoli, per il suo progetto di museo a Luz, nell'Alentejo, esposto lo scorso anno alla Triennale di Milano; e tra qualche settimana presenterà il resto del trittico, la chiesa e il cimitero, sempre realizzati a Luz tra il 1999 e il 2005, alla Biennale di Venezia. Ogni volta che ci incontriamo, invece di parlare una lingua comune per capirci, lui mi parla in una lingua che sta tra il portoghese (80%) e l'italiese (20%) e io rispondo in una lingua simile che però sta tra l'italiano (80%) e il portogano (20%). Ci si vuol bene, altrimenti non basterebbero i gesti. Nel 2003 sono stato in Portogallo per incontrare Fernando Tàvora. Lì ho scoperto che Pedro ha lavorato nel suo studio per molti anni, e con lui ha collaborato alla realizzazione di molte delle sue ultime opere. Da qualche parte ho un testo scritto per una rivista, mai pubblicato, sulla Praça della Sé Velha di Coimbra, in cui Pedro è stato strettissimo collaboratore di Tàvora. Anzi, per ricordare brevemente il maestro portoghese, dirò che, nel momento in cui lo incontrai, era particolarmente adirato perché un amministratore della città di Coimbra stava per "modificare" a modo suo il progetto della piazza e lui gli si stava opponendo con intensità. Nel 2003 Pedro mi diede del materiale sui suoi progetti in Alentejo, che raccontavano il cantiere dei progetti, e solo guardando quel materiale, una volta in Italia, ho scoperto cosa fa del progetto della chiesa di Luz una rarissima opera di ricostruzione. In una email del 2003 Pedro ha risposto, alla mia domanda: "Ma non è stata una follia realizzare la chiesa in quel modo?", così: "Neste sentido "destruir", ou desmontar, è tao importante como construir, ou fundar. (...) A (re)construçao com técnicas construtivas tradicionais, nao significa transpor a imagem da Igreja no sentido pitoresco, mas antes respeitar e recriar a autenicidade e identitade da Igreja." Questo, tranne per qualche accento che non trovo su Word, è portoghese 100%, ma è talmente comprensibile che credo sia inutile tradurlo. |
||||
Il riempimento della diga. Di cosa stiamo parlando? Qualche anno fa è stato collocato il progetto di una diga in Alentejo che prevedeva, tra l'altro, di inondare una zona nella quale sorgeva il paese di Luz. È stato previsto il progetto di ricostruzione del paese in una zona collinare, non lontano dal vecchio centro (come mi ricorda, questo, qualcosa che riguarda una certa Gibellina!), prevedendo, all'interno del complessivo "spostamento", anche la realizzazione di un cimitero, di una chiesa e di un museo di memoria storico-antropologica del centro che sarebbe rimasto inabissato. Questi tre elementi di progetto sono stati realizzati da Pedro Pacheco e Marie Clément. "Le parole sono i segni delle idee di colui che parla", e non è facile spiegare come il progetto mi si costruisce dinanzi, se ricordo i gesti architettonici di Pedro, la sua maniera di darsi da fare per farmi comprendere un certo modo di operare. Qui volgarizzerò. Pedro dice che smontare è importante almeno quanto costruire: ha la stessa importanza, dunque? Perché se è così significa -ogni volta che mandiamo qualcuno a demolire una cosa su un luogo che poi ricostruiremo- che non poniamo la giusta attenzione, di là dal rilievo, a quello che perdiamo, e pensiamo troppo insistentemente a quello che realizzeremo, concentrandoci solo su questo. |
||||
La chiesa antica. La chiesa nuova. |
Io
mi sto concentrando tutto sulla Igreja da Nossa Senhora da Luz ("o
nome sempre contém o significado", mi ha scritto Pedro),
ma anche il cimitero è opera di raffinata tettonica. Scriverò
dell'uno e dell'altra, allora. In un certo senso, sono inscindibili.
Appartengono alla medesima giacitura visiva. La prima operazione, infatti,
è stata proprio questa: rilevare, non solo i due eventi architettonici,
chiesa e cimitero, quanto anche la topologia che li rendeva inscindibili.
Rilevare i traguardi visivi, nel rapporto anche con il nuovo centro
di Luz. Questo è stato utile "per la definizione di una
strategia realizzativa -mi permetto di tradurre- al livello del ridisegno
e della costruzione della nuova chiesa. La metodologia adottata parte
da un graduale ritrovamento della sua storia costruttiva, e dallo studio
dei trattati compositivi che stanno alla base della sua struttura principale.
Questo processo ha permesso di riscoprire tutta una cultura e una tradizione
costruttiva." Nell'area i materiali erano disponibili, indipendentemente
dal momento in cui erano, o sarebbero, stati utilizzati. Per cui è
stata scelta, da una parte, la maniera più "difficile"
(o meno contemporanea) per realizzare la chiesa, ma dall'altra la possibilità
di ricostruire un utile processo di apprendistato che nel tempo si era,
man mano, svilito o smarrito. Penso a Renato Nicolini, che in una intervista
dice: "bisogna rottamare gli usi sbagliati". Le immagini denunciano l'evidenza: dentro la nuova chiesa pulsa il senso di un apprendimento, come i "segni delle idee di colui che parla". Ma la nuova chiesa è come la vecchia? Ne è la fedele riproduzione? Com'era, ma da un'altra parte? Ci sono dettagli costruttivi -che riguardano gli archi, i muri portanti, le volte- che non possono passare in secondo piano, e l'occhio del buon architetto starà certo attento alla questione. Ma quella, è la riproduzione esatta della vecchia chiesa! Eppure no. Certo le somiglia, e piuttosto. Ma ci sono cose, accorgimenti, che solo architetti di un altro tempo, il nostro, sarebbero stati disposti a fare, a partire dalla lettura (trascrizione e correzione) delle geometrie interne. E poi, la maniera di organizzare, con la complicità del sole, la penetrazione della luce (luz) in anditi e spazi. Ma, dopotutto, e alla stessa maniera, i due architetti hanno slittato in alto il cimitero di Luz. Anche lì le giaciture, i traguardi visivi, la collocazione di ogni singola sepoltura, la tettonica dei volumi, hanno fatto parte, tanto quanto, del progetto di ricostruzione. Con un "di più" che la cavità ventrale della chiesa non si può permettere. Il romanzo di Saramago si intitola "Una terra chiamata Alentejo", "Levantado do Chao" in originale, e questo è l'incipit: "La cosa più abbondante sulla terra è il paesaggio. Anche se tutto il resto manca, di paesaggio ce n'è sempre stato d'avanzo, un'abbondanza che solo per un miracolo instancabile si spiega, giacché il paesaggio è senza dubbio precedente all'uomo e nonostante ciò, pur esistendo da tanto, non è esaurito ancora." Provate a mettere le vostre mani, a mo' di parentesi, accanto agli occhi e poi avvicinate il volto, così coperto, ad un oggetto naturalmente illuminato fino a che non procurate quella sorta di oscuramento parziale tra i vostri occhi coperti e l'oggetto stesso: ecco la chiesa. Adesso, e con moto improvviso, staccate le mani dal volto e allargatele, a mo' di abbraccio esteso, allo spazio che vi circonda, alla stanza, prendendo posizione e guardandovi intorno: ecco il paesaggio. Il progetto del Cemitério da Luz abbraccia, per gli abitanti del luogo, uno spazio familiare: il loro. Pedro e Marie hanno operato il medesimo ragionamento del trasferimento della chiesa, rilevando (e apprendendo) dal vecchio cimitero la posizione, la dimensione, il volume emerso di ogni tumulo, e riportando a monte la stessa organizzazione spaziale. |
Materiali e costruzione della chiesa. |
||
La chiesa e il cimitero. |
Vecchio e nuovo. Nell'abstract che racconta il progetto gli architetti hanno scritto che "trasferire il cimitero di Luz, significa rispettare la tradizione e la memoria della popolazione di Luz, consolidate nel tempo (...); la visita a un tumulo è un rituale, le cui caratteristiche dovrebbero essere mantenute. Il nuovo recinto contiene la struttura esistente di viottoli e tombe dell'antico cimitero. Siamo partiti da questa preesistenza per adattarla ad una situazione nuova e differente." Traduco ulteriormente, nel caso ce ne fosse bisogno. Il nuovo cimitero ripropone la situazione tettonica del precedente, non tanto per una questione architettonica ma per ricondurre, a memoria, gli abitanti di Luz alle loro tombe di famiglia. Il progettista si pone così un problema etico, prima che estetico, relativo al permanere di una cultura mnestica che è bene non sradicare, ma al tempo stesso facendo passare, in questo nuovo "antico" progetto, termini e linguaggi del contemporaneo. Quasi borgesianamente, come la mappa dell'Impero 1:1, il tappeto tridimensionale del vecchio cimitero è stato trasportato e collocato, e adattato alla topografia del nuovo luogo. Il nuovo recinto diventa, invece, l'elemento che regola la presenza del cimitero nel paesaggio. |
|||
Il Cimitero. |
Il titolo originale del libro di Saramago è Levantado do chao, che sta per, letteralmente, "sollevato da terra" (certe volte, gli amici!). Levantar, il verbo, sta per "sollevare" ma anche per "rilevare", sia nell'accezione di misurare che in quella di far crescere. Quando Pedro mi scrive che "o trabalho inicial de levantamento da Igreja da Luz tornou-se fundamental para a definiçao de uma estratégia...", sta parlando del rilievo; mentre Saramago, abilmente, ricama un raffinato equivoco e scrive del sollevare, e del sollevarsi, anche a proposito di una certa dittatura. Voglio pensare, inoltre, che l'architetto, per trasferire un "tappeto" da una parte ad un'altra, per riporlo adagiandolo al terreno, ha applicato la strategia letteraria del "levantar". Se così non fosse, qualcosa non tornerebbe ai miei conti. Una volta terminato il cimitero, collocate le tombe e inumate le salme, la comunità di Luz ha inaugurato il luogo appropriandosene. Chi ha progettato il luogo, ponendo attenzione ad una tettonica del riposizionamento, si è tenuto un passo indietro, apposta. Sapendo, oppure immaginando. Il giorno dell'appropriazione, o della consegna, del cimitero, gli abitanti di Luz hanno portato dalle proprie case quegli elementi caratteristici, e caratterizzanti, da cui era possibile, da una parte, leggere le "insegne" di famiglia e dall'altra sottolineare, con più forza ancora, la ritrovata identità del luogo. Con tutti quegli armenti il tappeto non potrà certo volare via. Credo di conoscere abbastanza Pedro Pacheco. Il progetto verrà esposto a Venezia, tra altri meritevoli e interessanti, in uno degli eventi collaterali della Biennale: Habitar Portugal 2003-2006. Il modello e le fotografie di Chiesa e Cimitero non racconteranno fino in fondo la loro storia, ma è così che va la vita. Pedro si defilerà, a un certo punto della giornata, e andrà a "leggersi", probabilmente, in Piazza San Marco, l'ex negozio Olivetti di Carlo Scarpa. Quasi nessuno è come Chuang-Tzu, ha scritto Calvino nelle Lezioni americane, che con un unico gesto, riporto a memoria, fu capace di disegnare il più perfetto granchio che si fosse mai visto sulla terra. E anzi, a conferma di ciò, ricordo di aver fotocopiato una pagina dei taccuini di Le Corbusier in cui il maestro disegnò la sezione di un cavolo; sulla sezione disegnata era riportato l'angolo di 90 gradi che due sezioni dell'ortaggio compivano tra esse, e sotto un appunto: "mi ci sono voluti quasi settant'anni per scoprire questa cosa qui". Ci vuole tempo per far sedimentare le cose. Ricordate John Locke? Mi ha scritto Pedro, a proposito della chiesa: "Desenraizar e plantar de novo, como se transplanta uma arvore, parece-nos ser, de facto, a real necessidade associada à reconstruçao da Igreja. O tempo lhe conferirà uma nova autenticidade". Domenico Cogliandro cogliandro@virgilio.it |
|||
PEDRO
PACHECO, MARIE CLÉMENT. Cimitero e chiesa a Luz |
||||
luogo: Aldeia da Luz, Mourão, Portogallo progetto: Pedro Pacheco e Marie Clément cronologia: 1998-2003 |
Per
candidare progetti laboratorio
|