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BAUKUH. Padiglione Italiano all'Expo Universale di Shanghai del 2010



Il 4 luglio scorso si è inaugurata, alla Casa dell'architettura di Roma, la mostra Roman Holiday dello studio Baulkuh. Un progetto per le aree archeologiche di Roma, da piazza Venezia al Parco dell'Appia Antica, sviluppato nel novembre dello scorso anno nell'ambito della III Biennale di Rotterdam per la mostra Power. Producing the Contemporary City prodotta da Berlage Institute Rotterdam. In questi stessi giorni è uscito il primo libro dello studio dal titolo 100 piante, pubblicato da De Ferrari Editore all'interno della collana "Studi di Architettura": un racconto della produzione dello studio genovese dal 2004 a oggi. Matteo Costanzo descrive uno tra gli ultimi lavori dello studio Baukuh, una proposta per il concorso per il Padiglione Italiano all'Expo Universale di Shanghai del 2010.



UN RIGORE FUORI DALLE REGOLE. Il progetto per il Padiglione Italiano all'Expo Universale di Shanghai del 2010 qui presentato non è il progetto vincitore del concorso, né premiato da secondi o terzi posti, né meritevole, secondo il giudizio della giuria, di alcuna menzione. Ma com'è accaduto per Vita spericolata di Vasco Rossi posizionatasi al 22° e ultimo posto al Festival di San Remo del 1983 potrebbe meritare una seconda chance. Non intendo, con questo, muovere alcuna critica al progetto vincitore, né tanto meno delegittimare le scelte della giuria, ma piuttosto ipotizzare un diverso svolgimento dei fatti.

[22 luglio 2008]
Il concorso per l'Expo Universale richiedeva la progettazione di un padiglione che fosse in grado di rappresentare, "dal punto di vista estetico, lo stile e i valori culturali italiani". Una questione culturale molto complessa a cui pochi sono riusciti a dare una risposta dotata di un senso. La proposta di Baukuh non cerca di allontanare il problema, ma si sforza nel definire il campo d'azione. "Il problema deve essere definito in termini precisamente architettonici: un edificio che rappresenta una cultura può essere solamente un edificio che fa riferimento ad un gruppo di edifici che appartengono ad una cultura. Il legame tra il padiglione, lo stile e i valori culturali italiani si traduce nel legame tra il padiglione e un insieme di edifici che vengono individuati come suoi precedenti formali e con un insieme di edifici futuri di cui il padiglione si pone come tramite e prefigurazione". Con questo concetto Baukuh non descrive, dunque, solamente il progetto del padiglione, ma definisce un "manifesto" del proprio modo di fare Architettura.

Così Baukuh descrive i principi del suo approccio: "La scelta di lavorare assieme senza dotarsi di una struttura gerarchica o di un dogma stilistico implica l'adozione di un processo progettuale razionale, basato su un patrimonio di conoscenze comuni. Questo patrimonio pubblico è l'architettura del passato. A partire da esso è possibile risolvere qualsiasi problema architettonico." Secondo Baukuh esiste quindi un "patrimonio pubblico" dell'architettura da dove poter attingere costantemente. L'architettura non può corrispondere semplicemente ad una "firma", come il prodotto di uno stilista, e come tale non può essere soggetta a diritti di autore. L'architettura è, in quanto espressione della cultura, un patrimonio collettivo e, quindi, condivisibile: una posizione, peraltro, nettamente in contrasto con il fenomeno di mercificazione dell'architettura contemporanea. Impostazione programmatica che ha un chiaro riferimento alla concezione teorica di Giorgio Grassi.

In un saggio ancora inedito di Baukuh sul loro rapporto con il pensiero di Grassi, affermano che: "Il confronto con gli argomenti di Grassi diventa inevitabile non appena si scelga, quale obbiettivo per il proprio lavoro, la produzione di un'architettura esplicitamente basata su un sapere pubblico ed esplicitamente indirizzata alla costruzione di un sapere pubblico. Il lavoro di Giorgio Grassi ci appare come una sorta di introduzione all'architettura, come il primordiale manuale di istruzioni che ci tocca consultare oggi se non vogliamo considerare la conoscenza depositata negli edifici del passato come qualcosa di incomprensibile e perduto".



Baukuh usa con disinvoltura e un certo grado d'ironia il patrimonio di esperienze, forme, concetti del passato, lontani o vicini che siano. Osservando la produzione di Baukuh si possono ritrovare un'infinità di elementi diversi, riassemblati per formare nuovi spazi: un rimontaggio di elementi architettonici e urbani per dare nuove riposte alle necessità della società contemporanea. Da una parte, un approccio teorico molto sofisticato con rimandi culturali all'infinito patrimonio del sapere disciplinare e, dall'altra, la ricerca di un'architettura di "buon senso" necessaria per la produzione della città contemporanea. Per il progetto del Padiglione Italiano i riferimenti sono quelli della tradizione classica, in particolare un esplicito rimando all'architettura romana e a quella rinascimentale. Questo riferimento al classicismo individua secondo i progettisti un patrimonio condiviso, comune e, quindi, collettivo.

Il padiglione si presenta come una grande scatola. Tutto parte dalla delimitazione del suo spazio, dalla costruzione dei suoi limiti: un grande recinto di forma regolare, un quadrato di 68 metri di lato. Questo recinto, spesso 5 metri, contiene tutte le funzioni di servizio: ristoranti, sale conferenza, uffici e depositi. Esso definisce, altresì, lo spazio della grande piazza, dove si potranno svolgere molteplici attività di tipo espositivo/collettivo, quali: mostre, spettacoli, sfilate, feste. Sui quattro lati rigorosamente simmetrici si trovano quattro porte di accesso. Questa organizzazione permette, così, tanto ai visitatori, quanto ai mezzi meccanici un facile accesso e, allo stesso tempo, un semplice dispositivo per orientarsi.



Questa cornice funzionale diventa la base per una struttura tridimensionale di travi reticolari. Tali travi in acciaio formano un intreccio formale che definisce il limite superiore del volume alla quota di 20 metri, realizzando un enorme vuoto al suo interno. A questa trave reticolare spaziale viene appesa, tramite una serie di cavi, una struttura secondaria di centine in alluminio che sostiene e modella una superficie di tessuto che dà forma al vuoto interno: un controsoffitto profondo 15 metri che contiene spazi sospesi a 5 metri dal suolo calpestabile del padiglione. "Nel tetto restano impresse le tracce di un edificio invisibile, rapito in un'altra dimensione temporale, poco importa se nel futuro o nel passato. Tale enorme entità volumetrica galleggia come una rovina di cui si siano perdute, una volta tanto, le fondazioni invece che le volte".







Nel progetto di Baukuh questi spazi inaccessibili, scavati in una massa priva di materia -una sommatoria d'intersezioni di forme pure- riprendono la struttura del vuoto del primo progetto di Antonio di Sangallo per San Giovanni dei Fiorentini. "Gli spazi intrappolati nel soffitto sono inaccessibili, solo esibiti, solo mostrati come possibilità di un'architettura di cui il padiglione non è che un'effimera anticipazione". Questa operazione prende in considerazione le sperimentazioni artistiche di Rachel Whiteread, come pure le ricerche condotte durante gli anni Cinquanta da Luigi Moretti attraverso le pagine della sua celebre rivista "Spazio". L'architetto romano aveva ricostruito modelli tridimensionali degli spazi interni, la forma del vuoto creata dai confini dell'architettura stessa, come aspetto espressivo, capace di riassumere il fatto architettonico: una serie di studi sulla forma del vuoto dei più importanti edifici della tradizione classica e moderna. In questo modo è possibile vedere la forma del vuoto o, meglio, "Strutture e sequenze di spazi" che vanno dal progetto della chiesa di San Filippo Neri di Guarino Guarini, alla casa McCord di Frank Lloyd Wright, dal complesso di Villa Adriana, al Palazzo Ducale di Urbino di Luciano Laurana e Franceso di Giorgio, da La Rotonda a Vicenza di Andrea Palladio, al progetto per la Chiesa di San Giovanni dei Fiorentini di Michelangelo, a Roma.



Pur essendo un padiglione monolitico nel suo aspetto esteriore, è uno spazio leggero. Tale aspetto della leggerezza è interessante, applicato ad un tipo di spazialità che attinge da un patrimonio classico nella sua accezione più pura. Con l'utilizzo di un sistema di tecnologie totalmente diverso dai presupposti formali ai quali allude, questo progetto mira a costruire uno spettacolo dello spazio, una sommatoria d'effetti imprevedibili. Uno spazio implicitamente interiore, "dove la complessità del programma coincide con la semplicità dello spazio". Uno spazio liscio, bianco, privo di suono grazie ai materiali fonoassorbenti del sistema di tendaggi sospesi sulla grande sala quadrata. Dall'esterno sembra quasi il rocchio di una colonna, un monolito appunto, dove nella parte superiore del volume si forma una serie di scanalature nella sequenza di spazi lasciati vuoti dall'intelaiatura della struttura reticolare. Un grande circo, una macchina da festa, come lo definiscono gli stessi autori, pronto a sparire per essere realizzato altrove, una volta finito l'evento dell'Esposizione Universale.

In ultimo, che dire: di grande pregio.

Matteo Costanzo
neomatteo@hotmail.com
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De Ferrari Editore, 2008
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