Gianni
Pettena. Le métier de l'architecte Elena Carlini e Pietro Valle |
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È
impressionante vedere per la prima volta tutti i lavori di Gianni Pettena
raccolti nello stesso ambiente. Una sorta di volontaria strategia
della dispersione sembra farli esplodere e allontanarli l'uno dall'altro:
media e linguaggi diversissimi -installazioni e fotografie, dipinti
e arredi- sono posti fianco a fianco. Questa salutare incoerenza è vera
forza critica: oltrepassato l'iniziale disorientamento, si scopre che
tutte le opere parlano di architettura ma lo fanno orientandola sempre
al di fuori di sé, proiettandola sul paesaggio, sullo spazio
pubblico, sul corpo e mai fissandola in un immagine o materializzazione
riconoscibile. |
[18mar2002] | |||
Il mestiere dell'architetto. 2002. |
Pettena
ha saputo rimettere in discussione il progetto moderno, collocandosi
-unico in Italia- in una posizione interlocutoria sia con le ricerche
architettoniche più avanzate che con tendenze artistiche come la Land
Art, il Concettuale e la Body Art. Contrariamente agli ex-compagni di
strada dell'Architettura Radicale, ha voluto però evitare le lusinghe
dell'avanguardia la quale è sempre costretta a diventare manifesto
e ad assumere un linguaggio comunicabile. Le grandi dichiarazioni
degli anni '60, da statements autonomi, sono finiti per essere
assorbiti nel consumo informatico della società dello spettacolo. Pettena
ha invece scelto di non fissare il suo pensiero in un mezzo espressivo
unitario ma di restituire l'architettura alla complessità del mondo,
operando su spazi pubblici e paesaggi esistenti con performances
ed interventi temporanei il cui comune denominatore è l'interattività
ambientale. Per fare questo, ha rinunciato alla routine della pratica
professionale, alla riconoscibilità delle mode promosse dalle riviste
e a un'effimera notorietà. Ha guadagnato però una grande libertà operativa
che rende il suo lavoro attualissimo in un momento storico in cui, nel
mondo dell'architettura e dell'arte, qualsiasi messaggio viene immediatamente
normalizzato e costretto a una piatta ripetizione di sé. Va dunque riconosciuto
al frAC di Orléans e ai suoi curatori Frédéric Migayrou e Marie-Ange
Brayer, il merito di aver voluto far conoscere una così coerente derive
critica con una mostra che scavalca i confini disciplinari tra
arte, architettura, design e ricerca teorica. |
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La
ricerca di Pettena si colloca oltre la dialettica dell'avanguardia e
la produzione di linguaggi autonomi, orientandosi verso uno spostamento
continuo di premesse, modalità operative e mezzi comunicativi. È come
se l'architettura, costante sfondo della sua ricerca, non potesse trovare
esito vitale in alcuna prefigurazione progettuale o costruzione definitiva.
Viene invece ritrovata nell'ambiente naturale e nei comportamenti
collettivi come energia, processo, scarto, dispersione. Non può essere
frutto di un'intenzionalità coerente che rimane chiusa all'interno delle
proprie premesse e finisce per scontrarsi con la realtà come nel progetto
moderno. È invece differenza, energia residua, quell'entropia
che Pettena condivide con l'amico Robert Smithson e che assume come
atteggiamento di ricerca, andando a esplorare tutta una serie di territori-limite
per attivarli. Egli non si pone come ordinatore dei luoghi ma
come scopritore di tracce e disseminatore di indizi. Il paesaggio
non è tabula-rasa da iscrivere e non ha neanche la dimensione eroica
di certa Land Art: è invece un ambiente altamente compromesso dall'uomo
dove lo scarto tra intenzioni ed esiti (spesso ecologicamente disastrosi)
deve essere esplorato. Pettena condivide con Smithson l'interesse per
i luoghi di risulta, le periferie, le discariche, le infrastrutture
del Tour of the Monuments of Passaic, NJ. Invece di proiettare
grandi segni artificiali sul terreno, sceglie di sottoporre l'architettura
a processi trasformativi "naturali" che ne minano la permanenza. Tumbleweeds catcher. Salt Lake City, Utah (USA), 1972. Nei suoi interventi americani degli inizi degli anni '70, la Clay House e la Ice House, Pettena ricopre rispettivamente di fango e di ghiaccio due banali residenze unifamiliari suburbane. James Wines, nel saggio introduttivo al catalogo, parla di de-costruzioni dell'architettura, paragonandolo a Gordon Matta-Clark. Mentre quest'ultimo rimuoveva intere porzioni di edifici rivelando ambienti precedentemente segregati, Pettena ricopre invece l'architettura con un nuovo strato materiale. Il nascondimento è rivelatore ma impermanente: si secca, si scioglie o viene disperso dal vento come nel Tumbleweed Catcher, struttura ricoperta di arbusti. Al contrario degli epici gesti di Smithson e di Matta-Clark, Pettena configura un ambiente metamorfico dove la critica dell'architettura avviene attraverso l'auto-dissoluzione degli interventi di configurazione spaziale e la loro riduzione a processi non appropriabili. |
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Clay House. Salt Lake City, Utah (USA), 1972. Questo autonegarsi a un'immagine definitiva è esemplare: in fondo, il limite della Land Art è la mancata ricomposizione tra il volere essere site-specific e la sua diffusione attraverso immagini riproducibili. Pettena invece risolve in partenza qualsiasi tentazione iconico-monumentale operando parallelamente su due fronti: la messa in atto di eventi energetico-trasformativi e il coinvolgimento del pubblico che attiva l'ambiente. L'autore-artista fa un passo indietro: il luogo è protagonista, si auto-innesca ma è anche elusivo. La descrizione del paesaggio non è mai conclusiva in Pettena: la circoscrizione del limite della città con una linea di vernice rossa in Red Line (1972) non è mai visibile nella sua interezza e testimonia l'impossibilità di "chiudere il cerchio" (come invece fa ancora Richard Long). I non-sites di Smithson non diventano più rappresentazioni da posizionare in un museo ma segreti personali da portarsi via con sé in valigia, come le silhouettes delle montagne di Paesaggi della Memoria del 1987 e le fotografie e disegni di Already Seen Portable Landscapes del 1973. Il Veiled Landscape di Mary Miss, elegante apparato di diaframmi visivi, trova un'irriverente parallelo nella Laundry di Pettena del 1969 dove sono i vestiti appesi ad asciugare a velare la piazza principale di Como con una provocatoria inversione tra spazio pubblico e rito privato. Ice House II, 1972. Dan Graham ha giustamente scritto che la differenza tra il Minimalismo (e in esso includeva anche certa Land Art) e i movimenti cosiddetti Post-Minimalisti degli anni '70 sta nel fatto che mentre il primo cercava di oggettivizzare tutto (anche il paesaggio), i secondi hanno restituito una dimensione individuale e partecipativa all'approccio verso l'ambiente. |
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Dialogo. Palazzo D'Arnofo, S. Giovanni Valdarno, 1968. |
Con le sue performances e interventi negli spazi pubblici, Pettena si
colloca decisamente in questa seconda linea, vicino ad artisti proprio
come Graham ma anche Vito Acconci, Dennis Oppenheim e Bruce Nauman.
Situazionista e provocatorio, sperimenta la sovrapposizione di una certa
supergraphics all'ambiente urbano trasformandola in monumento
effimero: le bande nella loggia di Arnolfo di Cambio a San Giovanni
Valdarno (1968) sottolineano il partito delle arcate nascondendolo;
le gigantesche lettere che formano le scritte Carabinieri e Grazia
e Giustizia (1968), sono portate via a piedi e poi buttate a mare
con chiaro intento antiautoritario. In alcuni casi, gli basta la semplice
registrazione di un messaggio nello spazio urbano, una provocatoria
rilettura per liberare significati nascosti nell'ambiente:
in Some Call Him Pig (1971), la fotografia di un cartellone
raffigurante un poliziotto che fa una respirazione bocca a bocca a un
bambino e un messaggio che cerca di controbattere alle critiche che
avevano investito la polizia durante la contestazione studentesca, vengono
reinterpretati con una velata allusione alla pedofilia come pratica
tacitamente consentita. Casa d'abitazione, Enfola, Isola d'Elba, 1980. L'esploratore ambientale non ha tolto o aggiunto nulla: è semplicemente cosciente della non neutralità di qualsiasi rappresentazione e la usa come nuovo overlay sull'ambiente, giungendo a un quasi-nulla ben diverso a quello del Minimalismo. |
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Il corpo -la sua
dimensione tattile, sessuale, politica- è usato dall'artista-architetto
in prima persona in una serie di performances in cui si mette lui
stesso in gioco a diretto contatto con l'ambiente: Pettena ricoperto
di vernice fosforescente che nuota nei canali veneziani, Pettena gradualmente
inondato dalla marea del Tamigi mentre pronuncia un discorso polemico
sull'architettura immerso nell'acqua. In entrambe, il senso di impermanenza,
pericolo e potenziale autoannientamento già presenti negli interventi
architettonici sono reiterati annullando le barriere tra autore, opera
e pubblico. Ma il corpo è anche giocoso costruttore di un luogo collettivo
in Paper (1971) dove il pubblico viene immerso in una stanza
dal cui soffitto pendono infinite strisce di carta ed è invitato a
comporre i propri percorsi strappandole. È inoltre anello di unione
tra spazio e oggetti e proprio qui Pettena opera la sua critica all'industrial
design proponendo appendici-protesi del corpo e non più arredi
d'immagine. Vestirsi di sedie del 1971 e la poltrona
Ombra del 1985 propongono sedute appese al corpo che si muove,
il quale può configurare un insediamento nomade ovunque si fermi.
Il divano Rumble del 1967 diventa ricettacolo attivato dal
corpo che cambia forma con i nostri spostamenti. Gli oggetti acquisiscono
così un'autonomia dallo spazio, dal progettista e dalla produzione
di serie che va ben oltre la mistificazione dello user-friendly
proposta dal mercato. Anche qui sono presenti il flusso, l'evento,
l'energia, la dissoluzione che attraversano tutta l'opera in mostra. |
Archipensieri. 2000. |
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Gianni
Pettena. Le métier de l'architecte / Il mestiere dell'architetto |
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Tumbleweeds catcher. Salt Lake City, Utah (USA), 1972. |
frAC
Centre Orléans, Francia 12, rue de la Tour Neuve 45000 ORLEANS tel: +33 02 3862 5200 fax: +33 02 3862 2180 http://www.frac-centre.asso.fr dal 21 febbraio al 26 aprile 2002 Catalogo HYX http://www.editions-hyx.com |
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