Giuseppe
dall'Arche, Molo K Marghera. L'altra Venezia Pietro Valle |
||||
"La
fotografia è un passo attraverso una soglia proibita. La
sua invadenza non consente di restare a distanza e rendere giustizia
all'oggetto" Peter Handke, Certi Miei Libri, 1987 (1) |
||||
L'invadenza
della fotografia di cui parlava Peter Handke vent'anni fa è ridiretta
oggi verso l'infinita reiterazione delle immagini. La fotografia
non si relaziona più a un presunto reale cercando di fissarlo
nel celebre punctum di cui parlava Roland Barthes ma, nella civiltà dell'ipercomunicazione
immateriale, si orienta ormai verso la riproduzione di altre riproduzioni
(2). Dalla manipolazione del paesaggio si passa alla manipolazione
di immagini del paesaggio in un continuo rimando a figurazioni precostituite.
La conoscenza dei luoghi non passa più attraverso l'esperienza
diretta ma è filtrata attraverso pratiche discorsive che li
contestualizzano prima che essi siano esperiti. La modificazione
continua di immagini, tutte sullo stesso livello e tutte svuotate
di reale valore documentario (in quanto esso ha ormai minore importanza
del valore comunicativo autonomo di ogni singola immagine), rischia
di creare un universo di cliché da cui è difficile
liberarsi perché non si ha più alcun referente esterno.
Nel suo libro su Francis Bacon, Gilles Deleuze dedica un intero capitolo
all'uso della fotografia come fonte d'ispirazione per la pittura
del maestro irlandese descrivendo una pratica di passaggio attraverso
i cliché della comunicazione per superarne l'acritica facilità figurativa.
(3) |
[09sep2007] | |||
Che
ruolo ha la fotografia di paesaggio (e, diremmo, anche di architettura)
in un tale contesto modificato? Il tentativo di isolarsi alla ricerca
di uno sguardo estraneo alla comunicazione di massa e capace di cogliere
frammenti di luoghi sospesi, così tipico di una certa scuola
degli anni '80, è oggi completamente assorbito nei cliché figurativi
della pubblicità. Sia l'estetica del frammento metafisico
(Luigi Ghirri), sia quella della monumentalizzazione formalista (Gabriele
Basilico) sono ormai riusate fino alla nausea in servizi etnografici
e di moda di patinate riviste commerciali, facendo sorgere il dubbio
se esista ancora un'autonomia dalla fotografia come disciplina. Se
le immagini sono diventate pure matrici di manipolazioni equivalenti e il reale è referente
impoverito svuotato di qualsiasi autorità,
la fotografia di paesaggio non può che avvalersi di un progetto
concettuale che confronta una possibile documentazione contemporanea
con tutti i discorsi, le figurazioni e i cliché che uno specifico
luogo ha già attraversato. |
||||
Via Flavio Viola. Muro perimetrale dei cantieri navali. Via Flavio Viola. Lavorazione metalli. Via delle Industrie. Ex-torre di raffreddamento per la lavorazione della bauxite. |
Banchina Canale Industriale Nord. Cancelli dei cantieri navali. Terminal T.R.I. dal Silos Piemonte. Via dell'Azoto. Ex-fabbrica per la produzione di fertilizzanti. Tale confronto non porta necessariamente a nuovi immaginari ma ha almeno il compito di svuotare lo spazio da forme di sguardo precostituito. Come dice allora Paul Virilio, "Il campo della visione diviene paragonabile al terreno degli scavi dell'archeologo. Vedere è essere appostato in attesa di ciò che deve sorgere dal fondo, senza nome, di ciò che non presenta nessun interesse." (4) In tale procedura, la fotografia deve abbandonare una presunta idea di autonomia e abbracciare pratiche critiche già messe in atto dall'arte contemporanea, e dal Concettuale in particolare, che hanno posto l'immagine a confronto con il linguaggio scritto e con lo svuotamento della loro capacità figurativa. Se rileggiamo oggi alcune classiche esperienze di scoperta dei non-luoghi contemporanei da parte degli artisti concettuali (dalle serie delle Gas Stations di Ed Ruscha alle New Homes for America di Dan Graham, dal Tour of the Monuments of Passaic, New Jersey di Robert Smithson al recente saggio con illustrazioni Some Cities di Victor Burgin) ci accorgiamo che esse non sono tentativi di sospensione dell'immagine volte a monumentalizzare luoghi non ancora semantizzati ma esattamente il contrario: sono pratiche di svuotamento di qualsiasi caratteristica figurativa dei luoghi attraverso procedure di reiterazione e di ibridazione con rappresentazioni scritte straniate dall'immagine. (5) |
Via delle Industrie, Ex-fabbrica per la lavorazione delle leghe leggere. Banchina Molini. |
||
Il
libro Molo K Marghera. L'altra Venezia del giovane fotografo Giuseppe
dall'Arche, pur presentandosi come un lavoro documentario su uno
specifico contesto, ha il pregio di porsi il problema dello svuotamento
semantico delle immagini e del rischio dell'assunzione di cliché figurativi.
Dall'Arche risolve tali difficoltà accostando le sue fotografie
ad altre pratiche descrittive del luogo in modo da rendere confrontabile
una possibile figurazione di Marghera staccata da tutti i discorsi
che l'hanno già attraversata. In ciò, il suo lavoro
implica un progetto concettuale affine a quelli degli artisti suddetti,
e volto a non sintetizzare il significato dei luoghi in un'immagine
unica ma a porla al fianco di altri discorsi (già consumati)
per renderla irriducibile ad essi. La zona industriale di Venezia è un
luogo-simbolo che parla della storia dell'industrializzazione e della
successiva dismissione delle fabbriche, della lotta sociale di una
nuova parte di città di 27.000 abitanti e del peso dei 183
morti e 103 ammalati di cancro avvelenati dal cloruro di vinile sul
lavoro al Petrolchimico celebrati dal famoso processo d'appello del
2004. Non è quindi un contesto neutrale e il rischio di retoriche
nell'esplorare un tale paesaggio è altissimo, soprattutto
quando si confronta con un ambiente-fantasma come quello odierno,
segnato dall'abbandono e dalla monumentalità delle rovine. |
||||
Dall'Arche
presenta diversi codici di lettura prima e durante l'esposizione
delle sue immagini: - Innanzitutto il titolo è una fiction. Il molo K non esiste a Marghera ma K è il modo abituale per indicare, tra addetti ai lavori, e in maniera non palese all'ammalato, la malattia neoplastica (il cancro). La vicenda del Petrolchimico è quindi citata e poi abbandonata, rimane come un orizzonte che segna la funzione dei luoghi (i moli) ma essa è, oggi, irrappresentabile. Tale assenza è anche quella dell'"altra Venezia" cui allude il sottotitolo. Marghera è l'altra faccia della fabbrica del consumo, che, nella città lagunare, si espleta attraverso il turismo. Anche il centro storico è irrappresentabile nelle fabbriche ma il suo successo si specchia nella loro vicenda. - Tre testi introducono il libro. Essi sono una lettura poetica del luogo dell'abbandono (del poeta Andrea Zanzotto), una lettura politica della storia di Marghera (dell'ex Prosindaco e attivista Gianfranco Bettin) e una lettura di un critico di fotografia (Angelo Schwarz) che parla delle differenze dei punti di vista. Con questi scritti, dall'Arche introduce il lettore alle possibili interpretazioni canoniche (e retoriche) sia del luogo sia delle immagini. - Segue una sezione documentaria di foto storiche d'archivio sulla creazione dell'industria a Marghera, sul lavoro nelle fabbriche e sugli scioperi conseguenti alla dismissione. Sono cartoline di attimi di storia che non si può più ritrovare oggi. - Le fotografie di dall'Arche stesso sono ordinate attraverso una rigorosa mappatura. I nomi sono quelli della toponomastica locale (senza alcuna retorica del titolo) ed esse sono segnate su una carta geografica della città con il punto di presa e la direzione dello sguardo indicato attraverso un abaco. Con questa asettica operazione di tassonomia, dall'Arche si libera anche della presunta "oggettività" delle immagini. Il valore documentario non è assunto da esse ma è un discorso a latere: esiste ma non le influenza. |
||||
Con
questo apparato alle spalle, dall'Arche libera le proprie immagini
dal compito di assumere i ruoli di rappresentazioni altrui o, meglio,
espone le proprie fotografie al confronto con esse senza la preoccupazione
di emularle. L'operazione è intelligente perché svuota
la fotografia di tutti i ruoli simbolici e retorici che essa ha già assunto
e che sono stati appropriati dal consumo delle immagini. Dall'Arche
non nega la presenza di tali discorsi, semplicemente li pone come
paralleli al proprio. Le fotografie di Marghera di Molo K mostrano
un paesaggio dell'indecidibilità che cerca di recuperare un
senso di durata per Marghera, una temporalità separata da
tutte le storie e le attese che si sono concentrate in questo luogo.
Nel corso delle pagine si dischiude un territorio sospeso tra la
rovina del passato e un cantiere aperto verso un possibile futuro.
Dall'Arche mostra l'abbandono ma non lo monumentalizza ritraendolo
sempre di notte e illuminato dai colori artificiali delle luci elettriche.
Bagnate dagli arancioni e azzurri dei neon, le fabbriche diventano
meno rovine e più apparizioni (non è enfatizzato un
presunto ritorno alla natura con l'esibizione della decadenza materiale).
Rari segni di vita mostrano degli accenni di abitazione in poche
finestre illuminate. Esse sono sempre lontane e appaiono oltre a
muri di cinta, canali e sovrappassi. |
||||
Marghera è un
territorio di barriere e soglie ed esse, più degli edifici,
sono le vere protagoniste del libro: qui si guarda sempre oltre
a qualcosa. Le recinzioni denotano un'assenza di scala per l'intero
insediamento, si passa da perimetrazioni quasi intime all'abbandono
totale di vuoti senza margine. Dall'Arche enfatizza questo spaesamento,
ritraendo lo stesso luogo in medio e lungo campo in successive immagini.
Non c'è distanza nel guardare le cose, non la dà il
luogo ma neanche la fotografia: lo stesso spazio appare identico
ma anche radicalmente diverso su pagine limitrofe. Tutto ciò (l'assenza
di un tempo o di una misura) non è tuttavia presentato in
maniera retorica: la mancanza dei riferimenti non è negativa
né positiva. La fotografia non vuole riempire questo vuoto,
saranno altri a farlo, ma in ciò indica un territorio
di possibilità e
un ruolo dell'immagine come indicatore che non vuole racchiudere
la realtà in discorsi definitivi ma mostra soltanto delle
possibilità. In ciò essa è sommamente artificiale (è un segno, non ritrae, semplicemente mostra) e limitata.
Ci perdiamo nelle pagine di Molo K e abbiamo dimenticato tutta la
retorica di Marghera: forse da questo smarrimento può nascere
un luogo altro ma non sarà certo dall'Arche a suggerirci quale
esso sia. Pietro Valle pietrovalle@hotmail.com |
||||
NOTE: 1. Peter Handke, Certi Miei Libri, intervista di G. Gallo su "Alfabeta" 92, gennaio 1987. 2. Roland Barthes, La Camera Chiara, Nota sulla Fotografia, Torino 1980. 3. Gilles Deleuze, Francis Bacon, Logica della Sensazione, Parigi 1981 - Milano 2001. 4. Paul Virilio, L'Orizzonte Negativo, Saggio di Dromoscopia, Genova 1986. 5. Una certa lettura degli anni '80 di queste esperienze artistiche aveva cercato di accostarle ad una nuova scuola di fotografia del paesaggio (vedi, ad esempio, la mostra Dialectical Landscapes tenutasi alla Fondazione Fortuny a Venezia che presentava il lavoro sui nuovi luoghi del paesaggio urbanizzato di Robert Adams, William Eggleston, Stephen Shore e Lewis Baltz) ma, mentre i progetti degli artisti mantengono una propria distanza dall'universo delle immagini per via del loro rigore concettuale, i risultati di questi fotografi sono stati assorbiti, come quelli di Ghirri e Basilico, nel più generale commercio delle immagini. |
||||
Tutte le immagini pubblicate in questa pagina sono di Giuseppe dall'Arche. Dal volume di Giuseppe dall'Arche, Molo K Marghera. L'altra Venezia, testi di Andrea Zanzotto, Gianfranco Bettin, Angelo Schwarz, 123 pp., Terra Ferma, Vicenza 2007. | ||||
> GIUSEPPE DELL'ARCHE | ||||