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Luc Tuymans, fallimento pianificato della pittura

Pietro Valle



È arrivata alla Haus der Kunst di Monaco la paradossale "retrospettiva" di Luc Tuymans, il cinquantenne belga di Anversa considerato tra i più influenti pittori sulla scena contemporanea. La mostra, curata dall'artista in persona, ha viaggiato alla Kunsthalle Mücsarnok di Budapest e alla Galleria d'Arte Moderna Zacheta di Varsavia. In ogni successiva materializzazione, ha prodotto un senso di spaesamento presentando diverse sequenze di dipinti. Pur raccogliendo più di venticinque anni di ricerca figurativa, Tuymans ha deliberatamente eluso il proprio lavoro, disperdendolo in aggregazioni tematiche decise di volta in volta ed escludendo a priori la riduzione a un discorso unitario.

La successione delle tre mostre è quindi in linea con l'intera opera di Tuymans: essa potrebbe essere letta come un'allegoria della memoria contemporanea, vista come incapacità di relazionare ricordo privato e significato collettivo, immagine e tempo, rappresentazione e parola. Tre decenni di critica postmoderna hanno interdetto alla pittura qualsiasi possibilità di stabilire un'autonomia disciplinare e una completezza iconica. Nella generale celebrazione del frammento e della citazione, nessuno però si era spinto così avanti come Tuymans nell'esplorare le potenzialità concettuali di un'estetica del fallimento. Tuymans dipinge quadri figurativi (ma il termine va inteso in senso relativo) di piccolo formato, realizzati con una tecnica rapida e apparentemente sommaria: larghe pennellate, un disegno appena sbozzato e sfondi nebbiosi che avvolgono le figure, se esse ci sono.


[26 maggio 2008]
L'artista ha dichiarato che ogni suo dipinto è realizzato in una singola sessione di lavoro senza riprese e questa superficialità si pone deliberatamente in opposizione a qualsiasi valore di fattura. I soggetti, spesso derivati da immagini preesistenti (soprattutto fotografie) sono ritagliati in modo radicale, spesso evidenziando dettagli irriconoscibili che ne sfumano la leggibilità. A un'iconicità dispersiva che sembra voler sfigurare le proprie fonti, Tuymans aggiunge la pratica di elaborare i lavori in serie tematiche che affrontano argomenti irrappresentabili come l'Olocausto, il nazionalismo xenofobo, il colonialismo, l'Undici Settembre e altri nodi irrisolti della memoria collettiva (famosa la serie Mwana Kitoko sulle atrocità del governo Belga in Congo con cui si presentò alla Biennale di Venezia del 2001). Questi temi, a costante rischio di banalizzazione, sono traslati da Tuymans in rappresentazioni assolutamente incongrue: evidenziati sono dettagli superflui, macchie di colore, trasposizioni incomprensibili.

  Noi non riconosciamo in una figura sfocata la copia della foto di un criminale di guerra, non comprendiamo che una pianticella in un vaso è tratta dall'immagine di una coltivazione sperimentale in un laboratorio nazista per la ricerca dello sterminio di massa, non sappiamo che il dettaglio di un corpo è tratto dall'immagine di un cadavere, non risaliamo da un volto al ritratto di un utente in un ospedale psichiatrico. Sono i titoli che Tuymans appone alle sue opere che fanno emergere quello che manca alla figurazione. Egli ha commentato sull'importanza dello scollamento tra immagine e titolo nel suo lavoro in un'intervista dichiarando: "Il titolo stesso è il cuore dell'immagine e non può essere mai dipinto: esso è l'immagine assente. 'Camera a Gas' può apparire visivamente piacevole ma quando leggi il titolo diventa minacciosa, l'intera figurazione muta". Con questo straniamento, Tuymans fa balenare il dubbio che nel libero mercato, qualsiasi significato possa essere attaccato a qualsiasi immagine, un'intuizione che aveva già avuto Walter Benjamin quando ne L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica si chiedeva: "La didascalia, non diventerà per caso uno degli elementi essenziali dell'immagine fotografica?".


Window, 1993.


Suicide, 1975.


Christmas Revisited, 1993.


Illegitimate V, 1997.

Non è un caso che la pubblicazione che accompagna l'attuale mostra non sia un catalogo bensì un libro ove sono stati invitati giovani scrittori a pubblicare racconti e saggi che rimandano ai quadri di Tuymans. Le parole modificano il significato delle immagini in un progressivo allontanamento dalla fonte e dalle intenzioni stesse dell'artista. Le immagini in mostra, anche se ampiamente illustrate da testi, alludono a temi controversi girandoci intorno, tenendosi a distanza, mostrando l'inutilità di qualsiasi tentativo di collegare spiegazione e figura. A queste serie tematiche, Tuymans affianca altre riproduzioni di origine assolutamente banale, dettagli di volti, paesaggi, vedute urbane, nature morte, oggetti quotidiani. Alcune di esse approssimano la correttezza tecnica di un pittore dilettante, altre si fermano a sommarie stilizzazioni. Alcune sono "spiegate" come provenienti da mezzi di comunicazione collettivi quali giornali o TV, altre sono riproduzioni di foto di famiglia, memorie private il cui senso sfugge allo spettatore.


Pink Glasses, 2001.


The Worshipper, 2004.


Cosmetics, 2000.


Mwana Kitoko (Beautiful White Man), 2000.


Sunset, 2002.


Body, 1990.


Portrait, 2000.


Plant, 2003.


Fingers, 1995.

Nell'accostarle a temi altamente politici, Tuymans riesce, tuttavia, a sottomettere anch'esse a un generale senso di minaccia, al dubbio che dietro l'apparente banalità della memoria privata si nasconda una vicenda autoritaria. Girando per le sale della retrospettiva, si ha il costante presentimento di non comprendere: tutte le figure aleggiano in uno strano limbo che le rende non pacificate. Cosa si nasconde dietro alla loro apparente banalità? Cosa dirà il loro titolo? Sono oggetti o simulacri di qualcos'altro? Era dai tempi di Giorgio Morandi e di Edward Hopper (non a caso due riferimenti citati da Tuymans) che l'immagine non registrava un così alto grado di sospensione. Il fallimento pianificato da Tuymans avviene a più livelli: la tecnica pittorica non rende l'immagine, l'immagine non si rende comprensibile, non si capisce quale sia la sua fonte, non c'è connessione tra rappresentazione e titolo, non si sa se essa abbia un significato condiviso o privato, non si sa, alfine, quello che l'immagine ricorda. Tutto questo fa parte di una deliberata strategia di lavoro critico sulla figurazione contemporanea. La comunicazione di massa ha ampliato il divario tra significante e significati, qualunque messaggio può essere attribuito a qualunque figura da chiunque e questa possibilità porta alla assoluta equivalenza di bene e male, valore e non valore, pubblico e privato, impegno e disimpegno.


La relatività e la s-definizione non sono, però, neutrali, bensì strumento di un potere economico che usa il costante ricambio di nuovi messaggi per renderli tutti identici e sottomessi alla strumentalizzazione, anche quando essi appaiono personalizzati. Nel negare una relazione tra immagine e significato, nel mostrare il potenziale di manipolazione che è sottinteso ad ogni denominazione, nel mostrare la sostanziale equivalenza tra memoria privata e ideologia pubblica, Tuymans mostra le contraddizioni della libertà di comunicazione, ne smonta gli assunti. La memoria diviene amnesia collettiva, accoglie immagini di violenza senza comprendere il loro significato perché esse sono diventate troppo famigliari. È questo che sembra dirci Tuymans ed egli allarga questo potenziale di minaccia anche agli oggetti di affezione, i souvenir personali, i diari privati.


Die Zeit, 1988.

La pittura, che sembrava superata dalla proliferazione delle immagini riprodotte, riacquista con Tuymans un suo paradossale potere negativo. Egli riduce la sua capacità documentaria, anzi la usa come prova della falsità di altre figurazioni o come indice dell'inappropriatezza della memoria. Con le sue approssimative riproduzioni, egli mina la secolare funzione comunicativa dello spazio pittorico; questo non si relaziona più all'occhio e allo spazio, è semmai dipendente da immagini appropriate e da titoli arbitrari. Non c'è più tradizione, non c'è metodo per condividere le immagini ma Tuymans non se ne preoccupa. Anzi, con il suo lavoro egli libera un enorme potenziale operativo per la pittura come parte del discorso contemporaneo della comunicazione. La pittura non deve più rispettare alcuna regola disciplinare, può usare diverse tecniche, non segue alcun criterio di qualità materiale, può affrontare molteplici aree tematiche parallele appropriate da altri media. Soprattutto, usa il fallimento della propria tradizione per sfuggire al consumo delle immagini.


I quadri di Tuymans rimangono inconclusi: anche quando pensiamo di averne colto il significato, essi fanno slittare l'attenzione verso qualcos'altro, verso un titolo che è denominazione sospesa lasciata senza una materializzazione. Non stupisce che Tuymans abbia un'importanza fondamentale sulla scena artistica internazionale. La rivista Artforum, quattro anni fa ha addirittura dedicato un numero monografico sul Tuymans effect nella pittura europea contemporanea, ponendo l'accenno su diversi giovani pittori che sviluppano le sue strategie. Il pittore di Anversa occupa una posizione di riferimento che Gerhard Richter aveva forse due decenni fa. La differenza tra i due artisti è, tuttavia, fondamentale. Mentre Richter affrontava l'appropriazione postmoderna cercando di riportare tutta la figurazione a una sostanziale unità della pittura (e, nel fare ciò, si moltiplicava in più pittori con prometeica versatilità), Tuymans ha rinunciato in partenza a qualsiasi qualità ed usa il minimo comune denominatore della pittura come strategia di resistenza contro immagini apparentemente più forti.


Dusk, 2004.

Nello scarto tra i due artisti c'è tutta l'evoluzione dell'iconologia negli ultimi dieci anni, il suo perverso potere feticistico che è esploso nello spettacolo delle torri gemelle. Richter creava un legame tra arte e iconologia di massa riproducendo le foto dei terroristi della Baader-Meinhof uccisi dalla polizia nella famosa serie 18 ottobre, 1977. Tuymans dipinge il tramonto su due palazzi gemelli esistenti nel centro direzionale di Bruxelles e, intitolandolo Dusk (crepuscolo), denuncia il male senza riprodurlo, mostra l'Undici Settembre nel nostro quotidiano. Se la retrospettiva di Richter al Museum of Modern Art di New York del 2001 era il canto del cigno della pittura classica, questa mostra itinerante di Tuymans è la celebrazione di una nuova figurazione traslata.


Pietro Valle
pietrovalle@hotmail.com

la sezione Artland è curata da
Elena Carlini e Pietro Valle


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