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S,M,L,XL |
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Rem Koolhaas, Bruce Mau "S,M,L,XL" pp1376, $49.95 acquista il libro online a prezzo scontato! |
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Una
recensione che parla di muri, cammelli e tende dentro i muri finalizzata
a riportare il "reale" nella realtà. In diverse interviste, fra cui una pubblicata nei meandri di ARCH'IT, Peter Eisenman parla di S,M,L,XL, come di monumento, di un caposaldo della cultura architettonica del Novecento. Tralasciando alcuni riferimenti personali di Eisenman che lasciano trasparire una sorta di sana gelosia per il libro che lui non ha scritto, dobbiamo senza dubbio condividere la centralità di questo testo nel panorama contemporaneo. Il mastodontico volume redatto da Koolhaas nel 1995 è senza dubbio un momento di snodo nel percorso dell'architettura. |
[30nov2001] | |||
Typical Plan. |
Un'antologia
personale che ha la pretesa di diventare dizionario collettivo, un processo
di automitizzazione che propone un ribaltamento della figura dell'architetto,
destinato, nel processo intellettuale di Koolhaas, ad uscire dall' "universo
del privato" in cui era stato rinchiuso dalla critica negli anni Settanta,
per riproporsi come mito collettivo possibile. La risposta di Koolhaas, che già si accenna negli stessi Settanta, deriva indiscutibilmente da un approccio tipico di chi ha studiato alla Architectural Association, in quella Londra animata dal progetto culturale lanciato da Banham nel secondo dopoguerra che si riproponeva di rileggere e dare continuità ad alcune istanze del Movimento Moderno e nello stesso tempo di aggredirne alcuni aspetti esteriori. Abbandonando i lati stilistici e le parti più intrise di un utopismo ormai inadatto ai tempi del dopo Hiroshima. Banham è senza dubbio un passepartout capace di aprire molte porte per l'interpretazione del dopoguerra e sarebbe ora che il suo operato venga studiato in maniera seria e completa. A ben guardare le diversità strutturali delle avanguardie inglesi del dopo guerra derivano dal "progetto storico" di Banham, che senza rifiutare l'inevitabilità dello sviluppo capital-macchinistico occidentale (del resto l'Inghilterra la guerra l'ha vinta, unico paese europeo) si chiede insistentemente come reggere le contraddizioni che animano questo modello sociale e di sviluppo. Tutte le esperienze impropriamente definite "radicali" (nulla di radicale, anzi semplici riflessioni sul progettare una volta capito che i contesti culturali e ambientali erano radicalmente cambiati) si nutrono della linea che Banham traccia, delle sue inquietudini e del suo ostinato interesse per lo sviluppo, un interesse per lo sviluppo che in Italia è spesso stato confuso per sbadata superficialità se non, peggio, come mancanza di spessore critico nei confronti della realtà. I figli di Banham, o meglio del progetto storico di Banham, introiettanno alcune grandi linee direttrici che vengono riversate nelle esperienze inglesi dei Sessanta e successivamente, tramite una politica molto coraggiosa e audace, in tutta la generazione che avrà modo di incrociarsi a Londra e in particolare nella AA gestita da Alvin Boyarsky. |
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Koolhaas,
benché dotato di strumenti propri e riflessioni che derivano dalla sua
formazione nel mondo editoriale e poi della pubblicità e del cinema
(a quando una rassegna dei bei "filmini" di Koolhaas in Italia?), è
senza alcun dubbio un figliastro di questa generazione. Capace di riassorbire
i principi di massima, gli approcci invece che gli stili, sviluppa una
lingua propria capace di confrontarsi con i nuovi ambienti degli anni
Settanta e Ottanta, così diversi dalla stagione "eroicamente radicale"
dei Sessanta. Una lingua propria che, secondo alcune linee guida sottese
in Banham cerca il dialogo con le regole dell'industrializzazione abbracciando
gli opposti e le contraddizioni. Ne deriva un andare sempre in "direzione
ostinata e contraria" che sembra delirante e che invece è l'unico modo
di procedere e influire davvero sulla società contemporanea che non
è capibile se non con gli strumenti del delirio. Una linguaggio personale
che va detto si forma assieme alla figura di Zenghelis, realmente centrale
nella nascita dell'architetto Koolhaas e che, anche se taluni possono
vederne la figura assorbita dal trionfo mediatico dell'ex-socio, né
è il vero tutore-creatore. Come può trovare delle occasioni progettuali un architetto che cerca un'avventura di macroperiodo? Cosa deve fare un giovane architetto che vuole vedere più in là dello stile postmoderno imperante in quegli anni e delle risposte fatue del revival del moderno (postmoderno anch'esso a ben vedere anche se più sofisticato) che si praticava fra l'Italia e New York? Andando ancora una volta in direzione "ostinata e contraria" ovvero costruendosi da solo il proprio contesto di lavoro, naturalmente nella capitale del capitale, naturalmente delirando. Delirious New York è deliberatamente la creazione di un contesto, la costruzione di un luogo dove lavorare, è un environment se si vuole rifarsi a un termine caro a Banham, un luogo che permetta di uscire da quel grande muro che divide in due la metropoli del nostro tempo. L'uscita di chi va in "direzione ostinata e contraria" non può che essere un'entrata, un dichiararsi volontari prigionieri dell'architettura e cercare dentro il muro che divide il bene dal male. In questa zona grigia opera Koolhaas e della trattativa con il capitale, con il mondo dopo l'avvento della postmodernità, parlano i progetti di quel tempo: dal progetto del muro di Exodus, sviluppato per un concorso promosso da "Casabella" dal titolo significativo di The city as meaningful Environment, a quelli elaborati per la conclusione operativa di Delirious New York (The City of the Captive Globe, Hotel Sphinx, New Welfare Island, Welfare Palace Hotel e The Story of the Pool). |
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Caro diario. |
Questi
progetti sono l'introduzione a S,M,L,XL e non potrebbe che essere così.
Un architetto che godesse dell'ambizione di dire qualcosa di ascoltato
dal capitalismo postmoderno, un architetto che volesse influire con
la realtà, non può che lanciarsi nel confronto con quel mondo della
progettazione edilizia di grande scala. Confrontarsi con quella realtà
che ormai era andata al potere nel realismo cinico degli anni Ottanta
che aveva cancellato ogni traccia di idealismo e speranza per forme
alternative di confronto con la società. Philip Johnson, che di questo
processo è stato forse il simbolo e l'icona, in un'intervista, del 1976
su "Architectural Record", mentre parla del suo edificio per la Penzoli
company a Houston, dichiara che "più che una prostituta vorrei considerarmi
un cammello…che infila il muso nella tenda della grande edilizia commerciale".
In questo contesto si deve muovere chi arrivato a New York e, forse,
è bene ricordare che Koolhaas scrive Delirious New York con
una borsa dell'Institute for Architecture and Urban Studies fondato
da Eisenman nei primi anni Settanta a New York. Del resto che Koolhaas
volesse usare il potere economico devastante della metropoli per farsi
largo nella storia lo si può intuire anche quando prepara l'attacco
a Le Corbusier (colui che è il suo vero termine di paragone, almeno
quanto paragone e confronto siamo chiamati noi oggi a fare con Koolhaas
stesso). Quei grattacieli che si creano come per genesi spontanea di
un'economia, di uno status mentale, il "manhattanismo" appunto, sono
per Koolhaas la lancia per assaltare il forte Corbu. Il mercato non
è il mostro con cui combattere, ma il mostro che permette di combattere
contro se stessi e i propri mostri, i propri nemici che sono sempre
in noi, inseparabili ombre tragiche che ci fanno compagnia. In una trasmissione televisiva Alessandro Baricco leggendo un passo di Celine, se ricordo bene riguardante l'addio del protagonista del Voyage a Molly nella stazione di Detroit, dice che da quelle pagine in poi è divenuto molto più difficile scrivere. Questa interpretazione, che confesso mi ha causato un certo fastidio personale, è l'esatto contrario della strategia per la contemporaneità che adotta il Koolhaas, dove si afferma che è "grazie ai Celine si può ancora fare qualcosa di importante". E' grazie al lavoro immane di smontaggio della lingua che Celine opera che si può pensare di scrivere qualcosa che abbia a che vedere con il nostro tempo, che sia capace di fare male, di "essere pericoloso", per usare un'espressione che Koolhaas usa spesso. Se mi si permette una critica ai baricchi che ci circondano, tutte le altre questioni non hanno alcun senso "reale" (siamo in un mondo capovolto, paradossale, dove solo chi va in "direzione ostinata e contraria" è "reale", ovvero interagente con la realtà, la realtà che tutti definiscono vera è ormai solo la televisione: uno specchio deformante e ribaltante dietro il tubo catodico), il problema dello scrivere dopo Celine è un problema di chi vuole adottare uno stile per trovare una propria collocazione, non di chi vuole dire delle cose e a quel punto si pone il problema della lingua che lo esprima. E' problema per chi vuole interagire con la realtà (fasulla) della televisione che studiare come scrive Celine o come progetta Koolhaas diviene difficile, un problema supplementare, che si può rifiutare in toto come molta della nostra accademia o proporre come inarrivabile e commovente come il tenace Baricco, che a onor suo almeno ci prova. |
Islam after Einstein. |
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Koolhaas
intuisce che per "essere pericoloso" bisogna "mettere il naso nella
tenda", bisogna imparare la lezione del manhattanismo e provare a riproporla
sotto altre forme visto che il manhattanismo è la formalizzazione verticale
della "prima età della macchina". Europeizzare l'America, riprendersi
New York, riportarla in Europa, riformularla come New Amsterdam sono
passaggi sotterranei che attraversano tutte le visioni della metropoli
che Koolhaas sviluppa. A tale proposito può essere significativo vedere
lo scritto del 1993 Typical Plan, che ci porta già dentro S,M,L,XL
(pagg. 335-353). Il passaggio proposto è quello dalla pianta tipo del
grattacielo della metropoli americana del mercato alla prototipizzazzione
di un tipo di pianta standard europea, che lo stesso Koolhaas ci dice
inesistente prima di questa riflessione. Il tutto, significatamene sviluppato,
per la sede di Amsterdam della Morgan bank. Appare ovvia allora la fascinazione per S.O.M, uno studio che è, per certi versi un modello per quell'O.M.A.. Uno studio che lavorasse "dentro la tenda" e contemporaneamente "dentro il muro". S.O.M. è sempre stato molto più dentro la tenda più che "dentro il muro" si è trovata spesso "vicino al muro", se si può usare questa metafora, producendo alcuni progetti di grandissima qualità, senza però mai intaccare la loro appartenenza alla metà città "buona". Koolhaas sembra intuire lo spiraglio per un avanzamento sulla strada indirizzata in "direzione ostinata e contraria": se i "buoni" e i "cattivi" non sono più così facilmente identificabili, allora perché non provare a lavorare direttamente dentro il muro? Perché non provare ad accettare sia le regole del mercato sia le massime istanze intellettuali? Portare complicazioni al mercato, essere colui che complica le regole, colui che si prende il lusso di imporre ai mercanti dentro la tenda la propria conoscenza della zona grigia dove non c'è più nessuna retorica del bene che tenga incollati i pezzi. |
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Per
S,M,L,XL (pagg. 354-361) Tomas Koolhaas realizza un fumetto (quintessenza
della comunicazione pop) in cui si dimostra molto bene cosa si intende
per influire sugli investitori: Koolhaas stesso si trasforma, moderno
Hulk, e dopo aver pensato "fight or flight" attacca e mette i developer
con le spalle al muro fino a vincere la commessa (una vittoria della
complessità recita la scritta tra l'immagine di un Rem/superman tra
champagne e abitanti felici nei nuovi edifici OMA). Aggiungere complicazione è la moderna versione di quella strategia della congestione che era propria dell'era del manhattanismo. Portare gli investitori dentro la zona grigia, nella "realtà" (quella capovolta, ovviamente) in cui loro non hanno abitudine a stare vivendo nella realtà inservibile (quella della televisione). Se Johnson per entrare nella tenda aveva bisogno di camuffarsi da cammello, Koolhaas realizza che i tempi sono maturi per costringere a far spostare tutta la tenda. I signori del mercato sembrano pronti a spostarsi ovunque si possa fare affari e il mondo appare senza più confini dopo il crollo del muro di Berlino. |
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La strategia per essere pericolosi è ancora quella delle avanguardie,
di cui Koolhaas in gran segreto è erede e in perfetta continuità (la
continuità apparentemente discontinua che è propria di Banham), la strategia
del Piranesiano Labor omnia vincit. Quanto Piranesi intuisce
di poter inventare le rovine e che la storia è di coloro che la progettano
e non di chi la compra, Rem Koolhaas si mette a progettare il ribaltamento
di piano, il portare la tenda con tutti i mercanti dentro la zona grigia. S,M,L,XL è quella zona grigia portata nel nostro tempo e dotata del massimo dell'appeal per dialogare con il mercato. Per questo deve essere progettata pagina per pagina assieme a Bruce Mau, lo specialista che deve creare lo Life style adatto a far sentire a casa i signori della tenda. La zona grigia, da Koolhaas in poi, torna ad essere di nuovo il campo di battaglia del "reale", li c'è lo spazio per lavorare sul mondo, influire sulla realtà. Lo spostamento operato da Koolhaas è di averne fatto un terreno di battaglia per il nostro tempo, di aver riaperto un luogo dove la conflittualità ritrova un senso di utilità. Al tempo che la critica davvero più arguta diceva che "la guerra era finita" il muro di Koolhaas era ancora bianco e nero come nel progetto Exodus. In S,M,L,XL questa zona di combattimento è colorata. La Zona grigia da questo momento non è più fatta di mattoni qualsiasi, ma di mattoni argentati. S,M,L,XL è il mattone della nostra realtà. Giovanni Damiani gdamiani@architecture.it |
Exodus. |
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Giovanni Damiani, nato a Trieste nel 1972, si è laureato allo IUAV dove attualmente sta svolgendo il dottorato di ricerca presso il Dipartimento di Storia dell'Architettura. È il promotore del laboratorio sul contemporaneo di architecture.it. Ha collaborato alla didattica in corsi di storia dell'architettura a Venezia e attualmente nelle due facoltà di Milano. |
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Questa pagina è stata curata da Matteo Agnoletto. laboratorio
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