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Wim Wenders. Paesaggi, luoghi, città





Paolo Federico Colusso
"Wim Wenders. Paesaggi, luoghi, città"
Testo & Immagine
Italia 1998
96pp £14.000

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Dopo la pubblicazione del libro Le città del cinema: Pier Paolo Pasolini (con F. Da Giau e A. Villa, 19959) Colusso, architetto e già docente allo IUAV di Venezia, torna ad affrontare l'affascinante e delicato rapporto tra arti visive e architettura e lo fa analizzando la cinematografia di Wim Wenders. La tematica urbana ed architettonica nella ricca e molteplice produzione del regista tedesco difficilmente si esaurisce in un libro di queste dimensioni, ma la finalità dell'autore non è certo quella di completare definitivamente un quadro a cui il futuro aggiungerà sicuramente nuovi elementi. Si tratta, in effetti, di un montaggio di affermazioni estrapolate da sceneggiature, interviste e scritti del regista, un collage di spunti e di visioni sulla città indirizzato agli architetti.

Le riflessioni che possono nascere dalla lettura di questo libro sono tante, diverse e vanno spesso a contraddire i luoghi comuni propri della formazione accademica degli addetti ai lavori. L'apertura a nuove e diverse visioni della realtà urbana e del ruolo dell'architettura nella società che suggerisce non può che accrescere la consapevolezza e quindi, la capacità critica e di intervento sulla città. I criteri di indagine, analisi e progetto tradizionali, infatti, non valgono più quando ci si confronta con un'entità mutevole e oggi poco controllabile come la città telematica: è la "metropoli fatta di accatastamenti di immagini, di figure architettoniche, di violenti contrasti", ormai parte del nostro presente. La multidisciplinarietà è ormai una scelta necessaria se si vuole costruire intelligentemente. Berlino è un l'esempio: considerata dagli architetti una sorta di catalogo materializzato della miglior produzione mondiale contemporanea, per Wenders oggi è una città in cui "si ha l'impressione che non ci sia un domani, che non ci sia più la storia della città prima di tutto questo".



La tendenza a non considerare la storia dei luoghi, intesa non come serie e numero di monumenti ma come "luoghi […] corrosi dal tempo […]", è tipica della fase storica che stiamo vivendo, proiettata positivisticamente in un futuro che lo sviluppo veloce, continuo e travolgente delle tecnologie della comunicazione fanno apparire scintillante e ricco di promesse. Ma tutto ciò non è che una porzione della realtà, una piccola parte della storia del mondo e dell'uomo, fatta di tanti periodi d'esaltazione del progresso, di scoperte eclatanti che spesso si sono rivoltate contro il loro creatore. Piedi per terra quindi, radici ben salde nella storia, nella cultura, nei segni che il tempo lascia sulle città e sugli edifici, spesso simbolo di eventi storici importanti per intere epoche e comunità.

Per dirla con Wenders "se perderemo la nostra memoria della città, i luoghi che ce la fanno scoprire, smarriremo la nostra capacità di orientarci, cadremo vittime delle grandi dimensioni, di ciò che è inafferrabile, onnipotente. Dobbiamo batterci per conservare tutto ciò che è piccolo, che conferisce alle grandi cose una prospettiva da cui vederle […]. In una città, tutto ciò che è piccolo, vuoto, aperto è una sorta di batteria che ci permette di ricaricarci contro lo strapotere dei grandi complessi". Le città riprese da Wenders sono quelle dei ritagli di spazi, luoghi dimenticati, marginali, dove però vi è ancora la possibilità di costruire un sogno, uno spazio onirico, ludico, fatto di libertà e bellezza potenziali, ricchi di speranza in un futuro migliore, a misura di chi lo abita. Il contrasto tra frenesia produttiva e corsa al progresso e lentezza urbana è evidente in Fino alla fine del mondo dove "New York, Berlino, Tokio smettono di avere un senso: capitali di un'accelerazione artificiale, diventavano fantasmi di un pianeta visto da un altro pianeta", quello australiano, dove "la terra è antichissima, immutata da milioni di anni, e che quello che hanno fatto gli uomini è così poco che non ha neppure scalfito la superficie del pianeta".

Francesca Pagnoncelli
f.pagnoncelli@libero.it
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Questa pagina è stata curata da Matteo Agnoletto.






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