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Books Review

Parallax





Steven Holl
"Parallax"
USA, 2000
Princeton Architectural Pr
pp384, $40.00

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In "Edge of a City", numero 13 della mitica e introvabile serie dei Pamphlet Architecture, Steven Holl presentava un progetto per Manhattan: "Parallax Skyscrapers". L'assunto con cui interpretava New York era distante sia dal cinico manhattismo di Koolhaas, e dal suo tentativo di lettura urbana e di riprogettazione della città contemporanea, sia dall'approccio costruttivo (e costruttivista), quindi meccanicista di Bernard Tschumi nel testo "The Manhattan Transcripts". Le puntiformi strutture di Holl si adagiavano sull'acqua, coinvolgendo una trasversale idea di New York, oltrepassandone la scacchiera e lo sviluppo per isolati, al fine di mostrare un progetto concepito su differenti angolature e sistemi fondativi. Una nuova idea di parco e di città, una possibile visione alterata, distorta rispetto a quella tradizionale e convenzionale. La messa in scena dell'errore, come forma di rappresentazione dell'architettura e della sua concezione compositiva per sviluppare sequenze spaziali di diversa matrice.

Il progetto per Manhattan sviluppa questa possibilità: l'avvicinamento all'architettura attraverso la tecnica della parallasse, intesa ontologicamente come lo spostamento apparente di un oggetto, in rapporto ad un riferimento mobile, osservato da luoghi diversi. E appunto nel recentissimo "Parallax", edito da Princeton Architectural e presentato anche in Italia in occasione della mostra alla galleria AAM, Steven Holl illustra una serie di progetti guida condotti sulla sua personale ricerca della deformazione, in contrapposizione alla decostruzione attuale e a forme superate di storicismo (alcuni suoi esemplari progetti dimostrano quasi scientificamente per assurdo l'inutilità di certi metodi operativi dell'architettura). A differenza delle precedenti raccolte, "Intertwining" e "Anchoring", le opere illustrate sono riconducibili alla precisa definizione e perfezionamento della "regola", revisionata in occasioni distinte e distanti nel tempo, per temi, luoghi e dimensioni sempre mutevoli.

[19apr2001]
Non contagiato dal virus di S,M,L,XL, Holl si concentra sull'esperienza di una vicenda complessa e sofferta, legata a tematiche prossime alla pura teoria architettonica, piuttosto che immerse nella vastità caotica del presente e delle sue moltitudini sfaccettature, aperta alle contaminazioni di altre discipline scientifiche: i riferimenti iniziali, gli "elastic horizons" sono la fisica, la microbiologia, la chimica e la cosmologia. Geometria, negazione di ogni storicismo, tecniche di rappresentazione, variazioni tipologiche e innesti topologici, costruzioni di alfabeti architettonici, ricerche materiche, sviluppi di piani urbani, esplorazioni di territori diversi, orchestrazioni della luce e dell'ombra: chi si avventura nel labirinto di "Parallax" non troverà la semplice esposizione di idee e nemmeno una accurata catalogazione dei virtuosi e piacevoli acquerelli dell'autore.

L'impatto è più violento: nel concepire la struttura della strategia compositiva, Holl non si preoccupa della sequenza temporale, della narrazione della propria storia personale. Non si tratta di un'antologia dei progetti, molti dei quali tra l'altro tralasciati, nonostante il rilievo dei loro contenuti. Mostra se stesso ovviamente, ma preoccupandosi di legittimare un approccio, un percorso ancora in parte sconosciuto, fondato sul movimento del corpo, sulle mutazioni a cui l'architettura è soggetta. È l'attuazione in architettura dei contenuti della body-art, traducibili nel disporre superfici oblique, tagli nei muri, finestrature alterate e deformate: una forma controllata di violenza sulla scatola architettonica. Il tutto inserito in un silenzioso e quasi impercettibile discorso di critica alle precedenti esperienze dei maestri, dal razionalismo al postmodernismo, fino alle letture sulla città o sul territorio, legate a incerti fenomeni sociali e di sviluppo.

Nel capitolo "porosity", non a caso accompagnato dal sottotitolo "from the typological to the topological", evidente è il riferimento a un modo di concepire il progetto che al tempo stesso nega superati sistemi di lettura della metropoli e del paesaggio. Con "la fine della città" per Holl sono necessarie altre metodologie e quindi nuove strategie analitiche. Come si attua allora la messa in opera della tecnica della parallasse? Nei progetti realizzati della Stretto House (1992) e del Kiasma Museum di Helsinki (1998) l'importanza della luce e del suo opposto, l'ombra, nella concezione e nello sviluppo dell'idea iniziale, contaminando lo spazio, ne modificano la sequenza prospettica.

La scelta compositiva è conseguenza di questa alterazione. "Speed of shadow" o la costrizione della luce: dal Museo Cassino, attraverso la gerarchia dei possibili stati di luminosità, al Centro per l'arte Contemporanea di Roma, sequenza di spazi a variabile situazione di luce, ogni progetto si relaziona alla materia e alla cromaticità in funzione di questo rapporto fondativo tra due opposti (i temi dell'architettura d'altronde sono sempre stati una lotta tra elementi contrastanti: classico/moderno, simmetria/disimmetria, centro/periferia, città/campagna). La Cappella di S. Ignazio e la Ikebana House (1996) sono raccontati non attraverso piante e sezioni, ma nei dettagli, negli scorci, nelle viste immerse nel buio o esaltate dalla cattura della luce, per ricomporsi in complesse tessiture materiche e deformazioni morfologiche.

Il libro è un'esperienza visiva e tattile dell'architettura, quasi sempre reale, e non un'esposizione di disegni tecnici o di immagini computerizzate pensate per esibire realtà virtuali. Alla fine di questo percorso, nonostante i progetti sembrino mostrati in modo incompleto, usati come strumenti per esporre precisi intenti e temi e non per spiegare se stessi, risulterà chiaro come le decise intenzioni dell'autore siano mirate a far capire lo scopo dell'architettura: costruire luoghi da vivere, da guardare e principalmente da attraversare, per seguirne le modificazioni e le alterazioni. Forse la fine della città porta l'uomo a rifugiarsi all'interno di spazi criptici o invasi dalla luce, per abbandonarsi alla solitudine o alla meditazione, lontani dal caos di metropoli delle quali l'uomo stesso ha perso ogni forma di controllo.

Matteo Agnoletto
agnoletto@architettura.it

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