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Mostri Metropolitani





Antonino Terranova
"Mostri Metropolitani"
Meltemi editore
Italia, 2001
pp163, €12,29

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Mostri metropolitani si manifestano sempre più insistenti e perturbanti nei nostri paesaggi, in quelli interiori come nei “paesaggi plastici” dei nostri territori. Così A. Terranova esprime con una metafora evidente la ”Anomalia paradigmatica” che contraddistingue il progetto contemporaneo: il nuovo desiderio per una “architettura senza forma di edificio”, ovvero “architetture con una forma di edificio fortemente spaesata o parzializzata, deformata o dislocata”. 

Mostro, monstre, con tutta l'ambiguità che il termine esprime: mostrare, mostrarsi, essere mostruosi. Mostri intenzionali di un'estetica colta come l'Ark o l'Arche, il Beaubourg, il Guggenheim, la Fondazione Cartier o il Museo ebraico di Berlino; ma anche mostri che proliferano senza firma e senza consapevolezza nei modi più diversi. I mostri, come categoria artistica ed estetica, mentale e culturale, ci parlano di una diversità che irrompe nelle categorie codificate dell'architettura, configurando un cambiamento dei paradigmi disciplinari; ci indicano una rimessa in questione del rapporto uomo-corpo-edificio canonizzato; ci invitano a esplorare nuove direzioni dell'irrazionale e del mistero, soprattutto di mondi eterogenei, possibili “altrove spazio-temporali”. Modi quindi per ridiscutere e riaffrontare le “questioni ultime” del contemporaneo postindustriale e posturbano: la crisi del rapporto significante-significato; la crisi ambientale e la conseguente ricerca di una “terza naturalità”; l'alienazione di fronte agli oggetti dai quali siamo posseduti, mentre li possediamo; la mutazione antropologica emblematizzata dal cyborg; l'ineluttabilità della sradicatezza nomadico-turistica; la simulacralità e il valore preponderante delle immagini. I mostri ci parlano soprattutto di un “ritorno all'artisticità dell'architettura”, indicando possibili modi di risposta all'ansia, ai timori, alle paure che caratterizzano la cultura metropolitana, nel succedersi accelerato dei mutamenti, delle metamorfosi repentine, dello scarto, della catastrofe.

[24may2001]
Il trionfo dell'organizzazione ha sacrificato i più profondi valori che costituiscono l'anima della civiltà che, per questo, risulta attraversata da un disagio insanabile. Oggi la crisi finale di un progetto di rinascita e di razionalità umana, liberando l'architettura da pretese totalizzanti, apre nuove frontiere in cui “dispiegare comportamenti plurali, spostamenti e ripiegamenti, arretramenti e assottigliamenti, rigonfiamenti metaforici e concatenazioni comunicazionali”. 

Il libro percorre in forma frammentaria alcuni segni e simboli dell'attualità e attraversa senza sosta, con una scrittura sincopata, sfilacciata, suggerita da immagini e illuminazioni improvvise, da citazioni che alludono a intrecciati e infiniti sentieri paralleli, i “corpi” contemporanei: i “corpi architettonici”, i “corpi urbani”, i “corpi paesistici”, dalle forme dell'interezza asettica hi-tech, a quelle del frammentismo, della retorica del detrito e del riciclaggio; dal conservatorismo “benculturalista” dei centri storici, divenuti come città d'arte paradossali non-luoghi, alla “a-morfia dell'architettura generica della città generica spalmata sul territorio generico”.

Tutto il territorio eccettuato il puro deserto, per riprendere William Morris, è oggetto di una riflessione lucida e disincantata, disorientante e forse disorientata. Così se il mostruoso è, come tale, il dis-umano, l'anomalia, l'impossibile, esso suggerisce anche l'infinita e inesplorata possibilità, lo spazio incerto e rischioso in cui è possibile esplorare nuove verità. Un modo per scoprire un “impensato” attraverso paragoni e metafore, per riabilitare una fenomenologia dei fenomeni non contrapposta a un mondo di ipotetiche essenze, ma rivelazione essa stessa dell'esistenza. Un modo per scoprire nell'orizzonte della finitezza umana il luogo possibile di una nuova pienezza, dell'infinita possibilità che dispiega i suoi effetti disegnando confini mutevoli di un nuovo paesaggio umano. “Tanti piccoli mostri ben fatti potrebbero farci abitare poeticamente le nostre ordinarie anormalità”, conclude l'Autore. Sono queste le “Figure di fine millennio”, i nuovi modi-mondi di sentire dell'abitare-dis-abitare-transitare; figure in cui, come nel “ventre” nascosto e putrido della Napoli di Ben Jelloun “si sposano i contrari: non c'è nulla di definitivo. Tutto cambia. Come nella vita. Niente assomiglia a niente”.

Paola Gregory
p.gregory@flashnet.it
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Questa pagina è stata curata da Matteo Agnoletto.






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