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Prada





Rem Koolhaas
"Prada. Projects for Prada part 1"
Progetto grafico OMA/AMO - edizione italiano/inglese
pp600, $60
Milano, Fondazione Prada Edizioni, 2001

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PRADA. VERSO IL SECONDO MANIFESTO DOPO L'EPOCA DELLA FINE DEI MANIFESTI: PROJECTS FOR PRADA PART 1

Rem Koolhaas ha pubblicato un nuovo libro, relativamente passato sotto silenzio in quanto inteso come un mero catalogo della mostra sui progetti per Prada pubblicato, tra l'altro, dopo l'evento.

Quanto di più lontano dalla realtà.

[15jan2001]

Disco.
Non si tratta di una catalogo, non ha nulla a che vedere con la mostra, a qualcuno potrebbe sembrare un archivio "furbesco" per raccogliere alcuni bei progetti realizzati per un committente importante, ma anche questa lettura si rivela molto riduttiva e completamente fuorviante. Il libro Prada è un manifesto. Un contro manifesto avanguardista, o meglio ancora un manifesto contro avanguardista, un manifesto dopo l'era dei manifesti, avanguardia del dopo avanguardia. Ancora una volta la strategia messa in campo dal Koolhaas è precisissima e assolutamente centrata sul suo "progetto storico".

Pare arrivato il momento di tornare a riflettere su cosa sia stata l'avanguardia storica, come abbia trovato la sua conclusione e, contemporaneamente, cosa sta avvenendo dopo. Per centrare alcuni obbiettivi proviamo a ripartire da alcune analisi di Manfredo Tafuri, che hanno segnato la generazione di Koolhaas e che sono le parole, davvero pesanti come lapidi, che hanno chiuso una stagione dell'architettura e delle arti figurative tutte. 

Tafuri nel suo contromanifesto Progetto e Utopia (Laterza, 1973) scrive che: "L'intero ciclo dell'architettura moderna e dei nuovi sistemi di comunicazione visiva nascono, si sviluppano ed entrano in crisi come un grandioso tentativo -l'ultimo della grande cultura figurativa borghese- per risolvere, sul piano di un'ideologia sempre più inattuale, squilibri, contraddizioni e ritardi, tipici della riorganizzazione capitalistica del mercato mondiale e dello sviluppo produttivo." (p. 176)

Il mercato globale che si ristruttura (siamo nel 1973) è già visto come ineffabilmente vincente su ogni tentativo di risposta, di "contropiano": lo svuotamento dell'architettura da ogni significato utopico e ideologico appare come ineluttabile, non c'è via d'uscita da una strada che, secondo Tafuri, è stata aperta proprio dagli architetti: "La ricerca di "nuove fondazioni" per il linguaggio architettonico cerca cioè un terreno oggettivo per superare problemi già superati." (Manfredo Tafuri, Op. Cit., p. 138)

Riflettere su Tafuri è un'operazione estremamente utile, ancorché interessante, in quanto in nuce nel testo di Progetto e Utopia vi sono diversi ingranaggi che se oliati e utilizzati possono condurre la macchina critica verso strade differenti dalle vie che a Tafuri si ponevano dinnanzi negli anni Settanta prima e Ottanta poi. 

Se davvero si pensa di poter intraprendere un viaggio tutti si rendono facilmente conto che una cosa è la strada da seguire, una il luogo da raggiungere e uno il mezzo per raggiungere la meta. In tale senso è venuto il momento di "disinnescare Tafuri" dalle trappole che ha posto se stesso per difendersi da noi, e cominciare a scindere le componenti che lui aveva così tenacemente reso progetto unico, esistenziale e quindi inseparabile. 

Gli obbiettivi di Tafuri sono molteplici, ma nel cuore del problema c'è una centralità della necessità di chiudere il discorso delle avanguardie e di un macroperiodo storico complesso che lui stesso ha fatto partire dall'Alberti. Il percorso è stato lungo, almeno inversamente proporzionale alla sua vita così breve, e di grande ricchezza; un percorso che ha senso ripercorrere solo a tappe, visto che oggi siamo chiamati a sfide e mete differenti. Annotiamo che la mappa del percorso che il Tafuri ci ha trasmesso è così limpida, ricca di spunti e così geograficamente precisa, che pare ancora uno strumento principe di ogni buon viaggiatore.

Il terzo breve accenno è sul mezzo, certamente datati alcuni suoi testi, certamente troppo intrisi della lingua e della sostanza di quel tempo così audace. Se alcuni elementi del nostro strumento per il viaggio vanno senza dubbio aggiornati e revisionati, non si può trascurare la straordinaria potenza che questo "vecchio" arnese che è la critica, è ancora di rara efficacia per comprendere il nostro presente. Del resto è la cronaca più immediata a ricordarci che con un temperino e "buona (o cattiva) volontà" si possono distruggere dei grattacieli.


La riunione.


Sfilate.


Rem entra in scena.



Uffici Prada.
Quindi, a chi si agita cercando tutti i possibili "nuovi", pare utile rispondere con i fatti. La vecchia macchina della critica, da Tafuri stesso deposta come superata, è in realtà ancora più efficace di certi strumenti moderni a cui si vuole dare nuove carrozzerie ora estetiche ora etiche.

Quello che Tafuri aveva diritto a non sapere e a non vedere (intravedere si, ma questo è un altro capitolo che prima o poi si dovrà scrivere) è l'esistenza di un possibile "oltre", un dopo il "crollo ultimo". Certo si tratta di un dopo che non lascia nessuna via di scampo, nessun contropiano possibile, nessuna via d'uscita per la massa. Una massa che da classe operaia in cerca del potere, si è ritrovata al potere in cerca di una classe, in cerca di un confine in cui porsi al sicuro. Confine sicuro che non c'è più, come non c'è più casa né Storia per difendersi dai mostri del tempo che scorre inevitabilmente ancora ed ancora.

Il "progetto" di Koolhaas parla di questo. Il suo vuole essere il progetto del Passagen-Werk, del luogo del flusso, del denaro, vuole essere il compimento della metropoli in ennesima potenza, di questo fa manifesto. Un manifesto dopo l'era ultima dei manifesti.

Il primo capitolo di questo manifesto è Delirious New York, ovvero il fondare il lavoro sulla scoperta di Manhattan vista come la moltiplicazione al cubo della griglia, l'esplosione della nuova dimensione del verticale esponenziale che fa saltare le logiche cartesiane piane.

Il ripensare lo shopping (Mutations, Prada)vuole essere il secondo capitolo del superamento della palude operativa generata dallo choc della metropoli. Anche qui la strategia è l'elevamento a ennesima potenza. Il problema è e resta quello posto da Tafuri: "Allontanare l'angoscia comprendendone e introiettandone le cause: questo sembra essere uno dei principali imperativi etici dell'arte borghese. (…) La fenomenologia dell'angoscia borghese è tutta insita nella "libera" contemplazione del destino. E' impossibile non confrontarsi di continuo con le prospettive generate da queste libertà, è impossibile non perpetuare - in tale tragico confronto - l'esperienza dello choc." (Manfredo Tafuri, Op. Cit., p. 5)

Gli strumenti di Koolhaas sono differenti: "Quale potrebbe essere una strategia che rovesciasse l'equazione, dove i clienti non fossero più consumatori, ma riconoscibili come ricercatori, studenti, pazienti, visitatori? Cosa accadrebbe se comprare non fosse più un impoverimento, ma un arricchirsi?" (Rem Koolhaas OMA/AMO, Projects for Prada part 1, libro senza numeri di pagina)

Quello che dobbiamo annotare che la risposta è tutta interna al progetto, avviene con il progetto. Progettare è di nuovo possibile, alla morte dell'architettura, al collasso della civiltà borghese, segue ancora un nuovo progetto. Una via diversa, inedita, prefigurata forse, ma non immaginabile dal Tafuri che dice: "La salvezza non è più nella "rivolta", ma nella resa senza discrezione. Solo un'umanità che abbia introiettato, fatta propria, assorbito l'ideologia del lavoro, che non persista nel considerare la produzione e l'organizzazione come altro da sé o come semplici strumenti, che si riconosca parte di un Piano complessivo, e che come tale accetti fino in fondo di funzionare come ingranaggio di una macchina globale, può riscattare la sua "colpa originaria". Che non è l'aver prodotto un sistema di mezzi senza controllare la "rivolta degli oggetti" che si scatena contro l'inventore -così Löwith e il giovane Lukàs leggono l'alienazione marxiana- ma che è piuttosto il "diabolico" insistere nell' "uomo" a rimanere tale, a porsi come "macchina imperfetta" in un universo sociale che ammette come atteggiamento coerente il solo e puro silenzio." (Manfredo Tafuri, Op. Cit., p. 69)

La via aperta da Koolhaas a tutti noi è aver dimostrato che dopo il collasso di ogni "rivolta" c'è uno spazio del fare che non ha a che vedere con la discrezione, che si può pensare oltre Aldo Rossi, certo appare chiaro che si debba passare per un uomo che ha ormai completamente accettato che quello che era "rivolta" ora passi per il progettare Showroom per Prada. 

Le conseguenze possono apparire tragiche se guardate con occhi dell'uomo, ma l'uomo del nostro tempo è cambiato. Sono state le avanguardie storiche a: "Dimostrare senza possibilità di appello che non c'è altra via che annullare il soggetto umano nel soggetto dello sviluppo: questo assioma tende a salvare l'ideologia come ultimo progetto culturale." (Manfredo Tafuri, Op. Cit., p. 71), ma dobbiamo annotare che il soggetto per cui lavora Koolhaas non è certo l'uomo come lo conosciamo, il soggetto sono gli omini di plastica che vivono nei suoi progetti. 



Uomini di plastica dalle sembianze umane perfette, eredi di quelle figure ancora grezze degli uomini biomeccanici delle sculture di Paolozzi del tempo della prima età della macchina.

Chi ha letto con attenzione questo libro potrà notare che non c'è nessuna foto di esseri umani non corretti dal computer, i progetti sono fatti per uomini di plastica tutti diversi che vivono, pensano, acquistano, vivono e si emozionano come e più degli uomini "veri".

Sono loro i soggetti della produzione del capitalismo ristrutturato del nuovo millennio, del resto è lo stesso Koolhaas che denuncia un ribaltamento totale del sistema di produzione e consumo: "Cosa accadrebbe se comprare non fosse più un impoverimento, ma un arricchirsi?"


Progetto 1.
L'uomo massa, andato al potere che non sa che farsene dell'arricchimento che il capitalismo avanzato è costretto a offrigli per essere ancora lo strumento principe di dominio del mondo, si ritrova a divenire puro oggetto di plastica, non per questo meno vivo, ma completamente artificiale. In questo contesto si inserisce la "variante Koolhaas": l'uomo massa che comprende la straordinaria opportunità di interfacciarsi con lo shopping può divenire soggetto attivo nello scambio, e si prende le proprie tragiche responsabilità.

Mentre il suo uomo di plastica in copertina sembra porsi dei seri dubbi sul presente, sfogliando il libro troviamo delle rarissime foto non ritoccate attraverso il computer: ecco il soggetto attivo, l'unico degno di venir fotografato in foggia umana. Qui è l'architetto che con il suo staff entra in gioco nel mercato. Ecco le immagini di quello che è per Koolhaas il soggetto definitivo che si pone come pedina per dare scacco alla morsa mortale della critica tafuriana: Rem Koolhaas in persona.

Giovanni Damiani

gdamiani@architecture.it
Giovanni Damiani, nato a Trieste nel 1972, si è laureato allo IUAV dove attualmente sta svolgendo il dottorato di ricerca presso il Dipartimento di Storia dell'Architettura. È il promotore del laboratorio sul contemporaneo di architecture.it. Ha collaborato alla didattica in corsi di storia dell'architettura a Venezia e attualmente nelle due facoltà di Milano.
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Questa pagina è stata curata da Matteo Agnoletto.






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