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Dimenticare Vitruvio




Fulvio Irace
"Dimenticare Vitruvio. Temi, figure e paesaggi dell'architettura contemporanea"
Il Sole 24 Ore Libri
Italia 2001
pp 283  Euro 14,98

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Un libro utile e intelligente questo "Dimenticare Vitruvio" di Fulvio Irace che raccoglie una selezione dei suoi articoli apparsi sul supplemento culturale de "Il Sole 24 Ore". Utile, perché ripropone, in una sequenza serrata, autori, temi e questioni che si sono imposti, in questi ultimi anni, nella riflessione e nel dibattito sui compiti dell'architettura e del progetto urbano: dal ruolo del Museo alle trasformazioni della città, dal confronto tra le poetiche degli architetti che hanno attraversato il 'moderno' e quelle dei contemporanei agli eventi architettonici di maggior rilievo, dall'architettura nell'era delle rete alle questioni del paesaggio e dell'ambiente. 

Intelligente, perché pone al centro della sua analisi un interrogativo oggi fondamentale per il ruolo che il progetto di architettura è chiamato ad assumere nella metropoli contemporanea: può il 'vitruvianesimo', scrive Irace, come tentativo di radicare l'architettura al suo fondamento farsi "critica operativa e sprone al rilancio di un ideale costruttivo che rifiuta di abbandonarsi al flusso degli eventi, per cercare invece di condizionare e 'progettare' il destino" attraverso "la valorizzazione della sua 'materia' contro la sua svalutazione proposta con insistenza dagli esiti dell'informatizzazione mediatica e dalla diffusione della cultura degli "immateriali"?

Ed è attraverso questo interrogativo che ho voluto rileggere il lavoro di Irace che, rivolgendosi a un pubblico vasto ed eterogeneo, più che prendere partito sulle nuove tendenze della società contemporanea pone domande, presenta problemi, formula dubbi. Eppure tra le righe le sue posizioni si intravedono e a volte con nettezza, e sono queste che vorrei rintracciare seppure sommariamente.

Se oggi è lo spazio unico, uniforme e neutro del mercato la condizione del nostro vivere, e se è il mercato a disegnare in maniera evanescente gli spazi pubblici, gli edifici, i centri storici e le periferie delle città, come si pone il progetto di architettura di fronte a questa tendenza che sembra irreversibile? Non c'è il pericolo, si chiede l'autore, "che questo determini una piatta omogeneizzazione? Che la logica del prodotto prevalga sull'affermazione delle differenze?". E aggiungerei: come non far ricadere però la critica alla globalizzazione nel baratro dei "luoghi", dell'identità, dell'etica, della cittadinanza, del culto delle origini, della memoria, dell'appartenenza, del ritorno, come scrive Irace, "alla città di pietra della tradizione ottocentesca"?

Intanto, affinché il progetto torni a creare territorio e a rinominare i luoghi ci deve essere una specificità del progetto stesso che tenga conto delle necessità di un contesto determinato e delle sue particolarità: "nello scenario di questa nuova complessità, afferma Irace, le responsabilità dell'architettura non sono più rivolte alla individuazione di un modello universale, ma piuttosto alla definizione di strategie diversificate".

La critica poi che Irace fa al restauro e alla conservazione a tutti i costi che riduce a simulacri e a parchi tematici i nostri centri storici per la gioia del mercato e dei turisti giapponesi rientra, a mio parere, in questo tentativo di rivitalizzare, soprattutto qui in Italia, una cultura del progetto: "restaurare l'ambiente non può, dunque, significare la perpetuazione di un equivoco interpretativo fondato sull'idea di un armonioso 'continuismo' nella costruzione delle città e nell'urbanizzazione del territorio. "E, d'altra parte, perché la Bellagio di Jerde, si chiede l'autore, costruita nel deserto di Las Vegas "dovrebbe essere meno legittima dell' 'antichizzazione' delle aree pedonali delle nostre città, che urbanisti alla moda e conservatori di sinistra vorrebbero riportare alla perduta innocenza di una loro mitica originarietà?".

E quando le regole dell'architettura non bastano più da sole a legittimare l'atto della progettazione, l'attenzione di Irace si sposta altrove: a guardare dentro il nuovo spazio pubblico, nello shopping mall, non limitato più al solo sistema delle merci, ma centro civico e foro degli affari nonché laboratorio di nuove alchimie sociali. Certo, sono costruzioni che contengono luccicanti vuoti, ma è anche con questi vuoti che deve tornare a confrontarsi il progetto di architettura. "Le torri che ho costruito a Parma -dice Aldo Rossi riferendosi al Centro Torri da lui progettato- sono un punto fermo nella conurbazione tra la città storica e l'autostrada: illuminate nella nebbia padana, sono diventate un simbolo."

Massimo Ilardi
ilardie@rdn.it
[06jul2002]
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Questa pagina è stata curata da Matteo Agnoletto.






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