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Architektur Denken





Peter Zumthor
“Architectur Denken”
Lars Müller Publishers, Svizzera 1998
pp. 64, $ 23,25

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"Pensare Architettura" è un libro che si presenta con un formato e uno spessore piuttosto ridotti (appena sessanta pagine), scritto in modo autografo da Peter Zumthor. E' un libro di pensieri, riflessioni, commenti, descrizioni. La sua organizzazione è pensata in paragrafi che sembrano ciascuno essere occasione per scandire e precisare le esperienze sensoriali vissute dall'autore. Tutte prese in prestito dalla quotidiana esistenza: la lettura di una poesia, l'osservazione di alcune immagini, i suoni percepiti e ascoltati.

[10feb2002]


Il libro contiene solo poche foto che stanno lì a rappresentare non le architetture di Zumthor nella loro interezza ma immagini di alcuni particolari: una finestra da cui si vede un albero, i gradini delle terme di Vals (1990-96), i listelli di larice della chiesa di San Benedetto a Coira (1985-88), i pannelli di vetro del museo di Bregenz (1990-97). Le fotografie "rappresentano", quindi, piccoli pensieri di architettura, così come le parole "descrivono" piccoli pensieri di architettura. Non esistono grandi monografie su questo autore, ma solo questo libro insieme ad una corposa raccolta fotografica a cura della stessa casa editrice, organizzata, peraltro, in modo spartano e con laconici commenti. È come se Zumthor avesse deciso che la sua opera debba essere compresa quasi esclusivamente attraverso le sue dirette parole o attraverso oggettive rappresentazioni fotografiche.

Non è sicuramente un libro autocelebrativo e non serve a descrivere le opere dell'autore. È solo un libro di pensieri. Il motivo per cui Zumthor non ha affidato la sua "biografia architettonica" ad un noto critico o ad una casa editrice più importante, più alla moda, è lo stesso che lo ha spinto, nonostante la sua formazione cosmopolita e le sue esperienze didattiche negli Stati Uniti, a vivere e a lavorare in una condizione periferica, defilata. Il suo atelier si trova, infatti, a Haldenstein, un paesino vicino Coira, nei Grigioni della Svizzera. Un paese fatto di natura, di poche case di legno e pietra, di una chiesa. Tutto questo fa parte di un preciso disegno: l'equilibrato e il calibrato esporsi al pubblico deve avvenire non attraverso uscite plateali, ma soltanto attraverso l'architettura. Questo atteggiamento denota innanzitutto una scarsa fiducia nella critica e una marcata diffidenza verso le mode architettoniche. Ma anche la volontà, unita alla capacità, di parlare del proprio lavoro senza mediazioni critiche, per evitare di incorrere negli "ismi" della storia dell'architettura.

"Pensare Architettura": cosa vorrà mai dire? Conosciamo il pensiero sull'architettura, cioè sul già costruito, sappiamo inoltre cosa significhi pensare all'architettura: fermarsi, attendere che i rumori esterni si facciano vaghe e lontane presenze affinché le "immagini" del mondo architettonico occupino completamente i nostri sensi. Ma pensare architettura è qualcosa di più. È la capacità di seguire un percorso inverso rispetto a quello che seguono le immagini, è un procedimento legato ad una esperienza, ad un atto di vita che diventa ricordo, immagine, sensazione. Pensare architettura è forse come tentare di descrivere il tratto caratteristico di uno sguardo, il riflesso inconfondibile di un viso. E' la capacità di cogliere un carattere, una proprietà intrinseca all'oggetto osservato che, attraverso una elaborazione, anche inconsapevole, diviene sensazione e quindi immagine.








Il pensiero, molto spesso, vive una vita parallela o diametralmente opposta all'architettura: a volte la incontra ed è costretto ad accettarla, altre volte la giustifica, la ripropone, la descrive; è raro che il pensiero coincida con l'architettura. Ed è raro trovare un architetto che racconti le sue opere a partire da concetti almeno in apparenza astratti.
La formulazione di un pensiero nel libro corrisponde puntualmente alla traduzione di quel pensiero nelle opere costruite. Si pensi , per esempio, a quando, nel paragrafo "Paesaggi Resi Completi" (pag. 18), l'autore dice: "La presenza di certe costruzioni ha per me qualcosa di misterioso. Sembrano essere lì semplicemente. Non prestiamo loro alcuna attenzione particolare, eppure è pressoché impossibile immaginarsi il luogo in cui sono insediate senza di loro. Sono costruzioni che danno l'impressione di essere parte integrante dell'ambiente a cui appartengono. La possibilità di progettare delle costruzioni che nel corso del tempo entrano in una simbiosi così naturale con la conformazione e la storia del loro luogo, eccita la mia passione". Questo concetto di integrazione architettonica nell'ambiente è perfettamente corrispondente alla realtà delle sue costruzioni. Sembra impossibile scindere la collina e i sentieri dalla Cappella di Somvix; o, ancora, non si riesce ad immaginare la montagna di Vals senza l'architettura cava delle terme. Questi due siti naturali vengono anzi valorizzati dalla presenza di queste architetture, nel senso che Zumthor descrive nel libro: "giacché, per trovare il suo posto, il nuovo deve stimolarci anzitutto a guardare l'esistente in modo inedito". Capita molto spesso, leggendo il libro, di trovare descritta una serie di azioni necessarie che Zumthor compie quando guarda o fruisce dell'architettura in generale. E poi capita di scoprire che quelle stesse necessità, sentite magari nei confronti di creazioni di altri architetti, vengano da lui trasferite in chi guarda o fruisce delle sue architetture.


Quando, infatti, si visitano le sue architetture, è immediato il bisogno di comprenderne la forma, di comprendere la loro interezza, anche, ad esempio, con l'aiuto della fotografia; poi, ci si accorge che c'è bisogno di un punto di vista diverso, più intimo. Allora lo sguardo si posa sul dettaglio (la scandola di legno, il listello di pietra azzurra, l'asticella di larice). Ma da solo il dettaglio non è espressivo. Ci si deve allontanare fino a quando questo dettaglio si contestualizza in una porzione più ampia di spazio. Soltanto allora l'architettura viene fuori. Nella ripetizione di quegli elementi c'è il senso che si cerca. L'architettura è fatta di rimandi temporali che si concludono in essa stessa. Quella forma totale, al termine di questo processo, prende vita, non è più anonima, assume la potenzialità concretizzata del materiale usato.

È significativa a questo proposito l'affermazione di Zumthor: "guardiamo ora l'edificio. Il nostro sguardo, guidato dalla ragione analitica, si discosta e cerca di fissarsi sui particolari, ma la sintesi del tutto non concede la comprensione esaustiva delle parti. Tutto rinvia a tutto". È molto difficile non pensare alle sensazioni architettoniche quando si legge il libro, e, probabilmente, la sua bellezza sta proprio in questo. Si tratta di un evento piacevole, sorprendente, entrare in una architettura, osservarla, poi, leggere di quell'architettura e provare identiche sensazioni, compiere analoghe riflessioni. Cambia soltanto il linguaggio: spazio, luci, materiali, e accanto, parole, pause. Il rumore dei passi entrando nella Cappella di Somvix, quel lento preciso risuonare del legno, è identico al suono percepito leggendo alcune frasi di "Pensare Architettura", laddove Zumthor descrive "la tattilità, l'odore, l'espressione acustica dei materiali". La sensazione di quiete provata entrando nell'acqua delle terme di Vals o percepita nel camminare nei suoi spazi labirintici, eppure così definiti e sicuri, è la stessa che si percepisce leggendo "Esiste per me un bel silenzio in relazione ad una costruzione, che collego a nozioni come calma, naturalezza, durevolezza, presenza, integrità ma anche calore e sensualità". I pensieri dell'autore più volte fanno comprendere come l'affiorare della vita nelle architetture sia il punto di partenza di un processo compositivo che termina e dà vita all'oggetto architettonico. Sembra di capire che esiste un rapporto dialettico e continuo con le esperienze della vita, le quali vengono tradotte e catalogate nella nostra mente come memoria non di immagini ma di sensazioni, come ricordi di emozioni.



 

 

 

 

"L'architettura", dice Zumthor, "ha il suo proprio ambito di esistenza. Ha con la vita un rapporto corporeo. Personalmente non la ritengo né messaggio, né segno, bensì involucro e sfondo della vita che scorre. Un recipiente sensibile per il ritmo dei passi sul pavimento, per la concentrazione del lavoro, per il silenzio del sonno.". Per esempio il ricordo del "rinserrarsi della pesante porta di casa" che Zumthor ha tratto dall'esperienza della sua quotidianità, si è trasformato in un concetto architettonico costante, ben definito nella sua esperienza progettuale. La soglia diventa una sorta di limbo, un momento di pausa e di sospensione. La porta, se pur descritta nel libro nella sua pesantezza, si trasforma nelle sue architetture in levità, in un momento di cambiamento da un luogo all'altro. Le porte delle sue architetture sono quasi sempre distaccate dal suolo, e questo distacco sembra voler dichiarare apertamente che il gesto di entrare implica l'abbandono di un mondo, di una immagine e quindi di un ricordo, per entrare in un altro mondo, in una nuova immagine, in nuovi ricordi. Le porte delle sue architetture sono così perché nascono da un pensiero costantemente presente nella sua mente: entrare è un atto di sacrificio compiuto per ottenere una ricompensa.


Zumthor non progetta pensando a forme passate ma avendo nella mente atmosfere, nelle orecchie suoni; progetta pensando ai materiali. Alcune frasi del libro sono molto chiare a questo riguardo: "Produrre delle immagini interiori è un processo naturale che tutti conosciamo. E' parte integrante del pensare. Pensare associativamente, selvaggiamente, liberamente, ordinatamente, e sistematicamente per immagini, per mezzo di immagini architettoniche, spaziali, colorate e sensoriali; ecco la mia definizione prediletta del progettare". All'interno di questo cammino progettuale c'è un momento che precede la costruzione dell'architettura, ed è il momento della rappresentazione dell'oggetto architettonico. Questo particolare frangente può diventare fondamentale nell'opera di un architetto, addirittura diventare più importante dell'oggetto stesso. Zumthor prende posizione su questo argomento dicendo "lo sforzo della rappresentazione può rendere particolarmente evidente l'assenza dell'oggetto reale. Si fa sentire allora l'inadempienza di ogni rappresentazione, la curiosità per la realtà promessa della rappresentazione". Da ciò risulta evidente che il suo trasmettere l'architettura non è mediato da affabulazioni grafiche particolarmente accattivanti. La costruzione dell'architettura è preceduta da disegni costruttivi che traggono motivo per la loro esistenza solo dall'essere "esaustivi ed obiettivi". Zumthor nei suoi disegni dà indicazioni tecniche, cioè dà il "come fare" e non il "perché fare". Questo significa che non ha bisogno di giustificare con dei graficismi l'oggetto architettonico: le risposte alle domande su un determinato oggetto sono nella sua costruzione.

Il libro è scritto per essere letto lentamente. Ha i tempi della riflessione, che generalmente sono lunghi. Ogni frase rimanda ad una partecipazione del lettore ai pensieri di Zumthor. E partecipare significa approvare, riconoscersi, ricordare. Alla fine della lettura si ha la chiara percezione che il libro è stato scritto con l'intento di far compiere al lettore una esperienza, un percorso del pensiero e che l'importanza di tutto il libro stia nel riconoscere quell'esperienza. Il libro è costruito come sono costruite le sue architetture: cioè come veicolo di esperienza.

Anche per raggiungere la Cappella di Somvix o le terme di Vals ci vuole del tempo, e durante il trascorrere di questo tempo si sente di dover superare delle prove prima di giungere alla visione delle opere. Si sente anche di dover necessariamente lasciare indietro qualcosa. Il paesaggio incontrato cambia, diventa sempre meno umanizzato, fino a quando, senza clamore, le opere di Zumthor appaiono, silenziose come tutto ciò che le circonda. Ci si accorge, alla fine, che la bellezza non sta nell'architettura scoperta ma nell'esperienza che ha condotto a quell'architettura. L'architettura diventa così, come il libro, un veicolo di esperienza.

Raffaella Maddaluno
raffaella.maddaluno@libero.it
Le fotografie sono di Raffaella Maddaluno.

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Questa pagina è stata curata da Matteo Agnoletto.






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