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Heliopolis 21. Architetture possibili





Paolo Caroli e Giovanna Gheri (a cura di)
“Heliopolis 21. Architetture possibili”
Edizioni ETS, 2001
£25.000 - Euro 12,91

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...spazi fisici come spazi mentali, fluidi, mai rigidamente conclusi in se stessi o separati nettamente dagli spazi circostanti. Le pareti diventano oggetti che filtrano il passaggio da un ambiente all'altro. Se resta la distinzione tra zona notte e zona giorno, perlomeno nelle residenze di una certa dimensione, è ormai sparita qualsiasi barriera fisica tra le varie funzioni che si svolgono nella zona giorno: mangiare guardare la televisione fumare discutere cucinare parlare al telefono lavorare "surfare" sul web sono attività che spesso si svolgono contemporaneamente, a volte caoticamente o freneticamente, senza cesure di tempi, senza pause, appena spostandosi di pochi passi. E la ibridante contaminatio tra le attività svolte e gli atteggiamenti mentali assunti nello svolgerle si ripercuote nella maniera di concepire e disegnare gli spazi. 

L'arte o la comodità, un tempo relegate nei salotti aperti solo ai ricevimenti domestici dei giorni festivi, invadono gli ambienti più impensati come i bagni e le cucine; il bisogno di tele-comunicare (tv, radio, telefono, web) non ammette interruzioni. Ovunque (nel mondo ma anche in casa propria) con chiunque - così ogni angolo della propria residenza è ormai ambiente pubblico, fino a spiegare il recente successo di un programma multimediatico come il Grande Fratello (povero Orwell) con la necessità di ostentare ogni frammento della propria altrui esistenza. Chi si accontenta più dei famosi 15' di popolarità di Warhol? TUTTO OVUNQUE pertanto, non solo nei ridotti spazi della residenza ma anche nelle più ampie dimensioni urbane. Che successo avrebbe un megaschermo pubblico e un più "grande fratello" che seguisse casualmente la vita di alcune persone nei loro spostamenti cittadini: baci scivolate appuntamenti spese incidenti pianti e risa serviti ad uso e consumo del pubblico?

Paolo Caroli
(estratto dal volume)



[15feb2002]
Vedere presuppone sapere.
Il gusto estetico è funzione dei propri riferimenti culturali, quindi la "percezione" va educata. Facciamo un esempio: la tour Eiffel. La sua creazione come elemento decontestualizzato, privo di riferimenti con l'esistente, se da una parte fu sicuramente frutto della cultura e dell'epoca, dall'altra provocò aspre critiche e scandalizzate proteste - fu definita "pozzo petrolifero urbano" - fino a produrre perentorie ingiunzioni di demolizione. Eppure oggi quale abitante di Parigi non la considera elemento caratterizzante e imprescindibile della città dei Lumi? Ebbene, la storia, lo scorrere inesorabile del tempo ha educato l'uomo; educazione, ed ora si comprende il significato, come capacità di far "vedere", percepire come familiare, qualcosa che aprioristicamente saremmo portati a rifiutare.

L'architetto in questo caso "educa" e cioè assume il ruolo di promotore di "percezioni" (emozioni?). Gli H21, consci dell'arretramento culturale italiano in campo architettonico, si pongono, insieme ad altri più o meno giovani, il problema di educare la committenza, sia pubblica che privata, e ritengono (come possiamo dargli torto?) che questo sia il primo passo da compiere per debellare i moltissimi pregiudizi che limitano le infinite possibilità aperte dalle tecnologie moderne: il nuovo è più costoso dell'antico, il nuovo non dà emozioni, il nuovo annoia in breve tempo, il nuovo non è funzionale, il nuovo è uno spreco, fino a giungere alla più angosciante delle domande che spesso rivolgono i committenti: cos'è il nuovo?

Giovanna Gheri
(estratto dal volume)
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Questa pagina è stata curata da Matteo Agnoletto.






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