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SUPERMODERNISMO.
L'architettura nell'età della globalizzazione.




Hans Ibelings
"SUPERMODERNISMO.
L'architettura nell'età della globalizzazione"
a cura di Michele Costanzo
Castelvecchi, giugno 2001
pp90, €12,40

titolo originale: 
"Supermodernism. 
Architecture in the Age of Globalization" 
Rotterdam, NAI Publishers, 1998

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Nel suo saggio "Supermodernismo", Ibelings pone in evidenza il diverso modo in cui la società che cambia tende a rapportarsi al reale, cercando di individuare i molteplici fenomeni che caratterizzano tale processo. Lo scritto prende le mosse dalla consapevolezza delle mutate condizioni di luogo e identità, della progressiva perdita di senso dell'ambiente costruito, della crescente erosione del significato di spazio.

In ambito antropologico la tematica dell'atopia era già stata prese in esame da Marc Augé, nel suo libro Nonluoghi. Introduzione a una antropologia della surmodernità. Ibelings, nel suo saggio, prende le mosse da questo testo (a partire dal termine "surmodernità" del titolo). L'impulso alla trasformazione, egli osserva, è trasmesso alla società 
contemporanea dalla mobilità che a sua volta è la causa del distacco, della perdita di interesse nei confronti dello spazio. Lo sviluppo delle strategie della comunicazione, la mondializzazione dell'economia, il processo di innovazione tecnologica sono, considerati nel loro insieme, come l'elemento scatenante, la causa dell'accelerazione di tale processo di modificazione. 

Il supermodernismo, in questo senso, si pone come manifestazione di un complesso fenomeno di riassetto sociale a scala mondiale denominato globalizzazione: una 'rivoluzione silenziosa', che determina modalità diverse nelle relazioni umane, come l'esclusione dell'incontro diretto (questione abbondantemente analizzata dal cinema, dalla letteratura e dalle arti visive) che mette in crisi la stessa identità individuale. Quello che viene perseguito, ora, è uno stato di imprevedibilità (connesso ad un indefinibile senso di stupore), che prende forma attraverso le molteplici possibilità della 'contaminazione' le cui modalità più tipiche sono: 
l'enorme, l'inestetico, la tabula rasa, l'assemblaggio, la replica dell'identico, il legame a un contesto, la mancanza di un tessuto connettivo.

I codici riduttivi imposti a questa architettura dalla trans-culturalità, espressione di un sapere fuori da ambiti nazionali, caratterizzata da una pluralità di identità possibili, conducono ad un impoverimento dell'ambiente urbano. Le grandi città metropolitane, sono sempre meno riconducibili al paese d'appartenenza, piuttosto rappresentano i luoghi fisici in cui la diversità culturale s'incontra: si potrebbe osservare che la loro peculiarità risiede proprio nella perdita della loro identità. Se per Charles Jencks questa sorta di "deserto controllato" può rispecchiare la realtà disseminata di Los Angeles, che egli chiama Heteropolis, anche altre città, quali Tokyo, Singapore, Hong Kong, possono essere annoverate tra questo genere di realtà urbana; esse non possono più essere identificate tramite categorie quali continuo-discontinuo, ma da quella della frammentarietà.

In epoca di trasformazioni genetiche dobbiamo accettare, quasi come inevitabili, forme connettive quali: meticciato, interconnessione, reciprocità. La nuova architettura si fa carico di rappresentare questo processo di modificazione attraverso la semplificazione della forma, la tensione riduzionistica che punta a costruire edifici come solitari mondi senza identità, in cui l'oggetto si chiude in sé per diventare microcosmo urbano: fenomeno che Rem Koolhaas aveva già individuato nel suo Delirious New York, denominandolo "manhattanismo". I tratti di questa profonda trasformazione riguardo al modo di concepire l'architettura e ai suoi meccanismi di realizzazione, cominciano a delinearsi a partire dall'inizio degli anni Novanta. Della lunga serie di opere prodotte, rappresentative del supermodernismo, ne indicherò alcune tra le più note che potremo considerare come figure-simbolo di questa tendenza: la Torre dei venti di Toyo Ito a Yokohama, l'Art Gallery di Herzog & de Meuron a Monaco, la Glass Video Gallery di Bernard Tschumi a Groningen, La Fondation Cartier di Jean Nouvel a Parigi, il Museo Kirkner di Gigon e Guyer a Davos, la Kunsthaus di Zumthor a Bregenz.

Tra gli elementi caratteristici di questa nuova maniera di essere dell'oggetto architettonico si segnala la totale indifferenza rispetto a fondamentali concetti quali quelli di luogo, significato e identità. Gli stessi che, durante gli anni Settanta e Ottanta, avevano caratterizzato il postmodernismo e il decostruttivismo che, per certi versi, può essere 
considerato, nonostante i suoi marcati caratteri distintivi, il rovescio manierista del movimento precedente, o la sua ideale ramificazione. Il supermodernismo, che deve essere inteso come pura categoria critica, al contrario, corrisponde a un diverso modo di porsi nei confronti del reale. Con esso viene messo da parte quell'approccio sospeso tra invenzione e memoria che aveva contrassegnato il ventennio trascorso, e che aveva trovato espressione nell'articolato processo basato sul metodo del prelievo e della citazione, con esiti che andavano dal classico al vernacolare, per poi mescolarsi con altre forme di tipo astratto, in una caotica combinazione, spesso volutamente perseguita, di materializzazioni storicistiche e frammenti moderni. Il tema fondamentale che legava la singolarità degli atti, che pure riuscivano a conferire il senso della disaggregazione della forma, era l'idea della narrazione che agiva come un elemento agglutinante e forniva il senso dell'unità all'intervento progettuale.

Michele Costanzo
costmic@libero.it
[05oct2002]

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Questa pagina è stata curata da Matteo Agnoletto.






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