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Books Review

Profession Architect



DE ARCHITEKTEN CIE.
"Profession Architect"
Uitgeverij 010 Publishers, 2002
pp 261 €34,50



In questi anni ci si è abituati a vedere arrivare dall’Olanda libri e progetti molto accattivanti e giocati sul filo di una ricerca molto estetica e concentrata sulla formulazione di un’identità dell’architettura nella nostra civiltà postindustriale e dell’immagine. Nel mentre molto gruppi trovano giustamente fama per il loro “pragmatismo visionario” e la capacità di formulare icone per il mercato del nuovo secolo lo studio Architekten Cie. si è “accontentato” di costruire alcune tonnellate di metri cubi seconda le care e vecchie regole della old economy. Efficienza, attenzione economica e progetti che funzionano come biglietto da visita si sono rivelati strumenti ancora capaci di mettere in moto processi importanti fino a far ingrandire lo studio sino a 120 persone con una mole di progetti inimmaginabile per la scala italiana. Isole artificiali, interramenti di intere linee ferroviarie, espansioni residenziali, municipi, parlamenti, multisale, arene, nulla manca sfogliando il curriculum del gruppo fondato da Frits van Dongen e Pi de Bruijn che oggi associa anche Branimir Medic e Pero Pulijz.

Non siamo qui per magnificare questo studio, ma per analizzare il loro libro appena uscito in Olanda per l’editore 010, un libro per molti aspetti nuovo e quindi molto interessante. Un libro che è perfetto pretesto per analizzare anche, di rimando, alcuni imbrogli che gli architetti hanno formulato negli ultimi anni e in cui la critica è caduta troppo ingenuamente nel tentativo di riformularsi militante e allegra.

L’imbroglio è credere che se da un lato alcuni studi investono molto in immagine e nella pubblicistica automaticamente essi facciano ricerca e che questa ricerca, tutta nei confini dell’immagine, sia l’unica possibile nel nostro tempo o che per lo meno essa sia avanguardia. Se qualcosa è davvero possibile imparare da Koolhaas è che la società dello spettacolo e dell’immagine è progettabile, analizzabile, e costruibile una volta superati alcuni imbarazzi come la definitiva morte di ogni ideologia e credo. Se questa società è regolabile e queste regole sono un territorio di mediazione -la Regola come tale è morta, su questo non è nemmeno più tempo di discutere- allora quel territorio è il territorio dell’architettura, un terreno di lotta instabile sempre fluttuante, ma estremamente vivace e affascinante. Se portiamo alle estreme conseguenze il ribaltamento sulla realtà di ogni teoria attuato da Koolhaas, (attenzione non certo solo da lui in tale direzione si è mossa molta ricerca anche nel nostro paese, per lo meno prima del collasso che la ricerca Italiana ha vissuto negli ultimi anni) allora non possiamo non notare che l’avanguardia è nel fare non certo nel pubblicarsi o nel voler apparire architetti colti e raffinati. Ovvero proprio quegli architetti che Tafuri ha così ben stigmatizzato quando dice: "Chiamare a sé la responsabilità di edificare la realtà è la massima espressione di ricerca", sì perché è la realtà il luogo della ricerca non certo la teoria, lo afferma proprio la stessa teoria degli ultimi trent’anni.

Allora nella serie infinita di mattoni che Achitekten Cie. hanno messo in fila dobbiamo notare un preciso intento culturale e una vera e propria ricerca paziente di questa costruzione della realtà. Questo non deve lasciar intendere che chiunque costruisca molto sia necessariamente da inserirsi in questo filone, alla base c’è la comprensione di una società che si appoggia a regole oramai labili e di questa compressione profonda dell’esplosione delle regole da parte di questo gruppo ci testimonia bene questo libro.

La copertina ci fa vedere una contestazione studentesca davanti alla sede del Parlamento Olandese costruita da Architekten Cie.: l’evento è prioritario a qualsiasi architettura –non c’è architettura senza evento se volessimo usare un celebre slogan Tschumiano- il titolo è
Profession Architect che ci dice del mestiere, della solidità e del tentativo di costruire questo lavoro nel nostro tempo, ma ammicca anche al celebre film di Antonioni in cui il soggetto si smaterializza assieme alla idea di poter svolgere una professione. Aprendo il libro ci troviamo di fronte foto del lavoro di costruzione della professione: lo studio al lavoro, la regina che inaugura un loro edificio, una serie di architetture eccellenti, dagli uffici del nuovo parlamento berlinese sino agli interni della Pathé Arena di Amsterdam. L’idea è sempre quella, mostrare il processo e non il prodotto, perché è il processo che, inserito nella realtà, ha la possibilità ricontrollare la realtà instabile, non certo l’oggetto finito e proposto come regola.

Le foto di tutto il libro sono di Marcel Molle, un fotografo di guerra: un fotoreporter per mostrarci la dinamicità del confronto che avviene nell’architettura e non per costruire un presunto catalogo di opere da riproporsi ai clienti come fosse un book. Il libro si snoda lungo una serie di capitoli costruiti attorno a una serie di testi dei Crimson, un aspetto su cui dovremmo tornare. Il primo capitolo è, significativamente, BANG! E ci parla dell’esplosione della fabbrica di fuochi artificiali a Enschede nel 2000, ancora una volta è la deflagrazione della realtà che mette in moto dei processi che portano a ridefinire il ruolo dell’architetto. Nel susseguirsi di capitoli, testi, foto emerge costante la necessità di riflettere su cosa sia l’esperienza della modernità per l’architettura e cosa resti del moderno soprattutto in un paese come l’Olanda che sull’industria delle costruzione fonda una considerevole fetta di PIL e che ha scelto il moderno come strumento privilegiato per la costruzione della società e non solo delle sue residenze. È un’analisi condotta da chi si aspetta ancora che l’architetto possa contare nel processo di costruzione del paese e in cui ci si aspetta che, iniettando delle dosi controllate di veleno nelle vene, si possa ottenere se non proprio una guarigione per lo meno una salute sufficiente al buon proseguo della Storia. L’ultimo capitolo si intitola proprio Therapy e, se è lecito forse riscontrare una sorta di positivismo in tutto ciò, non possiamo certo dire che questo sia ingenuo. Troppo attento il volume, troppo attenti gli Architekten Cie. a costruire il loro modello di professione, tutto ruota attorno al fatto che questa loro terapia funziona.

Non è perfetto? È contraddittorio? I più non riescono a leggere ricerca in queste tonnellate di metricubi? La società dello spettacolo pare non si accontenti della straordinaria capacità di sviluppare tipologie innovative, usare materiali ricercati, attaccare i costi con l’attenzione millimetrica al dettaglio? Architekten Cie. pare non curare minimamente questo problema; la loro formula funziona, continuano a costruire tanti e ottimi edifici e soprattutto a immaginare la professione dell’architetto nella nostra società. Il libro si completa con un dizionario, intitolato AZ, dei principali progetti stampati su una carta differente a creare uno stacco fra la riflessione posta e il loro lavoro architettonico. Va detto che il libro ha una tale forza che probabilmente questa appendice, anche ben curata, ricca e utile, forse poteva essere posta in un altro volume, sembra infatti essere una sorta di concessione a quel mercato culturale che ha imposto il catalogo iperpompato dei progetti.

Il problema ruota ancora attorno a Koolhaas e in questo caso alla rottura che ha creato il fenomeno S,M,L,XL, vero mattone pop del nostro tempo: se il lavoro di Architekten Cie. altro non è che l’estrema conseguenza di quella società – vedasi l’ammirazione di Koolhaas per Hood e per le grandi corporations che edificano i grattacieli fino alla logica di sognare OMA sul modello di SOM – questo libro prova come pochi a fare i conti con S,M,L,XL. Nella prima parte si vede la grande voglia di fare un qualcosa di diverso, di andare oltre, il catalogo è la cifra dove questa sottilissima operazione culturale cade in contraddizione o se si vuole si arrende alle logiche del mercato. Lo stesso mercato che genera il processo architettonico, che fa esplodere eventi e lancia sfide reali al lavoro intellettuale e progettuale si riappropria, nella sua onnivora ferocia, della sua centralità. Del resto la terapia che gli Architekten Cie. propongono non è la cura di tutti i mali, ma bensì la possibilità di lavorare nel territorio della mediazione.

Quello che è interessante è proprio che, mentre le generazioni più giovani sognano ancora di avere il libro alla S,M,L,XL (vedasi, su tutti, il nuovo libro di FOA), in questo laboratorio del concetto di modernità che è l’Olanda si lavora alacremente per superarlo e questo volume, a mio avviso, ha un ruolo preciso in questo progetto culturale.

Chiudiamo con un ultimo dubbio che riguarda il ruolo della critica. A chi si aspetta che il superamento delle attuali condizioni possa essere risolto nelle analisi questo libro deve apparire come un segnale d’allarme. La sudditanza della critica alla realtà è ancora totale e non si può dire che non ci sia stata una ricerca importante anche nel cercare i testi. I testi sono prodotti dai Crimson, un gruppo di giovani storici e critici che si sono associati come uno studio professionale per curare libri, pubblicazioni e ricerche, idea alquanto interessante che in un mercato ricco come quello olandese pare funzionare molto bene, ma sebbene gli scritti siano molto piacevoli, asciutti e, alcuni, molto interessanti, non sembrano al livello del progetto complessivo. Ma se la teoria per cercare di ritrovare un modo di agire è costretta a essere per sempre solo teoria del reale è necessario immaginare un modo per cui nella realtà sia costretta a fare i conti con le proprie costruzioni deliranti e non solo ad accompagnarli.

Giovanni Damiani
gdamiani@architecture.it
[23nov2002]
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Questa pagina è stata curata da Matteo Agnoletto.






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