J. Koudelka, California, 1991, particolare (Caos, Federico
Motta Editore, Milano 1999).
J. Koudelka, Libano, Beirut, 1991, particolare (Caos, op. cit.).
B. Servino, Superfici: ruggine, 2001.
J. Koudelka, Francia, Nord-Pas de Calais, 1987, particolare (Caos,
op. cit.).
U. Boccioni, Gli stati d’animo I - Quelli che vanno, particolare. |
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Uno scritto, quello di
Tescione, apparentemente inusuale per una collana di architettura perché
la sua “aspirazione non era quella di saturare lo spazio, cosa del resto
impossibile. Piuttosto, quella di rendere visibili le aree insature,
affinché vi si inserisse il pensiero: non si può dare il pensato, è
meglio creare spazi per pensare”.
Io ne ho tratto
grande benessere interiore e, condizionato pur sempre dal mestiere, ne
ho cercato, a tutti i costi, una relazione diretta con la architettura;
anche in contrasto con quanto scrive, in chiusura, lo stesso Tescione: “e l’architettura, che ha fornito con tanta abbondanza metafore e
analogie per concretizzare l’astrazione del pensiero psicanalitico, non
può essere un contenuto della psicanalisi, poiché questa non è un
contenitore, ma una sonda che amplia il campo che esplora”.
Benessere, dunque, perché è uno scritto scevro dai condizionamenti della
nostra disciplina, lontano da riferimenti pragmatici o semantici,
distaccato dal costruito o dal disegno visionario prodotto dalle
macchine dei bits. Fondamentale, invece, per tentare una ri-costruzione
del pensiero di Architettura. Perché ne coglie l’anima. Attraverso la
psicanalisi, partendo da uno “spazio interiore comune”, lo scrittore
sembra averne smascherato la krìsis, lasciandone identificare, così, la
forza distintiva del suo riscatto.
Determinandone la scelta finale.
Tescione, lo fa ab initio.
Ci invita velatamente ad una riflessione profonda.
Ci invita, garbatamente, ad una indispensabile calma piatta per poter
riprendere, poi, purificati dalla sostanza scorrevole del pensiero
originario, un nuovo cammino.
Rialimentati da linfa vitale.
J. Koudelka, Grecia, 1994, particolare (Caos, op. cit.).
“Ma bisogna
anche sperare che la memoria si disturbi, perché non
costituisca una saturazione inibente del desiderio. Ovvero bisogna
sperare di stupirsi della propria memoria e della sua fallacia, per reperire in
essa e al di là di essa la ricchezza necessaria da investire e
trasportare trasformata nel nuovo. Infine bisogna sperare di
opacizzarla, perché la sua ombra troppo netta, scura e ampia non
impedisca la capacità di sperare nel nuovo”.
Come gli scrittori più intriganti che sanno anticipare di un soffio
l’emozione che avverte ogni lettore trasferendogli, attraverso la
costruzione logica del pensiero, l’esattezza delle sue sensazioni
(già, d’altronde, permanentemente in incubazione), così questa lettura
psicanalitica della Architettura della Mente, può rimandare alla
Architettura del Costruito, avendone ri-delineato l’Ordine del
processo progettuale.
Ed esplicitarne l’Essenza.
I temi affrontati dall’autore per ricostruire il pensiero (Memoria,
Stratificazione, Indistruttibilità, Linguaggio, Corpo, Omogeneità,
Simmetria, Asimmetria, Euclide e non-Euclide, Spazio,
Contenitore-contenuto, Vuoto…) sono, per certi versi, analoghi a
quelli coi quali familiarizziamo quotidianamente.
Tanto che, Tescione, scrive nella prefazione:
“Questo lavoro si rivolge, forse, agli architetti. Forse, perché
sembra difficile dire prima chi si rivolgerà ad esso. È stato pensato,
ad ogni buon conto, come un tentativo di tracciare una linea di
congiunzione tra discipline, aree teoriche e “pratiche”, certamente
dotate di ambiti, estensioni e spazi propri. La linea intendeva
trascinare con sé un ambito verso l’altro, non perché così uno potesse
spiegare (interpretare?, concretizzare?, descrivere?) l’altro, ma solo
perché si potesse, dall’avvicinarli, creare un vertice che, almeno in
parte, li comprendesse. Chi si abbandona al tracciato d’una linea può
sentire quanto questo segno, facilmente immaginabile come esile e
filiforme disegno tracciato in punta di matita, possa avere la
capacità di trascinare l’emozione”.
B. Servino,
Superfici: stratificazioni, 2001.
Ad esempio, con
il concetto di stratificazione, la analogia è assolutamente
affascinante:
“La stratificazione
è un processo contiguo, determinato da un procedimento di
trasformazione del materiale che costituisce gli strati. Quand’anche
lo strato nuovo che si sovrappone sembri estraneo, non tarderà ad
essere assimilato, assorbito dalla materia sulla quale si poggia; con
essa si salderà dando vita ad una qualità insieme nuova e stabile di
tutta la stratificazione. Connessioni segnate da separazione: la
cesura è apparentemente uno spazio vuoto e di questa apparenza, come
sempre, non c’è da fidarsi. Tutt’altro: essa contiene un alto grado di
potenzialità conoscitiva della struttura nel suo insieme, e quante
maggiori emergono cesure, tanto maggiori risultano le potenzialità di
conoscenza. Dunque, non resta che immergersi nelle cesure, come un
tuffatore che, senza paura, si tuffi dall’Eretteo nelle profondità del
mare lì contenuto”.
E, più avanti:
“Il processo della crescita è conservativo. Volendo fare un paragone
con la crescita di una città, ad esempio, si potrebbe dire che il suo
sviluppo parte dalle fogne; mi è capitato di sentire anche che le
città sono costruite prima dal tempo, poi dagli uomini ed infine dagli
architetti. Gli architetti, in questo modo di raffigurazione astratta
dello sviluppo di un organismo urbano complesso, sarebbero dunque gli
ultimi artefici, quelli che si collocano sullo strato superficiale di
esso. Vi appongono, in molti casi, la firma, ma la riconoscibilità del
loro lavoro e la possibilità che venga attribuito in maniera concreta
un valore all’opera realizzata, probabilmente sta nel riconoscere da
parte loro gli strati precedenti e nel mantenere viva nella coscienza
il postulato che altri strati si sovrapporranno. Ma se così stanno le
cose sul piano della realtà esterna, sottoposta alle leggi della
durata e della caducità, alle leggi della natura, non allo stesso modo
si può dire che avvenga lo sviluppo nella realtà interna, laddove
sembra che la natura umana proceda attraverso modalità non
conciliabili con la logica di qualunque altro processo evolutivo”.
Panneau des
Mains négatives (30.000 a.C.), grotta di Chauvet-Pont-d’Arc, Ardéche,
Francia, particolare.
O, ancora, con quello della memoria e della sua indistruttibilità:
“La memoria inconscia, la più profonda e indistruttibile, quella che
coincide con l’idea dell’oblio, vale a dire la vera forma della
memoria, sembra funzionare come un contenitore, per così dire, entro
cui vengono riversati gli oggetti della rimozione; e, come tutte le
funzioni mentali ricoperte della qualità inconscia, essa non è
sottoposta all’azione del tempo, che dunque non ha nessuna parte nel
meccanismo della dimenticanza. Nulla è più vivo nelle memoria di ciò
che è stato dimenticato”.
O, infine, con il concetto di linguaggio:
“Freud ordinò secondo un senso la babele del sogno. Ne trasse la sua
costruzione linguistica e la modalità di trasformazione dei pensieri
operata dal lavoro onirico, che procede secondo quattro fattori di
formazione, o di costruzione, e cioè: la condensazione, lo
spostamento, la raffigurabilità e l’elaborazione secondaria.
Da questa visione deriva l’ipotesi per cui l’operazione linguistica
del costruire (teorie o edifici: in genere, della creatività), procede
mediante l’utilizzo della peculiare miscellanea di processi inconsci e
consci: i primi sotto l’influsso onnipresente e indistruttibile del
desiderio e della spinta libidica; i secondi sotto quello flessibile
del riconoscimento della realtà. L’inconscio, dunque, informa i
processi del pensiero creativo e si infiltra instancabile all’interno
dell’area mentale impegnata a riconoscere e a fare i conti con il
reale. La possibilità che un senso venga costruito sta nel concepire
un’architettura mentale in cui elementi contrapposti trovino uno
spazio di coabitazione: la costruzione (di un senso, di un edificio)
passa attraverso la turbolenza determinata dal premere del desiderio”.
Leggendo i capitoli
del libro ed attraverso le continue cesure (pause) e gli inevitabili
riannodamenti (connessioni) del filo che sottende l’intero testo, si
fa sempre più incalzante, il Dubbio. Spiazzante. Generato dal
riconoscimento della vacuità dell’illusorio controllo sulla propria
Esperienza (fino a poco prima consolidata e certa) e della esattezza
del processo mentale che, invece, autonomo, ha condotto al progetto,
attraverso lo stato di rêverie.
“Un architetto guarda nel vuoto, nello spazio vuoto che sarà occupato
dall’edificio da costruire, e nello sguardo sogna la costruzione.
Riceve e sente gli elementi strutturali e semantici presenti nel
panorama (contesto) reale esterno quanto in quello mentale interiore,
quest’ultimo costituito dai riferimenti ai suoi piani alti (cultura,
teorie, organizzazione e conoscenza secondo lo spazio euclideo), così
come ai suoi piani bassi (desiderio, tracce mestiche, stratificazione,
organizzazione non-euclidea o multidimensionale dello spazio). Lo
stato di rêverie contiene già la restituzione in una rappresentazione
condensata, ovvero in un’immaginare che è un insieme parziale al cui
interno risiede un tutto”.
Vi riporto una riflessione sulla creatività:
“Per vedere dove ha luogo la creatività è necessario […] separare
l’idea di creazione dai lavori artistici. E’ vero che una creazione
può essere un quadro o una casa o un giardino o un costume o un modo
di pettinarsi o una sinfonia o una scultura; qualunque cosa, a
cominciare da un pranzo cucinato in casa. Sarebbe forse meglio dire
che queste cose potrebbero essere creazioni. La creatività di cui mi
occupo io qui, è universale. Appartiene al fatto di essere vivi […]
appartiene alla maniera che ha l’individuo di incontrarsi con la
realtà esterna […] di diventare una persona che vive e che partecipa
alla vita della comunità”.
E sulla assenza e vuoto:
“Assenza di pensiero, vuoto mentale, sono astrazioni che
richiamano le formulazioni che nel campo della fisica sono state
utilizzate per la concettualizzazione dello spazio, cioè il luogo
degli oggetti dove essi sono, erano o saranno. Il contenitore vuoto
nello spazio psichico è però un’astrazione di diversa portata: esso
indica il luogo dove l’assenza, la sparizione dell’oggetto lascia
posto ad un affetto, ad un’emozione, dunque ad un oggetto mentale.
E sullo spazio, contenitore-contenuto:
“Costruire lo spazio: cioè avere contenuti per un contenitore. Non
viceversa. Ovvero: trasformare le emozioni nei contenuti (pensieri)
che determineranno il contenitore”.
Assolutamente densi ed inevitabilmente intrigranti le riflessioni
dell’autore. Ri-costruire il pensiero sulla/della architettura?
Raffaele Cutillo
cutillo@ofca.net
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