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Tschumi



Giovanni Damiani (a cura di)
"Tschumi"
Skira, Rizzoli, 2003
pp176, €26,00

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Non v’è dubbio che Bernard Tschumi sia oggi considerato uno degli architetti importanti della seconda metà del dopoguerra, quelli che hanno dato un contributo sostanziale allo sviluppo dell'architettura. E benché la sua produzione risulti, ormai alla luce dei sviluppi teorici e i dibattiti svolti negli ultimi vent’anni, un tassello primario della nostra disciplina, siamo stati rare volte testimoni di riflessioni approfondite sulla sua opera. A dire il vero un tentativo di storicizzare la sua attività, come d’altronde l’attività di tutta l’ultima avanguardia del XX secolo, non è stato nemmeno iniziato, se non in qualche sporadico e limitato tentativo. Certamente il fattore temporale è stato fino ad ora il principale ostacolo per una simile operazione poiché una seria lettura di quella esperienza non può prescindere da una deontologica distanza dai momenti della produzione.

Tschumi, dall’altra parte, non ha dovuto davvero lamentare una scarsa eco del suo lavoro. È superfluo ricordare che i suoi progetti e i suoi edifici hanno trovato un consenso unanime presso la critica, a partire dai suoi primi lavori, ancora identificabili nel campo delle ricerche artistiche, passando per il pionieristico parco de la Villette, fino alle recenti esperienze editoriali ed accademiche o le realizzazioni a Le Fresnoy e Rouen. Incurante delle alterne vicende del dibattito internazionale, la sua opera naviga tranquilla su un ampio ed inesauribile fiume di pubblicazioni.

 
[29sep2003]

Bernard Tschumi, The Manhattan Transcripts, parte quarta “The Block”, 1976-81.

Ma è stato il fiume stesso, o meglio i suoi strumenti e il suo imperante deflusso, ad aver distolto l’attenzione dalla sostanza storica dei suoi personaggi. Non si intende assolutamente assumere una posizione semplicistica-conservatrice al riguardo. L’esplosione dell’editoria nel campo architettonico e la sua facilitata accessibilità nel corso degli ultimi dieci anni ha sicuramente arricchito la conoscenza di progetti, di teorie e di architetti, offrendo inusitate occasioni alla disciplina. Ma resta il fatto che nessun altro campo delle arti ha avuto tutta questa diffusa necessità di spiegarsi, di raccontare i propri processi costitutivi, di illustrare e mascherare allo stesso tempo la creazione e le forme dei propri oggetti. Questo fenomeno però ha avuto per la gran parte la caratteristica dell’autoproduzione e promozione, che se da una parte ha offerto un’utile catalogo di esperimenti e cognizioni, è certamente stato vittima, più o meno conscia, di un processo di mistificazione.

Riportare, per quanto possibile, in una sfera di “oggettualità” l’opera architettonica sembra più che mai necessario, sia per rivelarne i giusti meriti, le eroiche illusioni che, in alcuni casi, le sole illusive speculazioni. Dall’altra parte l’atto di storicizzare non serve soltanto a mettere a nudo l’oggetto della propria analisi ma a segnalare o considerare esso come parte di un problema storico, o momento all’interno di un processo storico, e non per ultimo per rendersi conto quanto di quello che facciamo è diverso da ciò che ci ha preceduto.


Bernard Tschumi, Folie decostruita, Parc de La Villette, Parigi, 1982-1997.

Questo è stato il tentativo del recente libro a cura di Giovanni Damiani nei confronti dell’opera di un importante architetto come Bernard Tschumi. Il volume, edito dalla Skira, ospita un discreto numero di opere dell’architetto svizzero e include anche la prima fase teorica e “ricognitiva” degli anni 70, con gli affascinanti Advertisment for Architecture, e i lavori Joyce’s Garden e The Manhattan Transcripts. Le schede dei progetti sono pertanto utili ma non particolarmente vitali, supportati anche dall’infelice formato editoriale. I progetti sono ben conosciuti e altrove largamente pubblicati come, nel caso dei Manhattan Transcripts, recentemente esposti al MOMA e finalmente illustrati in forma completa nell’utilissimo Perfect Acts of Architecture. L’interesse del volume Tschumi risiede tuttavia nei stimolanti contributi dei tre critici Michael K. Hays, Marco De Michelis (che intervista BT) e Giovanni Damiani.

In essi l’opera di Tschumi viene affrontata da differenti punti di vista, in gran parte complementari in alcuni casi discordanti, che hanno il pregio di mettere in luce gli strumenti e le modalità di quel “particolare” distacco che l’architetto svizzero opera nei confronti della generazione precedente. Intenso il saggio di Michael Hays che analizza in sequenza cronologica i testi di Tschumi, mettendoli in relazione alle contemporanee opere in fase di elaborazione. Hays riesce a dimostrare come la ricerca di Tschumi inizia a delinearsi all’interno della ricerca dell’autonomia dell’architettura, ovvero di quella ricerca della “funzione critica” che il progetto tende ad assumere nei confronti della cultura che lo circonda, ma specificando con puntigliosa precisione i contenuti delle evidenti differenze rispetto alla generazione di Rossi e Eisenman. Hays riesce inoltre a decifrare, andando molto oltre il solito accenno informativo, le strette relazioni e gli influssi della filosofia francese nel pensiero architettonico di Tschumi. Suggestivo il saggio di Damiani che percorre le fasi della formazione di Tschumi, illustrando l’importanza dei luoghi e delle avanguardie incontrate nel corso degli anni Sessanta. Il testo ospita una stimolante riflessione sul decennio e sull’incrocio delle diverse culture architettoniche tra Londra e New York, mettendo il punto sui decisivi contributi che l’opera di Tschumi apporta al dibattito internazionale. Per certi aspetti mistificatrici, le tesi di Damiani rendono però evidente la storicità dell’ultima avanguardia, trainata dagli scritti di Koolhaas e dello stesso Tschumi.

L’intensità dei saggi si esaurisce con la fase sperimentale dell’architetto, contribuendo poco alla comprensione delle sue ultime esperienze, almeno da Event Cities in poi. Ma non necessariamente è un loro limite. Resta però l’interrogativo sull’effettivo ruolo della sua opera degli ultimi anni, la cui importanza sembra non esaurire la spinta avanguardistica del progetto per il parco de La Villette. A dire il vero, e questo è forse l’inconscio limite del volume, sembra che l’originalità di Tschumi si consumi con il passare del tempo, e si areni laddove si arena lo stesso giudizio dei tre critici.

In sostanza il volume, supportato da una breve ma interessante intervista, fa un lucido punto della situazione che giustamente rivaluta e rilancia la solo apparente “attualità” del lavoro del primo Tschumi. Un lavoro che ha avuto più distratti esegeti che seri continuatori, caratteristica tuttavia storicamente comune a tutti i pionieri della nostra disciplina.

Luka Skansi
luka@hstudio.it

 
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Questa pagina è stata curata da Matteo Agnoletto.






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