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Rischiopaesaggio



Mosè Ricci (a cura di)
"Rischiopaesaggio"
Meltemi, Collana Babele
Roma, 2003
pp167, €16,00

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La concezione conservativa sviluppata in nome della tutela vincolistica, pur salvaguardando zone importanti di territorio, nel tempo non è stata in grado, attraverso una visione progettuale più vasta, di pianificare e controllare le pratiche di trasformazione legate al quotidiano, cioè quegli schemi di funzionamento e quelle espressioni comuni che giorno dopo giorno in maniera insinuante modellano gli spazi del nostro abitare. Queste possono essere riconosciute come tecniche mute di insediamento che si muovono, sfuggendo negli interstizi lasciati liberi tra le maglie passive del vincolo, per trasformare silenziosamente larghe porzioni di territorio; inventando, così, schemi di funzionamento e modi di usare lo spazio sempre complessi, frammentati, spesso contraddittori, a volte anche creativi, legati più a dinamiche di autorganizzazione ed interessi di tipo socio-economico che a chiare strategie di gestione complessiva.

Micro-razionalità pulviscolari, segmentarie, autonome, spesso conflittuali, agiscono autorganizzandosi secondo la logica del minimo sforzo e della massima convenienza, difficilmente controllabili da classi di osservazione a cui sfuggono simultaneità e complessità degli eventi, come pluralità degli attori che si sommano disordinatamente disegnando forme estranee a confini o delimitazioni tutelari.

La molteplicità diventa allora la chiave di lettura delle trasformazioni come dello stato del contemporaneo: moltitudini di popolazioni, varietà di tempi, diversità identitarie, miriadi di interessi, diversità di funzioni, ma anche complessità istituzionali e normative si sovrappongono velocemente componendo geografie plurali in continua mutazione. Nel rinnovato interesse cresciuto in questi ultimi anni intorno al dibattito internazionale sui temi del paesaggio, si inserisce questo contributo, a cura di Mosè Ricci, che, attraverso una stimolante analisi sui processi di formazione, costruzione e consolidamento delle forme paesistiche contemporanee, formula una linea di ricerca in grado di coniugare le istanze di tutela e salvaguardia, proprie della tradizione italiana di valorizzazione dei beni culturali, con le dinamiche trasformative del territorio, dinamiche che si legano ad abitudini e comportamenti spesso complessi e irriducibili a chiare e cristallizzate tassonomie di identificazione.

[22nov2003]


Paesaggi ordinari.


Paesaggi commerciali.

Paesaggi del consumo, paesaggi/parco della colonizzazione turistica, paesaggi dell’abbandono postindustriale, nuovi paesaggi agricoli, paesaggi dell’attraversamento infrastrutturale, paesaggi balneari, paesaggi migratori, paesaggi enclaves residenziali, paesaggi dell’abuso (presentati dalle ricerche sul campo di Fabrizia Ippolito, Stefano Capocaccia, Paola Cannavò e dalle fotografie di Francesco Jodice), appaiono come le cartoline dei non-luoghi nazional-popolari che si sono composti ecletticamente nel tempo investendo l’immaginario collettivo (chiara la descrizione del Designer Outlet Village di Serravalle Scrivia, piccolo villaggio commerciale, che riunirebbe i desideri di un numero di visitatori 6-8 volte più alto dei frequentatori di Pompei o di Villa Adriana a Tivoli!). Questi fenomeni di territorializzazione appaiono in contrapposizione ai paesaggi della conservazione che, valutati come testi documentari eccellenti, vengono sottratti ad ogni azione di alterazione e stimati come isole blindate ad alto valore di integralità, una sorta di vuoto connettivo tra oasi piene. Alla sfida dell’ordinario e del banale le politiche di tutela hanno spesso rinunciato alla dimensione progettuale di indirizzo e di sviluppo per la velocità del cambiamento e l’incapacità di osservazione ed interpretazione dei fenomeni in movimento: il lavoro di ricerca (in continuità con il precedente Cento occhi) nasce appunto dal riconoscimento del valore identitario di questi paesaggi ordinari, ma anche dalla percezione della loro estrema fragilità perché indifesi da vincoli tutelari e, quindi, più deboli perché maggiormente esposti alle pressioni antropiche e insediative.

Il tentativo innovativo è quello di esplorare le possibilità di trasferimento per l’applicazione metodologica ai contesti paesaggistici locali del sistema della Carta del Rischio, progetto messo a punto dall’Istituto Centrale per il Restauro per l’analisi ed il rilevamento dei fattori di pericolosità ambientale ed antropica sui Beni Culturali. Lo studio cerca in questo senso di formulare un’ipotesi per coniugare le politiche di tutela con uno sviluppo sostenibile e partecipato, facendo propria la visione patrimoniale emergente dalla Convenzione Europea del Paesaggio che, aldilà di ogni nozione giuridica statica e parziale, considera tutti i paesaggi come categoria integrale, espressione di qualità identitarie e di sistemi di relazioni collettivi costruiti nel tempo attraverso “processi di accumulazione selettiva che hanno agito nel tempo” (A. Clementi).

 

Paesaggi dell’abbandono come risorsa identitaria.


Paesaggi dell’abbandono come risorsa identitaria.


Livelli di vulnerabilità antropica del paesaggio per fenomeni di illegalità ambientale.
 
Paesaggi balneari.

Il testo si compone di un saggio introduttivo di Angela Ferroni, di un corpo centrale di Mosè Ricci, che descrive gli scenari della mutazione per poi introdurre l’analisi dei fattori di pericolosità e di vulnerabilità del paesaggio nei presupposti come nei suoi caratteri fondativi, dei saggi con le ricerche sul campo di Fabrizia Ippolito (paesaggi ordinari), Stefano Capocaccia (paesaggi popolari), Paola Cannavò (paesaggi abbandonati), ed infine del glossario del rischio di Laura Clerici che ne mette a sistema le parole chiave. Il libro propone, alla narrazione testuale, un secondo livello di indagine per immagini, intervallando alle foto di Francesco Jodice, che disegnano questo itinerario di scenografie ordinarie passeggiando tra stabilimenti balneari, infrastrutture a grande scorrimento, ipermercati di provincia, proliferazioni residenziali, a schede cartografiche che delineano la metodologia di ricerca, mostrando come si compone il mosaico dei fattori di rischio secondo gradienti di pericolosità.


Paesaggi commerciali.

Rischio, vulnerabilità, pericolo, fragilità, instabilità, transitorietà sono alcune delle parole chiave che nel testo frequentemente emergono o, per assonanza, si combinano mentalmente: ormai inserite come categorie del sociale come della cultura materiale contemporanea, si associano a concetti come complessità, disordine, catastrofe o caos, costituendo un vero e proprio bestiario di paure e ossessioni su cui ruota l’intera organizzazione sociale e spaziale. Sono proprio le devianze dalla normalità, gli incidenti, le sorprese che spesso decretano il fallimento di modelli normativi a controllare staticamente una realtà sempre complessa, dove è illusoria ogni pretesa di conoscenza di tutti gli elementi del sistema e delle relazioni che li legano. Nel passaggio dalle analisi del rischio deterministiche alle analisi del rischio probabilistiche emerge in questo senso la consapevolezza che non si può raggiungere la sicurezza assoluta: e allora diviene centrale la distinzione tra il concetto di rischio e quello di pericolo, per cui l’eventuale danno sarebbe determinato internamente alle scelte stesse o da fattori esterni alle decisioni.

Alle valutazioni sul calcolo, sulla percezione e stima del rischio, si sommano anche l’accettazione e la selezione attraverso processi decisionali e calcoli razionali: il rischio diventa insomma un modello descrittivo delle società contemporanee. Al di là di forme di pietrificazione delle culture o di museografia del mondo, ferite cristallizzate dal passaggio del tempo, la percezione del rischio può informare in senso innovativo il disegno di sistemi di prevenzione che sappiano includere la dimensione del quotidiano, una capacità progettuale cioè di scegliere interpretando strategie, pratiche, fenomeni attraverso uno stato di permanente previsione dagli esiti sempre inattesi.

Lorenzo Imbesi
lorenzo.imbesi@uniroma1.it
   
 

Questa pagina è stata curata da Matteo Agnoletto.






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