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È
un libro sui progetti di un personaggio forse più noto per il suo ruolo
culturale che per la sua attività professionale di architetto, attività
assolutamente non secondaria e, come si può constatare scorrendo le
pagine, molto feconda, di alta qualità e in piena fase di maturazione.
Il libro su Franco Zagari, che è il terzo della collana "architettura
oggi - nuove tendenze" diretta da Luigi Prestinenza Puglisi per
i tipi di Testo & Immagine, comincia con una lunga e approfondita
presentazione di Livio Sacchi che situa Zagari all'interno del panorama
italiano raccontando l'intera evoluzione dei progetti fino a quelli
ancora in cantiere e agli ultimi concorsi vinti. Nella seconda parte
troviamo dieci schede di opere costruite dal suo studio di architettura
in cui da anni operano Alessandro Villari, Lorenza Bartolazzi e Claudia
Clementini cui sicuramente va parte del merito. Sono interventi che
spaziano da parchi e giardini "naturali" a spazi pubblici
decisamente "minerali" con oggetti che crescono fino a diventare
in alcuni casi vere e proprie architetture.
Sono progetti positivi, capaci di grande ironia e allo stesso tempo
profondi, sperimentali e professionali. Le schede sono affiancate da
pochi disegni, molte fotografie e molte informazioni su materiali e
dettagli. Stupisce la mole dei progetti costruiti, e vedendoli insieme
si riescono a riconoscere le evoluzioni di alcuni temi ricorrenti come
le serie degli oggetti d'arredo, i giochi cromatici, le sperimentazioni
sulla natura e poi il tema delle architetture di percorso, che mi è
sembrato uno dei più interessanti. Il progetto più recente, quello per
il Lungomare Faleria a Porto Sant'Elpidio, è una passeggiata lungo la
spiaggia che riprende il tema delle pavimentazioni "deformanti"
già sperimentati a Catanzaro sulla base dei quadri di Victor Vasarely
e a Villa Lante al Gianicolo come deformazione antiprospettica.
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[26mar2004] |

Porto Sant'Elpidio.
La promenade: travertino a doghe e resina.

Porto Sant'Elpidio.
Le oasi pavimentate in legno in Ipé.
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Porto Sant'Elpidio.
La promenade: travertino a doghe e resina.
Ma qui il percorso
si presenta come un semplice nastro artificiale appoggiato sulla sabbia.
Un suolo longitudinale che come una scultura di Carl Andre si appoggia
sul paesaggio come un sottile oggetto minimale, una strada quasi senza
spessore su cui compiere l'esperienza del percorso.
 
Klee e
lo spazio medioevale, piazza Marconi, Brisighella, 2001: la via
degli Asini e planimetria dell'intervento.
A differenza dei suoli optical precedenti che fungevano da
supporto ad altri oggetti di arredo, in questo caso l'assenza di altri
elementi permette di concentrarsi sul camminare, la pavimentazione
sembra l'impronta di una ruota in frenata che stimola una continua
accelerazione e decelerazione dell'andatura. È ancora un'architettura
di percorso quella che disegna la piazza-strada di Piazza Marconi
a Brisighella. Anche qui l'economia di mezzi è a favore di un effetto
molto forte prodotto dal disegno "alla Klee" della pavimentazione
a piani inclinati. Sulla piazza inoltre si affaccia la via degli
asini, una via-portico che ondeggia come il dorso degli animali.
È un suolo morbido e pulsante che ricorda quello orografico di Piazza
Montecitorio, un omaggio al camminare sulle superfici di Roma e alle
loro continue variazioni che si modellano come la pelle di un pachiderma
di sampietrini. Piazza Montecitorio è il progetto forse più importante,
ottiene giustamente la foto di copertina e alla fine del libro è oggetto
di una sorta di appendice che ricorda le dolorose polemiche che lo
hanno accompagnato.

Piazza Montecitorio,
Roma, 1998.
 
Opera di Victor
Vasarely e particolare di Piazza Matteotti, Catanzaro.
Alle parole sgarbate del benpensantismo conservatore rispondono
una calorosa e accalorata difesa di Francesco Cellini, quella da romano
occasionale di Pasqual Maragall, una aulica descrizione del progetto
di Franco Purini e la affettuosa preoccupazione per una Roma eternamente
quasi intoccabile di Elias Torres.
Dalle pagine del libro si comprende che Zagari è un architetto che
fa ricerca, uno studioso che ha saputo costruire pezzo per pezzo il
proprio campo disciplinare e che è anche riuscito -fatto assai raro
nell'attuale mondo accademico italiano- a sperimentare nella realtà
della città le potenzialità delle sue ricerche. Negli anni Ottanta,
quando il dibattito si appassionava ancora a parole come tipologia
e morfologia, tessuto e monumento, Zagari nell'ombra impegnava le
sue energie a reintrodurre la parola "paesaggio" nel lessico
dell'architettura, si interrogava sulle possibilità del progetto del
giardino contemporaneo, riportava a riflettere sul rapporto natura-artificio.
"Un lavoro progettuale, scientifico e didattico pionieristico
-scrive giustamente Livio Sacchi- un compito, questo scelto da Zagari,
certo difficile; ma anche un vastissimo spazio operativo, fisico e
culturale, da occupare e dissodare, caratterizzato da infinite potenzialità
e da estesi ambiti di sperimentazione. (...) Un lavoro capace di valicare
le tematiche di tutela e conservazione storico-ambientale, superare
l'idea di contesto e andare oltre le talvolta meccaniche logiche della
cultura ecologista; una riscoperta che si pone come una nuova forma
d'interpretazione dello spazio contemporaneo." Un pioniere dunque,
e il suo ruolo non si è solo limitato riportare l'attenzione sul paesaggio
ma anche su quella vasta area di discipline che dal paesaggio si dischiudono.

Piazza XIX
marzo, Cisterna di Latina, 2002.
Zagari è infatti un personaggio curioso che ha sempre guardato con
interesse alle innovazioni e alle contaminazioni tra l'architettura
e le altre discipline. Nei primi anni Novanta a Roma il suo era l'unico
corso in cui accanto ai giardini si vedevano sculture, installazioni
e le prime immagini di quelle strane architetture che in seguito avremmo
chiamato decostruttiviste. Era il corso in cui era obbligatorio fare
plastici, che agli esami accettava i primi orribili disegni al computer,
l'unico in cui veniva nominato Massimiliano Fuksas.
Ma soprattutto era il corso in cui attraverso il paesaggio si parlava
di periferie, di spazio pubblico, di rapporti con le arti visuali,
di land art. Franco Zagari aveva infatti riaperto una porta
che forse era rimasta solo socchiusa dopo una millenaria tradizione
di parchi e giardini, e fuori da quella porta aveva incontrato un
territorio ampio, ramificato, eterogeneo e per sua natura interdisciplinare.
Attraverso la parola paesaggio si era aperta una possibilità per stare
all'aperto, nella natura oltre l'edificio ma anche in
territori disciplinari oltre l'architettura, e tengo a dire
che per quella porta in molti hanno trovato una via di uscita da un
annoiato e intorpidito mondo accademico. Il libro parla di quella
porta e questi primi progetti sono solo i primi risultati di quella
che sembra essere una ricerca che darà ancora molti frutti.
Francesco Careri
piccio@osservatorionomade.net
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