home > books review

Books Review

Architettura e nulla. Oggetti singolari



Jean Baudrillard, Jean Nouvel
"Architettura e nulla. Oggetti singolari"
Electa Mondadori, 2003
pp77, €15,00

acquista il libro online!



Simmetrico ad Architettura e nulla. Oggetti singolari –raccolta di due conversazioni tra Jean Baudrillard e Jean Nouvel– è Eupalino o l'Architetto di Paul Valéry. Entrambi composti sottoforma di dialogo –il primo tra l'autore dell'Institute du Monde Arabe e uno dei più mediatici pensatori contemporanei; il secondo tra le anime di Socrate e Fedro– ed entrambi orientati a discutere intorno al senso dell'architettura come pensiero teorico investigativo e come techné, i due testi si osservano a distanza, si richiamano inverosimilmente l'uno con l'altro, si assomigliano e si completano. Ma si tratta di una simmetria assolutamente imperfetta.

Mentre in Eupalino si focalizza, nella tradizione dell'architettura classica, la volontà di perseguire l'immortalità non concessa all'uomo tramite l'esercizio del costruire, in Architettura e nulla. Oggetti singolari è compiuta un'intensa devastazione concettuale all'interno della contemporaneità, originando una frattura decisiva. In termini puramente architettonici, si può affermare che al pieno è sostituita la trasparenza, alla gravità la leggerezza, agli "equilibri magnifici" l'instabilità. Se Eupalino insegna la sintesi di una visione consolidata dell'architettura come arte del costruire la dimora del "corpo", strutturata per mezzo di proporzioni armoniche, "ordini e numeri", "profili e volumi", la disputa tra Nouvel e Baudrillard ne genera un traumatico ribaltamento. Un universo classico, quello descritto da Valéry, dove la centralità della figura umana resta ancora primaria. Ciò che invece Nouvel e Baudrillard denunciano è il trapasso a cui la modernità sembra averci definitivamente condotto, sostituendo alla corporeità e alla fisicità l'illusione e l'effimero. Per Jean Nouvel infatti "l'ordine che è stato alla base di ogni principio dell'architettura è diventato inutile nella contemporaneità… da questo momento in poi dobbiamo ricorrere ad altre strategie".

Avviata come processo di disgiunzione dagli approcci fondati su parametri spaziali e funzionali, tale abdicazione dalle norme trova una sua dimensione autentica in esperienze alternative, che utilizzano strumenti estranei all'architettura, disperdendone così quel significato storico contenuto nelle parole di Socrate: "l'opera –conforme alla verità– dichiara fortemente la sua destinazione severa". Ed è proprio l'architettura come verità a venire oggi rifiutata. Jean Baudrillard ribadisce che "non si può parlare di verità o di finalità dell'architettura", seguito dalla sentenza di Nouvel sulla perdita di autonomia dell'architettura: "possiamo fare architettura senza possedere un sapere architettonico. Senza guardare indietro alla storia".

[19feb2004]

Marcel Duchamp, ruota di bicicletta (1913).


Yves Klein, Monochrom Blue, IKB 181 (1956).


James Turrell, Afrum I (1967).
Proiettati in una società governata dalla dittatura dello spettacolo e dalla povertà dell'immagine svuotata di ogni poetica, occorre –e qui si formula la tesi fenomenologica sviluppata dai ragionamenti emersi nel libro– individuare altri meccanismi e altri punti di arrivo. Interrotta allora l'epoca dei trattati e dei monumenti, Baudrillard e Nouvel occultano le precedenti categorie con una classe speciale di oggetti: les objets singuliers. Contro il valore, la cultura, l'estetica, i tre dogmi di una società frammentaria e onnivora, si oppone l'oggetto singolare, il "nulla, tre volte nulla", il punctum barthesiano più volte rievocato da Baudrillard. Ciò che interessa è il segreto delle cose, inteso come idea "inesplicabile" e "non trasmissibile".

A una cultura indirizzata verso la "leggibilità totale di ogni cosa" contrasta la relazione singolare degli oggetti. Relazione singolare che rende praticabile –come il punctum fotografico– "il nonluogo, il nulla, ciò che scompare". Peculiarità di tali nuovi idoli della ricerca attuale è la loro capacità di "creare, nel pieno della metastasi della cultura, dei buchi, degli interstizi, dei vuoti". Ma gli oggetti singolari sono tali perché si differenziano dagli altri tipi di oggetti, per essere privi di riferimenti e allo stesso tempo iperspecifici. La loro qualità è di essere "oggetti non identificabili", trasmettitori di una "condizione enigmatica", deviante rispetto agli insiemi delle cose immerse in una realtà sovraestetizzata, quella di oggi, dove tutto è saturo di valori e di estetica. In tale coacervo, solo "un evento puntuale ci potrà colpire". Deviando –anche da nozioni analitiche quali la tipologia o la morfologia– gli oggetti singolari seducono.

È il medesimo procedimento azionato dal cinema, dal quale non a caso Nouvel estrae le sue personali idee sull'architettura. Una seduzione che si applica attraverso le diverse tecniche metodologiche del fare architettonico, basate –e Nouvel ne rappresenta l'artificiere più dotato– sulla dissolvenza e la riflessione delle superfici, sulla smaterializzazione e sull'evaporazione dei materiali, sulle interferenze tra materia e luce, al fine di sperimentare effetti apparenti e virtuali (l'uso del vetro alla Fondation Cartier o dei monomatière mutante alla sala filarmonica del Lussemburgo). Niente a che fare con "una costruzione ben ordinata", con la "realtà delle masse", con "le forme calcolate e i giusti intervalli" con gli "oggetti reali" delle argomentazioni espresse nel discorso inventato da Paul Valéry. Gli "oggetti singolari" sono altresì attraversati da una inedita dualità: affinché siano tali, deve sussistere un rapporto doppio dato dal visibile e dall'invisibile –coincidenti con il luogo e il nonluogo dell'oggetto stesso– comunicando "una di fronte all'altra la supposta realtà di un mondo e la sua illusorietà". E oggetti singolari sono il Beaubourg, lo era il World Trade Center, lo è la città stessa di New York, come lo sono certi dipinti e sculture di Marcel Duchamp, Andy Warhol, James Turrell.

 

Frank Owen Gehry, Guggenheim di Bilbao (1997).


Jean Nouvel, Fondation Cartier, Parigi (1994).

Minoru Yamasaky, World Trade Center, New York (1970-2001).


Renzo Piano, Richard Rogers, Beaubourg, Parigi, 1977.

Sono oggetti contraddittori, non suscettibili di una interpretazione univoca, portatori di "letteralità", vista come la "presenza di una forma singolare non traducibile in un'altra forma". Beaubourg, profetizzando la dominazione mercificata dell'arte, ha anticipato ciò di cui la cultura è morta. Il World Trade Center, configurandosi nella verticalità di New York era la città stessa, ma ne denotava pure la sua violazione: essendo il grattacielo una ripetizione della metropoli, ne consuma la sua "esclusività". Le Torri gemelle esprimevano inconsciamente la fine della città e il destino della sua forma singolare, oscurata dalla "architettura clone". Mentre non è ascrivibile ad oggetto singolare il Guggenheim di Bilbao perché appunto senza "letteralità": i suoi elementi costitutivi stabiliti inizialmente dal computer sono riproducibili all'infinito, innescando una concatenazione di forme similari.

È tale deviazione impressa dall'architettura di questi ultimi anni –spiegabile anche come "percezione del sensibile dal materiale all'immateriale"– a segnare la rottura col passato: la destabilizzazione del progetto, attingendo ai nuovi materiali (vetro sabbiato, facciate pixellizzate, elementi naturali), provoca la mutazione dell'oggetto, scardinando la solidità e il rigore degli edifici "che cantano" ammirati da Socrate e Fedro. Il manifesto di Baudrillard e Nouvel accosta in tal modo l'architettura all'arte, spostandola al di fuori dei tre principi fondamentali dell'utilità, della bellezza e della durata, enunciati da Socrate: come davanti ai quadri di Yves Klein il pubblico subisce il fascino del nulla, anche in architettura "non è più l'occhio che consente di godere, ma lo spirito".

Ma se il nulla è divenuto qualcosa, e in particolare quella cosa che non è estetizzata e che quindi rivela le variazioni possibili dell'immagine, l'arte del nulla è l'arte della sparizione. E dunque non più gli oggetti reali, ma l'idealità degli oggetti appartiene al nostro operare, spogliando l'architettura di verità e di memoria. A un predeterminato impalcato compositivo è ora subentrata "l'eccezione per confermare la regola". L'eccezione in quanto oggetto singolare non acclama più nessuna politica. Davanti alla recente dissipazione di ogni controllo sulla forma, l'architettura necessita di una rinnovata, e altra, legittimità dei propri contributi disciplinari, di un revisionismo non radicale, bensì critico.

Matteo Agnoletto
agnoletto@architettura.it
 

La presente recensione è stata originariamente pubblicata in "Rassegna di Architettura e Urbanistica", 110/111, maggio-dicembre 2003.

Questa pagina è stata curata da Matteo Agnoletto.






Per proporre o recensire pubblicazioni
è possibile contattare la redazione di ARCH'IT
all'indirizzo booksreview@architettura.it


laboratorio
informa
scaffale
servizi
in rete


archit.gif (990 byte)

iscriviti gratuitamente al bollettino ARCH'IT news







© Copyright DADA architetti associati
Contents provided by iMage