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Radicalmente



Riccardo Dalisi
"Radicalmente. Tornare ai fulcri generativi dell'architettura"
Editore Kappa, 2004
Collana Percorsi diretta da Michele Costanzo
pp128, €18,00

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Quando ho conosciuto Dalisi alla fine degli anni '60, la sua fama era stata preceduta dalla vivacità di un altro amico napoletano, Almerico De Angelis, che aveva portato all'interno dell'atteggiamento complesso e cinico del gruppo storico dei radicali fiorentini, il segno dell'irruenza e della spontaneità, tipiche di una città che ha sempre vissuto in presa diretta ogni passaggio della sua storia. L'incontro con Dalisi è stata un po' una sorpresa (d'altra parte "la mossa del cavallo", lo spiazzamento, non era nel DNA dei radicali?), perché dopo aver conosciuto parte della sua attività attraverso i suoi scritti su Casabella e IN e i racconti dello stesso Almerico, confesso che mi immaginavo tutt'altra persona, non certo quel signore dall'aria un po' dimessa, delicato e distinto, con camicia bianca e vestito di grisaglia. Mi sono venute in mente le figure altrettanto modeste ma di grande forza "mistica", comunicativa e organizzativa, di Danilo Dolci, di Munari, del maestro Mario Lodi, tutti personaggi dell'Italia postbellica, neorealista, legati ad un concetto autarchico, tutto interno alle logiche di un Paese con grandi percentuali di analfabetismo e larghe sacche di povertà, da ricostruire sia fisicamente che culturalmente.

Così mentre noi guardavamo ai modelli contemporanei inglesi e americani ed eravamo intenzionati a travalicare i limiti di una geografia locale per accettare il confronto e prefigurare l'idea di una globalizzazione dei processi economici e culturali, Dalisi si rivolgeva ai bambini, ai ragazzi agli studenti del rione Traiano, coinvolgendoli in una trasformazione diretta, artigianale, fantastica liberatoria, delle strutture "repressive" dell'architettura della città. Come scriveva Branzi nel 1974, "Dalisi guida... la scoperta dell'energia creativa (o costruttiva) dell'Ignoranza (o dello stato Selvaggio). Operando esperimenti di didattica spontanea di gruppo e anche di provocazione attraverso prototipi offerti alla manipolazione, Dalisi agisce finalmente senza alcun metodo... Senza alcun metodo e senza alcun destino."

[20nov2004]

Riccardo Dalisi.


Rua Catalana, Napoli.


Caffettiera La bella italiana (Alessi, 1987).

Bicchiere.

Con queste osservazioni si voleva indicare non l'ennesima ricerca didattica basata sullo spontaneismo, o l'altrettanto abusato sfruttamento di una artisticità vernacolare, ma segnalare che, lavorando di fatto alla liberazione della creatività collettiva, Dalisi mostrava il valore scientifico di un operazione volta a sondare l'interno di uno spessore inesplorato di energia. A patto, prosegue Branzi, di non intravedere in tutto ciò una possibile profonda coincidenza, "una identità ideologica tra tecnica povera e guerriglia urbana. I meccanismi non sono gli stessi". La scoperta della tecnologia povera, le tecnologie contadine, il design spontaneo, presuppongono un diverso rapporto tra l'uomo e le tecniche e tra la cultura e la creatività. Un rapporto teso al superamento dei codici estetici ufficiali e dei miti tecnologici, per la sperimentazione di un uso privato e funzionale del fare artistico, volto non alla rappresentazione di valori universali ma alla costruzione, come sistema espressivo legato alla spinta creativa del gruppo o dell'individuo. "Esattezza o autenticità?" si interroga Dalisi, affermando di essersi sempre battuto per la seconda, che non si può insegnare, ma che dobbiamo cercare di perseguire, con lo sforzo di essere il più possibile veri, con il meno possibile di sovrastrutture.

Il che conduce all'affermazione del motto "progettare senza pensare" che destruttura il progetto e di fatto lo collega con tutta la ricerca surrealista prima, poi con quella dada e più recentemente con l'esperienza situazionista, che vedeva nel metodo della derive una possibile tecnica di liberazione dalle sovrastrutture di un sistema, che aveva assunto la razionalità della macchina a modello della società e quindi dei comportamenti. È in questo senso che dobbiamo leggere il suo continuo interesse nel "coinvolgimento animativo" dei bambini e degli studenti, come soggetti ancora liberi da condizionamenti, capaci di avere uno sguardo ingenuo, immediato sulla realtà, che, ci dice Dalisi, è molto più fiabesca e fantastica di quanto i miti della tecnologia vogliono farci credere. Così la città può tornare ad essere delirious, come la New York descritta da Koolhaas o la San Gimignano, fitta di torri, che ancora appare nella nebbia delle colline senesi come monstrum più visionario di ogni possibile utopia urbana; a patto di esercitarvi quell'uso "libero, creativo, immaginifico (profondamente sociale) del territorio", che ha accomunato Dalisi alle contemporanee ricerche e ai progetti di Archizoom e Superstudio e poi ancora di Sottsass e degli altri protagonisti del movimento dell'architettura radicale.

Infatti ci ritrovammo tutti riuniti nel 1973 per dar vita ad un progetto di laboratori aperti "Global Tools", che dopo la riunione fondativa nelle stanze di "Casabella" a Milano, vide la sua prima sessione operativa, a cura di Superstudio, presso la chiesa sconsacrata di Roberto Magris, sulla collina di Sambuca in Val di Pesa. La sessione si concluse appunto a sera inoltrata con il lancio verso Firenze di una mongolfiera di carta costruita con i bambini e gli studenti del primo Laboratorio. In realtà con la partenza della mongolfiera si concludeva la vita ufficiale di Superstudio, che vedeva nella storicizzazione delle attività e dei progetti di operatori tra loro anche molto diversi in un unico movimento chiamato "architettura radicale", una chiara volontà politica di emarginazione di una differente visione dell'architettura.

 
 
Rua Catalana, Napoli.

  Tutti questi progetti e ricerche saranno infatti globalmente liquidati nella Storia dell'architettura contemporanea di Tafuri-Dal Co dalla caustica definizione di "internazionale dell'utopia", mentre tutto l'interesse si spostava sulla restaurazione disciplinare posta in atto dalla Tendenza e dalla pressoché parallela attività storicista delle scuole veneziana e romana. L'eredità dell'architettura radicale non andrà dispersa ma sarà comunque raccolta dai più attenti architetti d'oltralpe, da Koolhaas a Tschumi, attraverso i canali dell'Architectural Association di Alvin Boyarsky.


Mariposa, panchina in metallo per giardino (Zanotta, 1989).

L'attività di Dalisi invece per niente disturbata da tale riduttiva definizione non si è arrestata, ma anzi dopo tali incontri è continuata anche con maggior vigore: "I bambini sottoproletari mi hanno preso per mano e mi hanno condotto verso il design, a parte ovviamente la passione per la geometria", racconta nel libro, testimoniando ancora una volta del suo oscillare tra autenticità e esattezza. Inizia da qui una fertile stagione di collaborazione con numerose ditte da Zanotta a Cleto Munari, che lo porterà al Compasso d'oro per la ricerca e ad altri numerosi premi. Del resto Dalisi è abituato alle definizioni del proprio lavoro: architettura dell'imprevedibilità, architettura d'animazione, design povero, design ultrapoverissimo, progettare senza pensare, rappresentano altrettante tappe di un percorso di ricerca che utilizza il progetto come attività critica, con il fine di mettere a nudo il lato fantastico della realtà. Ci si avvia quindi alla conferma di quel superamento degli steccati disciplinari che era stato nelle premesse delle avanguardie e che sempre di più oggi si pone come paradigma di una stagione dell'architettura, che opera appunto il giuoco della metamorfosi, cercando di sfuggire definizioni e nuovi steccati.

È così che un'auto può diventare un "peperone", una bella forma allungata e asimmetrica, una casa può avere ali bianche e leggere come quelle di una farfalla, mentre l'ingresso ad un tunnel diventa l'occasione per mettere a nudo la fantastica struttura di uno scheletro di drago, che ci introduce al di là del buio della galleria-stomaco verso una città altrettanto fantastica. Il messaggio quindi che trasmettono le pagine di questo libro è tutto racchiuso in una frase di Dalisi: "Lo sforzo, la grande sfida è nello sguardo", che ci avverte di come per questa lettura della realtà, come della metropoli in senso meno tecnologico ma più partecipato e fiabesco, conviene ripartire da uno sguardo ingenuo, disponibile, incline alla metamorfosi fantastica quale quello dei bambini, dei ragazzi, degli studenti.

Cristiano Toraldo di Francia
c.toraldodifrancia@tiscali.it

 

       

Questa pagina è stata curata da Matteo Agnoletto.






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