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Dutch
touch. Sulla seconda modernità in Olanda |
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Michele Costanzo, Hans Ibelings "Dutch touch. Sulla seconda modernità in Olanda" Kappa, Roma 2004 Collana Percorsi pp144, €18,00 acquista il libro online! |
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Negli otto saggi che compongono il libro, il lettore ha modo di comprendere
le motivazioni del successo dell'architettura olandese negli anni '90.
Ai curatori interessa mostrare il "decennio" come una fase
già conclusa e storicizzata della storia dell'architettura e analizzarlo
partendo da questa premessa. Sembra che essi vogliano istituzionalizzare
quegli anni alla vigilia della loro fine. E segnare il nuovo periodo
di crisi con la perdita delle condizioni che li hanno resi possibili.
Il libro, quindi, non si concentra tanto sulla produzione olandese,
quanto sulle contingenze che l'hanno resa possibile e sulle previsioni
di un futuro incerto. Esso pone l'attenzione ad una fase storica che
si vuole ormai conclusa, tradendo una piccola nostalgia del passato
prossimo. Il decennio è fatto iniziare nell'89 con la caduta del muro di Berlino e finire con l'attentato dell'11 settembre. In questo periodo, osserva Michele Costanzo, si registra un epocale passaggio per la scena edile olandese: l'accantonamento della figura dello stato-imprenditore a favore dell'iniziativa privata, quest'ultima ritenuta la sola a poter far fronte allo sviluppo del mondo globalizzato. L'operatore pubblico assume così il ruolo di coordinatore ed intermediatore tra tutela e governo della cosa pubblica e logica del profitto privato. Se l'Olanda era stata sempre l'esempio dell'efficienza dell'intervento pubblico, amministrativo ed operativo, per un secolo, ora sembra non riuscire a contenere l'entusiasmo di una new economy dai tempi accelerati. |
[05jan2005] | |||
Hans Ibelings trova in cinque fattori il motivo del successo olandese:
"prosperità economica; un volume sempre cospicuo di incarichi;
istituzioni che si sono impegnate in ogni modo per un'architettura di
qualità; e l'esistenza di una numerosa schiera di architetti di talento...
l'attenzione internazionale (dei media)» (pag. 13). Questi motivi sono
serviti a creare una "seconda modernità" olandese, chiamata
anche "supermodernità". La nuova economia capitalistica ha
saputo comprendere nelle strategie di mercato il valore estetico e simbolico
dell'architettura d'avanguardia (o meglio di grido), dando la possibilità
a studi giovani di realizzare. Istituti come il NAI (Istituto di Architettura
Olandese) si è preoccupato di promuovere il lavoro degli studi più promettenti
grazie a circa dieci milioni di euro annuali stanziati dallo stato!
Gli studi, a loro volta, non si sono mai sottratti agli incarichi: anche
quando questi imponevano un costo troppo basso per un'architettura di
qualità, si sono ingegnati trovando un'estetica adatta a materiali deperibili
o poveri. La sperimentazione ha accompagnato quindi un progetto positivo
di costruzione e ottimismo. Ton Verstegen indaga a fondo il periodo. Sostiene che la capacità dell'architettura olandese a sapersi imporre dipende anche dal suo connaturato internazionalismo, dovuto all'accettazione in anticipo del corso degli eventi della globalizzazione. Chi ha guardato all'Olanda in questi anni, continua, ha trovato una lingua internazionale, comprensibile, lo specchio dell'occidente capitalista. E aggiunge che se negli anni '80 si guardava a Venezia con i suoi studi sulla tipologia e morfologia, negli anni '90 si è guardato all'Olanda con le sue ricerche sulla topologia e dinamica, sui diagrammi e il framing, concetti presi in prestito dalla filosofia francese post-strutturalista. |
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Rem Koolhaas, Kunsthal, Rotterdam (1987-1992). Gabriele de Giorgi scrive delle basi didattiche di architetti quali Hadid e van Berkel. Di quest'ultimo descrive la metodologia progettuale basati sul diagramma, e dei progetti che ne conseguono. In particolare: se l'architettura italiana guardava alla progettazione come sforzo corale di dialogo nella città, quella olandese ha trovato nell'autopoetica e nella sua atopia (indipendenza dal contesto) il suo orizzonte di possibilità ed aspettative. Questo non significa un irresponsabile rifiuto dello spirito dei luoghi, ma un rifiuto del progetto come utopia, come elemento risolutore dei problemi globali. All'inevitabile pessimismo intellettuale che consegue alla speranza di cambiare il mondo, gli olandesi oppongono l'ottimismo dell'agire.
Marieke van Rooij osserva che i temi quali il luogo, il contesto e
l'identità, non hanno più interessato la ricerca architettonica in
seguito alla globalizzazione, che ha invece imposto di concentrarsi
sulla densità e la congestione, l'artificiale, la transculturalità,
la mobilità, la contaminazione... temi teorizzati negli scritti di
Koolhaas (S,M,L,XL) e degli MVRDV (Farmax e Metacity).
Le ricerche degli studi sembrano quindi accompagnare il mondo dello
scambio e del commercio cercando di dare a questo un volto, un logo
o una forma che lo inquadri storicamente. Koolhaas descrive questo
seguire la globalizzazione: alla nozione di identità in architettura
si sostituirà l'entità del singolo progetto. Ad una indeterminatezza
programmatica di ogni edificio, che accomoda le richieste di mercato,
viene proposta una specificità architettonica che lo marca come simbolo
vendibile. L'edificio assume così le caratteristiche di un prodotto
commerciabile, e, se il commercio è globale, adotterà un linguaggio
che tutti possano capire. La Generic City e la Bigness
sono le ciniche previsioni degli scenari futuri. |
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Questa pagina è stata curata da Matteo Agnoletto. laboratorio
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