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Giuseppe Terragni: trasformazioni, scomposizioni, critiche

 


Peter Eisenman
"Giuseppe Terragni: trasformazioni, scomposizioni, critiche"
Quodlibet, 2005
pp. 302, €70,00

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1. DA TERRAGNI A TERRAGNI. "Tutto è iniziato nel momento in cui sono arrivato a Como per la prima volta": tale il consueto refrain dei racconti di Eisenman, qualora lo si inviti a ripercorrere le principali tappe della propria formazione. È l'estate del 1961, ed Eisenman, arrivato in Inghilterra nel 1960, si è da non molto iscritto a Cambridge. Presso l'università inglese, in quegli anni, insegnano tra gli altri Stirling, Colquhoun e Peter Smithson. Vi insegna però soprattutto Colin Rowe.

  [06mar2005]



È insieme a questi che il giovane Peter intraprende un lungo viaggio per l'Europa che, dall'Olanda, lo conduce sino all'Italia. Ed è proprio in Italia, dinnanzi alle architetture di Palladio e ancor più di Terragni, che –questo quanto lui stesso narra– avviene nel giovane architetto del New Jersey una sorta di illuminazione. Sarebbe l'impatto con tali architetture a suggerirgli la necessità di sottoporre ad analisi i fondamenti formali dell'architettura. Non è qui il caso di tentare di render conto di come l'incontro con le opere di Palladio e Terragni abbia in fondo stimolato qualcosa che già covava nella mente di Eisenman. Certo è che sin dai primi scritti –su cui non va certo trascurato l'impatto della lezione di Rowe e, tramite lui, di Wittkower– il suo interesse si incentra sulla questione della forma in architettura. La sua tesi di PhD verte come noto sul tema: The Formal Basis of Modern Architecture; e il suo primo articolo, uscito nel 1963 su "Architectural Design", è Toward an Understanding of Form in Architecture. Questo precoce interesse mostra la ricerca di Eisenman sotto la luce di una sostanziale continuità: non priva, certo, di deviazioni, sviluppi, assunzioni di nuovi stimoli (da Rowe a Tafuri a Derrida...) e rifiuti di vecchi paradigmi interpretativi, ma pure senza sostanziali fratture. Già nella tesi di PhD risulta chiara ad Eisenman la necessità di confinare in secondo piano tutto quanto condizioni l'architettura senza essere tale. A determinarla altro non possono che essere ragioni a essa intrinseche: tale il postulato implicito di tutta la sua opera, tale la ragione del ruolo privilegiato che vi detiene la riflessione sulla forma.

All'interno di questo discorso, la figura di Terragni occupa un ruolo cardine. Un capitolo della sua tesi di PhD è dedicato all'opera dell'architetto comasco, e negli anni successivi numerosi sono gli articoli che denunciano la persistenza, in lui, di tale interesse e l'intenzione di analizzarne più estesamente, in un libro, alcune architetture. Più volte ne viene annunciata l'imminente pubblicazione; nella seconda metà degli anni '70, i lavori sono a uno stadio così avanzato che ne viene appositamente approntata l'introduzione (Il soggetto e la maschera di Manfredo Tafuri). Ma poi rimane nel cassetto, e su di esso inizia ad aleggiare la fama di un'opera inconcludibile. Finalmente, a quaranta anni dalla discussione della tesi, l'opus magnum di Eisenman su Terragni viene pubblicato per Monacelli Press e ora, in seconda edizione mondiale, per Quodilibet. La distanza dal contesto culturale in cui fu ideato e in cui avrebbe dovuto vedere la luce rende il libro su Terragni un prodotto che intrattiene rapporti complessi con l'attualità. Un prodotto in qualche misura inattuale e anacronistico, ormai in relazione labile con le istanze che lo hanno a suo tempo portato alla luce. L'ideazione del libro è sostanzialmente coeva ai progetti delle Houses I-X (tra il 1967 e il 1975) e all'assurzione di Eisenman a fama internazionale, a partire dalla presentazione dei Five al MoMA di New York nel 1969. E tuttavia, non è un'opera postuma. Spesso è estremamente difficile comprendere cosa Eisenman, rispetto al libro che doveva uscire un tempo, abbia nel frattempo levato, aggiunto, mutato; difficile, se non impossibile.


   
 
Casa del Fascio. Diagramma assonometrico che mostra un centro implicito quale risultato dell'intersezione di quattro piano. Diagramma assonometrico che mostra un centro implicito quale risultato della relazione tra vuoto e pieno. Diagramma assonometrico che mostra l'articolazione di quattro angoli in un vuoto cubico tale da avere angoli dominanti e un centro recessivo. Diagramma assonometrico che mostra angoli pieni dominanti e un vuoto centrale.



2. DA EISENMAN A EISENMAN. "Tutto quello che hai scritto su Terragni non contiene altro che la spiegazione delle ragioni dei tuoi progetti": è con queste parole che Francesco Dal Co si rivolge ad Eisenman nel corso di un recente colloquio. Su questo concorda pure Eisenman: "non si tratta di un libro su Terragni", asserisce infatti senza alcuna incertezza nel medesimo colloquio. Già queste scarne dichiarazioni la dicono lunga su quanto sia difficile leggere Giuseppe Terragni. Trasformazioni, scomposizioni, critiche –questo il titolo del libro, che, nei Ringraziamenti per l'edizione italiana, Eisenman definisce senza meno come la propria "biografia".

Eisenman ha più volte ribadito l'aspirazione a "ridurre ad un grado zero il significato iconico del modernismo e farne un semplice materiale". Tutta l'analisi condotta nel libro su Terragni ha come presupposto la riflessione, intrapresa a partire dagli anni '60, sul carattere linguistico dell'architettura. "A differenza di quanto avviene nel linguaggio verbale –affermava Eisenman in una serie di articoli dei primi anni '70–, le forme architettoniche, i piani, i muri, i colonnati, non sono "segni" ai quali sia stato dato un significato convenzionale ed immotivato". Questo però avviene in misura e modalità diverse. Mentre nell'architettura di Le Corbusier, ad esempio, "l'oggetto non perde mai la sua dimensione semantica", quella di Terragni spoglia "le forme dal loro significato tradizionale per usare invece il modello formale come riferimento sintattico profondo a cui far corrispondere le sue forme specifiche. Dal momento che nell'opera di Terragni qualsiasi iconografia intenzionale è necessariamente ridotta, è possibile vedere le sue forme in una dimensione sintattica e in particolare, nel loro rapporto con l'aspetto concettuale della sintassi"; così, per comprenderla occorre "una variazione di accento critico, che si sposti dall'accento semantico a quello sintattico". La divaricazione della dimensione semantica da quella sintattica dell'architettura non è la condizione di una nuova significazione.

Obiettivo di Eisenman architetto è, anzi, quello di condurre alle estreme conseguenze la loro autonomia. "Il compito per un'architettura concettuale dovrebbe essere non tanto quello di trovare un sistema segnico o un meccanismo di codificazione, dove ciascuna forma in un contesto particolare assume un significato concordato, ma piuttosto appare più ragionevole investigare la natura di quelli che sono stati chiamati universali formali e che sono inerenti ad ogni forma o costrutto formale. Compito alquanto più difficile sarebbe quello di trovare un modo per dare a queste strutture concettuali la capacità di generare significati più precisi e complessi semplicemente attraverso la manipolazione di forma e spazio". Estremamente chiaro risulta, così, l'obiettivo: ridurre la dimensione semantica per "produrre una struttura per il nuovo significato, senza sviluppare un nuovo sistema segnico".

Il fatto che le dichiarazioni di Eisenman sull'opera di Terragni e sui propri personali intenti si intreccino sino a farsi inestricabili conferma e ripropone i problemi già sollevati: il libro ha come proprio oggetto l'opera di Terragni o è piuttosto una dichiarazione d'intenti compiuta attraverso l'esplicazione di alcuni caratteri dell'opera di quest'ultimo? O, ancora: le due cose si escludono necessariamente a vicenda?

   
 
Angolo sud. Diagramma assonometrico in cui si vede la figura piena iniziale in uno stato di erosione che rivela una configurazione a forma di H. Angolo sud. Diagramma assonometrico che mostra il pieno a a forma di H con il centro concepito come una gabbia reticolata che occupa un vuoto centrale. Angolo sud. Diagramma assonometrico che mostra i volumi di centro e di sinistra come additivi. Angolo sud. Diagramma assonometrico che mostra la configurazione a forma di H con una griglia proiettata sui volumi di sinistra e di centro che può essere letta sia come additiva sia come sottrattiva.



3. TRASFORMAZIONI. Il libro si presenta diviso in due parti: la prima dedicata alla Casa del Fascio (Trasformazioni), la seconda alla casa Giuliani-Frigerio (Scomposizioni). Alle altre opere di Terragni, gli accenni sono solo sporadici. Altrettanto quelli all'architettura italiana ed europea dei medesimi anni.

Su entrambi gli edifici viene compiuta quella che Eisenman definisce una "analisi testuale critica". "Qualunque architettura può essere letta in modo testuale. Si può anche affermare che nessuna architettura è intrinsecamente più testuale di altre. Ma l'ipotesi qui postulata suggerisce che alcuni tipi di architettura siano particolarmente aperti a letture testuali che sostituiscono le interpretazioni canoniche con l'uso di un discorso prima di tutto formale, definito all'interno dei parametri di un periodo storico. Ovvero certi edifici liberano le relazioni tra le implicite e stabili convenzioni iconiche, storiche, estetiche e funzionali"; e la Casa del Fascio è uno di tali edifici. Non è facile intendere esattamente cosa Eisenman intenda per "analisi testuale critica"; le definizioni che ne vengono date rischiano spesso di gettare più fumo che luce. Certo è che la categoria primaria attraverso cui la Casa del Fascio viene letta è quella della trasformazione, o meglio delle trasformazioni.

Per leggere l'edificio, dichiara Eisenman, si proporrà una nuova "narrativa trasformazionale": "qui il processo di trasformazione diventa critico, nel senso che le tracce del processo sono viste come elementi che minano l'interpretazione formale tradizionale di tali processi e la loro derivazione da preoccupazioni funzionali". Che, nel caso dell'edificio preso in esame, quest'ultimo ordine di preoccupazioni possa esser considerato come secondario, se non marginale, sarebbe tra l'altro testimoniato dal fatto che, come Eisenman avrà modo di mostrare, i prospetti dell'edificio intrattengono un rapporto estremamente libero con la distribuzione interna; e, "quando non è più possibile collegare l'articolazione della facciata con un ordine interno in un rapporto simbolico, iconico o funzionale, o con un ordine esterno in relazione all'ordinamento contestuale degli altri edifici, si può postulare l'ipotesi che quei segni abbiano un qualche altro valore. L'effetto è che obbligano l'osservatore a leggere le facciate dell'edificio come index o testo di notazioni critiche più che puramente funzionali o formali".

Leggere l'edificio non significa ripercorre l'effettiva genesi del progetto, seguendone una a una le fasi (si tratta anche di questo, ma essenzialmente non di questo), quanto piuttosto di proporre una serie di modelli e di sottoporre ad analisi le loro trasformazioni. La lettura procede cioè logicamente e non cronologicamente. Ogni modello è sottoposto a un percorso accidentato, di continua metamorfosi; presi nel loro insieme, nella Casa del Fascio i diversi modelli si sovrappongono e intrecciano. La complessità ne è una conseguenza.

L'analisi di Eisenman prescinde pressoché completamente da tutti i supporti esterni che, in genere, si adottano per situare il progetto in una cultura, una situazione politica, un dibattito determinati. Come oggetto dell'analisi, viene assunto il progetto nella sua datità, ossia nella sua forma. "Un simile approccio comincia a suggerire le rilevanza di quella che tipicamente viene liquidata come analisi puramente formale. Comincia a suggerire la rilevanza di strategie formali viste come parte di un'idea più problematica dell'approccio critico". In tal modo, Eisenman spazza innanzitutto via tutto ciò che troppo spesso –nella confusione tra fini e mezzi– diviene l'oggetto degli studi storici e, più in generale, sull'architettura: il contesto piuttosto che la modalità con cui l'opera vi si confronta o si organizza. Ma non solo. La forma viene letta in termini tutt'altro che ingenui; certo assai meno di quanto si faccia comunemente. Con l'aiuto di 475 diagrammi, di ogni elemento dei progetti presi in esame Eisenman segue (nella misura in cui questo sia possibile) le trasformazioni, le metamorfosi, le sopravvivenze con inesausta minuziosità. Perché la forma, nella sua analisi, non si rivela come un'entità stabile, ma piuttosto come qualcosa di mutevole a seconda dei punti di vista da cui viene osservato e di ciò che in tal modo emerge con maggiore evidenza, e di poroso, perché contiene in sé le tracce del processo discontinuo –con tanto di ripensamenti e brusche svolte– in cui consiste la progettazione. La forma è così intesa come un'entità pregna di tempo: il tempo del progetto, in qualche misura conservato –nella forma, appunto, di tracce ("ciò che studio sono i "testi repressi", ciò che sta prima e/o al di là della struttura delle figure")– anche qualora sia stato negato nelle soluzioni poi assunte come definitive. In una certa misura, a mutare è così il modo d'intendere il progetto: che invece che mostrarsi, monoliticamente, come una pura e semplice necessità, univoca e assertiva, si apre rivelandosi come uno dei possibili, come il risultato di innumerevoli indecisioni, come l'esito non solo dello scontro delle istanze di partenza con il loro sviluppo, ad esempio, ma del definirsi delle istanze stesse nel corso dello sviluppo, e addirittura del loro rimanere in qualche modo attive persino nel caso in cui siano state scartate, elise; ossia come il frutto di un'attività formale, che, in quanto tale, va letto con il supporto di un'analisi del suo specifico –la forma. Per seguire tali percorsi incerti e ingarbugliati, occorrono perlomeno una pazienza indefessa, la capacità di abbracciare una molteplicità di punti vista, di portarli alle estreme conseguenze e di ribaltarli, e un notevole rigore analitico. Eisenman dimostra ampiamente di possedere tutte queste qualità.

I molteplici modelli proposti per leggere la Casa del Fascio non si escludono a vicenda. Non è nemmeno detto che la loro adozione fosse effettivamente nelle intenzioni di Terragni: Eisenman non fa mai confusione tra la logica del progetto e le deliberate intenzioni del progettista. Solo per quanto riguarda la volumetria, ad esempio, la Casa del Fascio –suggerisce– può venir letta tanto come la trasformazione di un palazzo a quattro torri angolari quanto come quella di un cubo a corte. E questo non è che l'inizio di tutta una serie di ipotesi, che qui non è possibile ripercorrere nemmeno per sommi capi. Quel che conta osservare è, piuttosto, che "tale lettura non si limita a produrre un testo come un tessuto di tracce o un processo nel tempo; la particolare natura di questo testo si può vedere come critica della storia di tutti i sistemi di lettura stabili". La Casa del Fascio si rivela in altri termini plurivoca: strutturata in base a tutta una serie di costrutti sintattici che si trasformano e si definiscono in base alla loro propria logica come a seconda delle relazioni stabilite con gli altri. Le singole facciate possono pertanto essere lette sia singolarmente sia in rapporto a quelle adiacenti sia a quella opposta, ad esempio, a seconda di quanto si privilegia nella specifica lettura. E i telai che organizzano le diverse facciate possono essere intesi sia come indici di una maglia spaziale che come segmenti giustapposti al volume originario. "Un aspetto importante della Casa del Fascio comunque è che il movimento da una posizione di osservazione a un'altra rivela informazioni alternanti piuttosto che aggiuntive. Quello che prima si leggeva in un modo o nell'altro ora si legge in entrambi i modi". Gli elementi formali dell'edificio sono, in altri termini, concepiti in maniera tale da rendere possibili al contempo più letture che non si escludano a vicenda; "quel che un osservatore vede è che la forma rimane la stessa: è la lettura della sua notazione a cambiare". Del resto, è proprio questo a distinguere la lettura formale da quella che Eisenman definisce testuale, la quale, al contrario della prima, non "si fonda su una base originaria e stabile", perché "non esiste una condizione di base per privilegiare una geometria formale piuttosto che un'altra". Sia letteralmente che metaforicamente, detto in altri termini, quanto Eisenman mostra in maniera convincente è che, al cospetto della Casa del Fascio, è sufficiente spostarsi di un passo per avvertire come, accanto alla lettura appena effettuata, ne sarebbe stata possibile pure un'altra, senza con questo mettere in crisi la prima. La Casa del Fascio, ancor più che come un testo, può così esser vista come un'orditura di testi.


Casa Giuliani-Frigerio.
 


4. SCOMPOSIZIONI. L'analisi della Casa del Fascio sorprende e risulta particolarmente feconda non da ultimo per l'inconsueta, stupefacente dimostrazione di come si possano narrare, spiegare, discutere le soluzioni adottate in un progetto e la loro logica. La seconda parte del libro, dedicata all'analisi della casa Giuliani-Frigerio, si trova alle prese con un oggetto molto diverso. Muta la logica dell'organizzazione sintattica dei due edifici, e in parte muta pure l'analisi. Nella stessa misura in cui nella Casa del Fascio quello che Eisenman riusciva ad articolare erano i diversi discorsi e la conseguente compresenza di diverse possibilità di lettura, nella casa Giuliani-Frigerio l'esito di ogni tentativo di tal sorta si rivela fallimentare. Ma non per questo meno proficuo: l'impossibilità stessa di compiere un certo genere di letture su casa Giuliani-Frigerio è "un indice dei limiti dell'idea che possa esistere una cornice metodologica di base per leggere tutti gli edifici. Invece, quel che qui si suggerisce è che il rapporto di qualunque edificio con la sua storia interna rappresenti un gioco complesso di forze e strategie".

Eisenman continua a narrare, spiegare e discutere: ma in tal caso non vi è nulla da narrare, spiegare e discutere che non sia la disarticolazione del discorso: casa Giuliani-Frigerio rivela, infatti, "una strategia generale non narrativa", indice di "un processo organizzativo indeterminabile". Ogni traccia si rivela fallace, ogni lettura si dimostra alternativa alle altre. Giacché casa Giuliani-Frigerio è un accatastamento di frammenti alla cui dislocazione non presiede alcuna logica complessiva. Mancando qualsiasi coesione, i diversi frammenti si stagliano incompiuti e irrelati, tali spesso da mettersi reciprocamente in discussione: "in qualsiasi momento una lettura è stabile e l'altra instabile. Ogni tentativo di rendere quella instabile simultaneamente stabile rende la precedente lettura stabile instabile".

Casa Giuliani-Frigerio può pertanto essere letta soltanto nei "termini di mutevoli relazioni tra frammenti", "frammenti concettuali che non implicano una precedente condizione di unità", lacerti di "un vocabolario normativo senza gerarchia o risoluzione", di modo che il processo delle trasformazioni può essere ricostruito solo in piccola parte, e comunque rimane "oscillante e instabile" (indecidibile) quanto l'edificio stesso.



5. METODO. "Questo libro –così si apre l'Introduzione– è il lavoro di due architetti. Nessuno dei due può essere definito uno storico o un critico dell'architettura. Il lavoro di entrambi può essere visto come un tentativo di dislocare le architetture di ciascuno dalle specifiche condizioni storiche"; e l'autore del libro "entra in conflitto tanto con il primo architetto e la sua storia, quanto con la sua propria condizione storica". Di qui la necessità di creare "distanza" con mezzi che, però, non sono quelli offerti dalla storia, bensì da una particolare "impalcatura" analitica, da una "nuova struttura metodologica" che, piuttosto che ancorare Terragni al suo contesto storico, tenti di "separare certi significati creati dall'architettura di Terragni dai suoi significati più tipicamente connaturati". In cosa consiste questa nuova impalcatura? Su cosa si fonda? "Alla base di questa struttura teorica sta la premessa che in entrambi gli edifici tutte le articolazioni, siano esse stipiti o montanti, tutte le aperture, con le loro speciali misure, forme e posizioni, costituiscano una serie di segni".

Le due opere di Terragni prescelte vengono pertanto estrapolate da un contesto di rara vastità e complessità senza nemmeno tentare di definirne i caratteri e il rapporto che i progetti vi intrattengono. Ma è lecita questa operazione di disconnessione dal contesto dell'opera di Terragni, o si tratta di una pretesa ingiustificata?

Ne Il soggetto e la maschera Manfredo Tafuri aveva in un certo senso tentato di dare risposta a tale ordine di questioni. Terragni –affermava– nel meglio della sua opera di altro non parla che di "trasformazioni che hanno a loro fondamento elementi primari –muri, colonne, spazi, slittamenti di piani– salutati come significanti arbitrariamente connessi a significati". Il segno acquisisce così una "fissità allucinata": "scisso da significati, il segno si fa struttura; riconnesso ai simboli di cui si finge portatore esso sarà solo ridicolo". È proprio per questa ragione che l'architettura di Terragni, in cui si ha una "volontà di forma che si mostra senza ragioni che possano giustificarla", possiede "uno spessore non squarciabile con strumenti che siano fuori dal suo gioco". Tafuri tentava in tal modo di giustificare l'operazione compiuta da Eisenman, stabilendo una forte analogia tra l'architettura di Terragni, da un lato, e le ragioni e i metodi della lettura (nonché dell'architettura) di Eisenman.

Sino a che punto si può accettare questa posizione? È in tal senso che va interpretata l'opera di Terragni? A queste domande non è qui possibile offrire una risposta esauriente. È più opportuno limitarsi a interrogare le modalità della lettura compiuta da Eisenman. Nel libro non viene mai definito lo sfondo contro cui spicca la figura –o perlomeno l'opera– di Terragni. Non parrebbe però costituire un aspetto di poco conto la possibilità di stagliare le due opere dell'architetto comasco sulle sue altre e tutte queste, a loro volta, sulle architetture realizzate nella sua cerchia, nel più vasto contesto italiano come in quello europeo, così come sui loro riferimenti impliciti quanto espliciti. E può esulare una qualsiasi lettura dell'opera di Terragni –e in particolare della Casa del Fascio– dal problema del Fascismo e dell'architettura fascista?

A queste domande invano si cercherebbe risposta nel libro di Eisenman. Egli non si pone interrogativi sul contesto, come si è detto, e nemmeno sulla eventuale pregnanza metaforica e simbolica di certe soluzioni architettoniche –tanto meno dell'edificio nella sua interezza. Compie, piuttosto, un'analisi che –con un'operazione consapevolmente arbitraria– si esercita su oggetti intesi come articolazioni intenzionali di segni privi di senso. Nemmeno la lettura del progetto può pertanto ricorrere ad aiuti esterni. In questo, la scelta di escludere certi ordini di questioni è estremamente coerente. Eppure, Eisenman sa bene quanto sia "antiscientifico e in ultima analisi presuntuoso insistere nel non voler ammettere una corrispondenza tra concetti generali e forme architettoniche che vengono alla luce nello stesso periodo"; l'affermazione della necessità di inquadrare la sua analisi in un contesto più ampio rimane però una mera enunciazione.

Certo è che il tentativo di porre tutto il discorso su di un piano astorico e sotto il segno dell'autonomia ha effetti capillari. Invece che tentare di comprendere, ad esempio, quale fosse il 'set linguistico' a disposizione di Terragni (per comprendere come questi l'avrebbe assunto, impiegato e, eventualmente, "desemantizzato": se l'architettura è l'articolazione di un linguaggio dato, non occorrerebbe preliminarmente definirne vocaboli e sintassi?), Eisenman fa ricorso a discutibili "invarianti" o "universali formali". Questa esclusione della dimensione culturale, storica, è costitutiva dell'operazione compiuta da Eisenman. Già Gandelsonas osservava come "il termine "semantico" indica quegli aspetti che possono essere spiegati in chiave culturale, e il termine "sintattico" quelli che escludono la nozione di cultura, e quindi possono essere considerati universali", e come pertanto la nozione di cultura tenda a rimanere estranea alla riflessione di Eisenman.

Le implicazioni della delimitazione del campo d'analisi –e operativo– di Eisenman sono non a caso state l'oggetto precipuo delle critiche che Tafuri gli ha rivolto. Il principale bersaglio di Tafuri, in European Graffiti e poi in Les bijoux indiscrets, è stato proprio il tentativo di Eisenman –e, più in generale, della cultura architettonica, soprattutto americana, degli anni '60 e '70– di riprendere i "linguaggi di battaglia" delle avanguardie per trasformarli in meri "linguaggi di piacere". E, questo, avviene a suo parere proprio perché i linguaggi di battaglia vengono disconnessi dall'intento –di operare nel mondo– per cui erano stati approntati. Tafuri riconosce coerenza agli sforzi di Eisenman; non può negare l'assenza di qualsiasi forma di nostalgia nel suo modo di operare. Ma a destare il suo disappunto è l'autoreferenzialità cui la ricerca di Eisenman si condanna proprio in virtù della riduzione dell'architettura a una questione di sintassi, e della relativa esclusione del mondo esterno. La conclusione di Tafuri è lapidaria: "Al risveglio, il mondo dei fatti si incaricherà di ristabilire lo spietato muro fra l'immagine dell'estraneazione e le realtà delle sue leggi".

Di fatto, Tafuri sostiene che la ricerca di Eisenman è resa ineffettuale dalla sua ostentata, programmatica chiusura: la sua materia scotta, ma il mancato incontro o scontro con il mondo finisce per renderla rassicurante, situandola a un passo dal 'frivolo'. Ma le critiche rivolta da Tafuri all'architettura di Eisenman valgono anche a riguardo del libro su Terragni? In una certa misura è innegabile di sì. Esso è criticabile esattamente come le varie Houses e gli altri progetti di Eisenman, con i quali peraltro intrattiene rapporti estremamente stretti. È inoltre criticabile se considerato come un libro di storia; non lo è, ma in una certa misura si fatica a non considerarlo affatto tale, visto il suo oggetto. Si possono, ad esempio, nutrire forti dubbi sul fatto che sia lecito parlare di self-referential condition of sign a proposito della Casa del Fascio. Proviamo però a chiederci cosa avverrebbe nell'ipotetico caso in cui Eisenman prendesse in esame un progetto come quello del Danteum.

Egli probabilmente tenterebbe, come sempre, di scindere carattere sintattico e semantico, accantonando quest'ultimo. Cosa resterebbe? Un progetto di architettura, da valutare non per il suo portato iconico, quanto piuttosto per l'eventuale rifiuto dei segni di cui esso è costituito di farsi portatori di un senso. L'operazione precluderebbe almeno in parte la comprensione del progetto; ma, pure, consentirebbe di valutarlo per la capacità, una volta eliminato l'apparato ad esso sovrapposto, di dimostrarsi in grado di rispondere con mezzi architettonici a problemi architettonici. In tale –ipotetica– analisi di un'opera come il Danteum, risalterebbero tanto la proficuità quanto l'arbitrarietà dell'operazione di Eisenman, che fa come se la dimensione sintattica non fosse sorta in relazione a quella semantica. Ora, per tornare ai progetti presi in esame nel libro: non è insostenibile la convinzione di Eisenman secondo cui la Casa del Fascio sarebbe leggibile in base alla sua sola dimensione sintattica? Non si può presumere che la differenza tra le strategie progettuali della Casa del Fascio e di casa Giuliani-Frigerio abbia origine in una diversa distanza da preoccupazioni di ordine semantico (rappresentativo, simbolico, politico)?

Anche se fosse, l'operazione di Eisenman ne risulterebbe scalfita solo fino a un certo punto: nulla si sarebbe ancora detto contro la liceità di una lettura dell'architettura in chiave sintattica, di una lettura che mai finge di porsi come 'storica'. E ne verrebbe del tutto disconosciuta la proficuità. In una certa misura, poi, proprio l'isolamento dell'architettura da qualsiasi forma di contesto –e quello, ad esso paralello e conseguente, della dimensione sintattica da quella semantica– risulta necessario ad Eisenman. L'analisi dell'opera di Terragni avviene come in un laboratorio; essa ha il carattere di un esperimento, predisposto e condotto con metodicità, e che in quanto tale vuole essere descrivibile e ripetibile (come l'iter progettuale delle Houses). Per compiere esperimenti validi, il campo deve essere chiuso. A queste condizioni, e soltanto a queste, è possibile procedere rigorosamente.

Una tale delimitazione del campo d'indagine è senza dubbio essa stessa storicamente determinata. La pretesa che il proprio punto di osservazione sia incondizionato, da parte di Eisenman, è altrettanto "antiscientifica" quanto la pretesa di un'autonomia disciplinare dell'architettura; e va certamente considerata in un quadro di natura storica. Non è però l'assenza di queste preoccupazioni che può essere imputata ad Eisenman nella sua lettura delle opere di Terragni. Dall'esterno, la sua operazione, pur dotata di rara coerenza, è sin troppo facile da liquidare come un gioco raffinato ma elusivo, al limite irresponsabile. Un gioco, però, non dissimulato e, anzi, ampiamente esibito.

La stessa esclusione della dimensione semantica dall'architettura, in fondo, sembra costituire la lucida accettazione di un ineludibile status quo; e, in questo senso, risulta fortemente polemica soprattutto nei confronti di un Louis Kahn. Quanto occorre sempre tener presente è infatti l'anomalia di un'opera, come quella di Eisenman, costretta ad assumere come presupposto la propria coerenza e ad accettare di situarsi a un passo dall'irrilevanza. In questo senso, il libro su Terragni si presenta non solo come un'illuminante analisi di due opere architettoniche, ma come una lucida e consapevole operazione, capace di parlare a e di noi tutti.

Daniele Pisani

danielefriedrich@libero.it
   
       
       

Questa pagina è stata curata da Matteo Agnoletto.






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