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Manifesto
del Terzo paesaggio |
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Gilles Clément "Manifesto del Terzo paesaggio" (a cura di Filippo De Pieri) Editore Quodlibet, Macerata 2005 pp. 87, €12,00 acquista il libro online! |
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"Se
si smette di guardare il paesaggio come l'oggetto di un'attività umana
subito si scopre (sarà una dimenticanza del cartografo, una negligenza
del politico?) una quantità di spazi indecisi, privi di funzione sui
quali è difficile posare un nome. Quest'insieme non appartiene né al
territorio dell'ombra né a quello della luce. (...) Tra questi frammenti di paesaggio, nessuna somiglianza di forma. Un solo punto in comune: tutti costituiscono un territorio di rifugio per la diversità. (...) Questo rende giustificabile raccoglierli sotto un unico termine. Propongo Terzo Paesaggio, terzo termine di un'analisi che ha raggruppato i principali dati osservabili sotto l'ombra da un lato, la luce dall'altro". Indecisione, instabilità, nomadismo biologico, "pratiche consentite di non organizzazione", contiguità, evoluzione incostante, improduttività: nuovi valori positivi all'interno di una concezione biologica, non economica, del territorio. Questo testo, articolato in una premessa di definizioni e descrizioni quali ipotesi di partenza, ed una tesi-manifesto le cui frasi possono essere volte anche in forma interrogativa, pone in campo diverse questioni, alcune delle quali possono essere raccolte per antinomie. Passaggio dall'incolto giovane (diversità media) all'incolto spinoso (picco di diversità) alla foresta (diversità marcata). Aperto/Chiuso. Con il Manifesto del Terzo Paesaggio Clément approfondisce i temi e le questioni messe in campo ne Il giardino planetario (1), nel quale proponeva la rappresentazione del pianeta come un giardino. Con questa espressione, Clément creava un accostamento tra dimensioni opposte, traslando il termine giardino dal senso originario di luogo chiuso (da garten, recinto), a quello di insieme. È il ribaltamento dell'idea dell'hortus conclusus: se in questo si esprime la natura ordinata dall'uomo in contrapposizione al vuoto esterno, alla natura fuori dalle mura, predominante, selvaggia ed ostile, ora è il vuoto (i vacuoles), il poco che è rimasto tra mura e mura, ad attirare le nostre cure, laddove è la diffusione delle mura, dei limiti, dei recinti, (la città globale, il mondo organizzato) a spaventare. Il giardino planetario è la risposta allo spostarsi della questione urbana, e sta alla globalizzazione (economica, urbana) come il parco urbano stava alla città del XIX secolo; si allarga lo sguardo; se ad ogni epoca spetta una certa concezione del verde, il giardino planetario è il giardino della città globale.
Stato liquido/Stato solido. L'insieme dei residui che formano
il Terzo Paesaggio funge da elemento di connessione e vivificazione
tra i vuoti della maglia delle attività antropiche. Si tratta di luoghi
residuali, spazi, per dirla con Zygmunt Bauman (2),
che tendono ad uno stato liquido, non conservano mai a lungo una forma,
si modificano, debordano, e quanto più assumono i caratteri di un
materiale liquido, tanto più resistono ad essere riciclati, cioè governati.
Gli strumenti tradizionali di gestione del patrimonio (sorveglianza,
tutela, individuazione dei limiti) non possono essere utilizzati senza
annullarne le qualità proprie: ne emerge una visione decisamente antipatrimoniale,
non istituzionale ("non bene patrimoniale, ma spazio del futuro"),
che si contrappone a molte attuali considerazioni sul paesaggio come
spazio dell'identità, patrimonio delle società locali, luogo di esercizio
delle strategie della memoria. |
[14feb2006] |
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