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Il
riuso delle aree industriali è un tema di estrema attualità, sul quale
si scrive e si discute da almeno due decenni. La ragione di tanta attenzione
legata all'argomento è facile da capire: agire sul recupero delle aree
ex industriali è il principale, se non l'unico, metodo di intervento
nella città contemporanea. Saturati gli spazi a disposizione, annullati
talvolta i confini fisici tra i vari centri urbani fino ad attualizzare
un concetto di città diffusa, la possibilità di poter ri-edificare all'interno
di un tessuto urbano diviene occasione ghiotta, sia in termini urbanistici
che in termini economici. Ad esser sinceri non si tratta di niente di
nuovo: il metabolismo di crescita delle città è sempre stato interessato
da alternanza di fasi di espansione, contrazione e trasformazione stratigrafica
di parti al suo interno; gli stessi centri storici ne riportano esempi
lampanti, con le tante chiese paleocristiane sorte su ex-templi o addirittura
ex-basiliche, ovvero edifici romani a carattere pubblico amministrativo.
A tutti gli effetti Piazza Navona è un esempio di riuso di una infrastruttura
sportiva dismessa. Cos'è quindi che rende così rilevante la questione
delle aree industriali? Sostanzialmente due aspetti: uno quantitativo-temporale,
l'altro sociologico.
Bagnoli, planimetria
generale.
Bagnoli, veduta della cava.
Il primo si
spiega con la fredda lucidità dei dati numerici: dalla metà degli anni
Novanta nei soli capoluoghi di provincia il fenomeno della dismissione
ha interessato circa 100 milioni di metri quadrati di aree industriali
(1), ed è un dato certamente approssimativo. I
grandi numeri si comprendono meglio se rapportati a sottomultipli più
facilmente gestibili: per fare un esempio ai limiti del paradossale
potremmo immaginare un unico lotto profondo 20 metri e lungo 5.000 Km,
praticamente da Roma a Nuova Dehli. Una Unitè corbuseriana
su scala planetaria.
Il secondo aspetto
è probabilmente meno eclatante, ma sicuramente più profondo e significativo,
ed è legato alla complesse problematiche sociologiche relative alla
presenza di un'area industriale all'interno di un tessuto urbano,
alle dinamiche economico-produttive che ne hanno portato alla dismissione
e alla successiva ipotesi di una sua riconfigurazione funzionale.
La difficile convivenza tra le invasive attività produttive e l'environment
abitativo si basava fondamentalmente su di un compromesso lineare
in cui la presenza delle prime garantisce lavoro, quindi reddito,
quindi la possibilità di abitare il secondo, in pratica la
sua stessa esistenza. In questo senso, a fronte del carattere fortemente
negativo assunto dalla fase di dismissione (la scomparsa
di una fonte di lavoro) l'operazione mirata ad un recupero della ex
area produttiva si permea di un simbolico aspetto di rivalsa,
riconquista di una parte di città alla quale tanti destini
e tante vite sono stati legati.
Campi, veduta
del complesso.
Venezia, ex-Jungas,
veduta del complesso.
STOP&GO, recentemente pubblicato da Alinea, opera di un
gruppo di ricercatori legati alla Prima Facoltà di Architettura del
Politecnico di Torino, affronta il tema della aree industriali evidenziando
questi due aspetti. A dispetto di quanto evidenziato nel sottotitolo
e di quanto possa apparire ad una rapida consultazione infatti il
volume non è solo una analitica raccolta di casi studio, ma piuttosto
un tentativo di parziale bilancio su quanto compiuto nel nostro Paese
relativamente al tema in esame: come gli autori sottolineano nella
loro introduzione, a fronte dei molti casi distribuiti sul territorio
"l'esistenza di progetti realizzati o in corso, consente di abbozzare
i primi bilanci di operazioni di trasformazione che non possono più
essere considerati sporadici episodi". (2)
Il volume è composto da tre parti distinte, delle quali la seconda,
quantitativamente più rilevante per numero di pagine, raccoglie i
succitati casi studio, trenta per la precisione, presentati in modo
da facilitare ed anzi indurre ad operazioni di raffronto. Gli esempi
raccolti sono presentati in forma di scheda secondo un layout
costante: sei pagine ciascuno, foto dell'area pre-dismissione, disegni
o modelli del progetto e quando possibile foto dei lavori conclusi,
oltre ad una foto aerea a piena pagina che rende immediata non solo
la scala del singolo (impressionanti a titolo di esempio le dimensioni
degli interventi relativi alle Ex raffinerie Agip e alle Ex acciaierie
Falck, entrambe nell'area milanese), ma anche la vasta gamma di scale
dimensionali con cui si ha a che fare, dalla porzione di città al
lotto urbano di medie dimensioni. L'apparato iconografico funge da
supporto a esaustivi dati che raccontano le varie esperienze in base
alla cronologia, elenchi dei personaggi coinvolti nelle fasi di riqualificazione,
quantità e costi, oltre a sintetici paragrafi descrittivi sul sito,
sui processi attuativi che sottendono al progetto di riuso e sui progetti
in quanto tali.
Rho, veduta
dell'area prima dell'intervento di recupero.
Una siffatta standardizzazione della presentazione stimola
forme di lettura non lineare, si è portati a saltare da un progetto
all'altro in continue operazioni di paragone. Volendo esser critici
si sente forse la mancanza di un supporto grafico che sintetizzi lo
studio: un raffronto delle localizzazioni evidenzierebbe ad esempio
la stragrande concentrazione di operazioni di recupero condotte nel
nord-ovest della penisola rispetto alle altre aree geografiche, o
faciliterebbe confronti in termini di investimenti e di tempi di realizzazione.
Ma come gli autori sottolineano la scelta dei 30 casi inseriti è gia
di per sé frutto di una accurata operazione selettiva, relativamente
sia alle preesistenze (solo ex aree produttive) sia ai processi di
riuso (solo unità fondiarie non parcellizzate e cronologicamente relative
agli ultimi 15 anni); le varie letture trasversali possibili sono
pertanto lasciate al lettore. Ma, allora, quale è il bilancio che
si estrapola da questo accurato campionario?
Macerata, planimetria
generale prina dell'intervento.
Macerata, planivolumetrico
di progetto.
Innanzitutto
che dimensions matter: le operazioni migliori sono sicuramente
quelle legate a lotti di piccole dimensioni (tra le quali spicca un
inaspettato frutto di Europan, l'ex mobilificio Lenzi a Quarrata,
Pistoia), mentre le ricostruzioni di parti di città frequentemente
si perdono in soluzioni urbanistiche non proprio azzeccate, discutibili
scelte di destinazioni d'uso spesso frutto di mere operazioni fondiarie
e semplicistico uso del verde pubblico come sorta di "risarcimento
alla collettività". (3)
La cosa non deve sorprendere, le città sono il risultato di un uso
storicizzato dei loro spazi, non si possono inventare dal nulla. Oltre
alla questione urbanistica anche dal punto di vista architettonico
non spiccano operazioni entusiasmanti: talvolta la dark city
industriale può risultare paradossalmente più affascinante delle anonime
e banali composizioni di cubetti che ad essa si sono sostituite. Chissà,
magari è un metodo sicuro per evitare di esser poi tacciati come emuli
dell'effetto Bilbao.
Nelle due sezioni che completano il testo l'interesse degli autori
si sposta su tematiche generali connesse all'argomento, con particolare
attenzione nei confronti dei programmi attuativi che sottendono alle
operazioni di recupero, oltre ad interessanti riflessioni sulle possibili
logiche operative volte a garantire la sostenibilità ambientale degli
interventi. A conclusione del volume è posta una sorta di tavola rotonda
diacronica, nella quale attraverso l'uso della intervista si tenta
di ricucire le varie riflessioni ponendo domande direttamente ad una
selezione di personaggi coinvolti con vari ruoli nei processi
precedentemente illustrati: progettisti, urbanisti, politici, ed investitori.
La questione del riuso è nel complesso un tema vastissimo, che non
si esaurisce nelle tematiche urbanistiche ed architettoniche, ma coinvolge
argomentazioni di natura politica, economica e sociologica; non ci
si può quindi aspettare che un solo libro possa fungere da quadro
riassuntivo della materia in esame. Più semplicemente l'intenzione
degli autori è quella di evidenziare l'importanza della fase di transizione,
di metamorfosi dello spazio urbano, da un qualcosa che ha cessato
di esistere (STOP), verso qualcosa di altro, una nuova condizione
di esistenza (GO), con tutte le complesse dinamiche che questa "&"
sottende: è cercando di afferrare meglio la "&" che
si può giungere a dei "GO" più soddisfacenti per le nostre
città.
Maurizio Meossi
meossi@spinplus.co.uk
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[29mar2006] |