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Books Review

  Urban Ecology: Detroit And Beyond


 
 

Kyong Park. Introduction by Peter Lang
"Urban Ecology. Detroit and Beyond"
Map Book Publishers, 2005 
pp. 192, €32,00

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  Gli architetti dello star system postmoderno sono dei delinquenti. Come avvoltoi si aggirano sulle città in cerca dei resti lasciati dalle avanguardie economiche del capitale globale. Non sembrano in grado di costruire una riflessione autonoma (che non significa disciplinare) di temi e visioni sulla città contemporanea. Subiscono acriticamente le richieste del potere economico, ieri Berlino, oggi la Cina e domani Dubai. Possibile che non si riesca a far altro che seguire i dettami di un potere economico sempre più selvaggio? Il libro di Kyong Park /iCUE Urban Ecology. Detroit and Beyond ci mostra che in realtà altre strade sono possibili e necessarie e che la città non può essere ridotta a puro spazio economico. Essa nonostante tutto è ancora oggi il luogo di interazione sociale e culturale.

Detroit dà esempio: dal 1960 al 2000 ha perso il 65% della sua industria e il 50% dei suoi abitanti; cui sono state distrutte più di 200.000 unità abitative a cui sono seguite la chiusura di scuole e librerie, con aumento della disoccupazione e delle bande giovanili. Il destino di questa città non è molto diverso da quello delle città dell'Europa dell'est, ma a pensarci bene non è neanche forse diverso dal futuro deindustrializzato di un paese in piena crisi economica come l'Italia. Forse, anche per questo, vale la pena di comprendere cosa sta esattamente accadendo a Detroit. Oggi al centro della città, al posto delle case e degli operai sono tornati i boschi e i cervi. È qui che Kyong Park nel 1998 ha deciso, insieme ad artisti, attivisti e alla comunità locale di fondare un laboratorio di ecologia urbana e lavorare sulle possibilità che questa nuova condizione può nonostante tutto offrire.



Da New York, dove nel 1982 ha fondato una delle gallerie più innovative sulla condizione urbana contemporanea (la Storefront for Art and Architecture), Park si è trasferito a Detroit dove il futuro della città post-capitalista era già una realtà. Il progetto della casa fuggitiva forse meglio rappresenta l'attitudine scoperta da Park a Detroit. 24260 è il numero di una casa abbandonata, che tagliata e riassemblata può muoversi dovunque nel mondo. Fuggita da Detroit, dove le case vengono incendiate e demolite, la 24260 ha viaggiato in otto città europee. Diventare profughi, nella società contemporanea, non è solo una condizione a cui è costretta una sempre maggiore quantità di persone, ma è anche una condizione che appartiene ormai anche a molte città. La casa 24260 per sopravvivere ha bisogno dell'ospitalità di una città, pena la sua morte. Per questo Detroit oggi non rappresenta tanto il relitto della città fordista, quanto piuttosto il futuro delle città deindustrilizzate.

Il libro oltre a raccogliere i progetti che Park ha compiuto insieme all'International Center for Urban Ecology, ospita anche una raccolta di "luoghi paralleli" sulla condizione urbana contemporanea. Come i barrios di Caracas, considerati dall'ortodossia modernista come spazi disorganizzati, effimeri e catastrofici ma che Marjetica Potrc rilegge come dotati di un enorme potenziale in grado di sviluppare proprie strategie e proprie regole che permettono la convivenza e la complementarità con la città ufficiale. Così come, al di sotto delle autostrade private del Pearl River Delta, costruite prevalentemente per il trasporto di merci, è possibile scoprire una nuova dimensione dello spazio pubblico autorganizzato, abitato da più di dieci milioni di persone. È in questi spazi che si concentrano le contraddizioni e la vitalità delle città globali.

Un lavoro, quello di Park, che Peter Lang nella sua introduzione definisce come "fondatore" di una nuova disciplina che si muove tra un'architettura -non più solo costruttrice di edifici- e un'arte direttamente coinvolte nelle trasformazioni sociali e politiche dello spazio urbano. Un rapporto, quello fra arte e architettura, che materialmente coinvolge la progettazione di spazi espositivi e spazi urbani, e che fin dalle prime esposizioni internazionali di fine Ottocento ha saputo portare nella città nuove idee, nuovi paradigmi di sviluppo. Una storia recente di questo proficuo scambio risale ad alcune mostre in particolare. La Biennale del 1980 curata da Paolo Portoghesi, che al di là dei suoi discutibili contenuti, attraverso la costruzione delle Strada Novissima all'interno degli spazi dell'Arsenale di Venezia, ha saputo ricreare uno spazio architettonico che con il tempo ci siamo abituati a chiamare Architettura Postmoderna. Percorrendo lo spazio dell'Arsenale, con le facciate degli edifici realizzate in scala 1:1, si aveva la sensazione di attraversare già quegli spazi che oggi ci sono così familiari, ma che allora erano appena visibili nell'ambiente urbano. Così come la Documenta X di Chaterine David, che ha saputo utilizzare direttamente la città come spazio espositivo, chiedendo agli artisti di realizzare le loro opere in stretto contatto con lo spazio urbano. Un rapporto, quello tra spazi espositivi e condizione urbana, con mille diramazioni, la cui genealogia sarebbe interessante scrivere, e in cui le mostre curate da Park alla Storefront, in Korea e a Venezia ha contribuito ad arricchire.

Un limite del libro è forse il fatto di assomigliare a prima vista ad un catalogo d'arte. Si presenta come una raccolta di progetti esemplari che come tali non lasciano spazio alla problematizzazione dei temi affrontati. I progetti in questo modo rischiano di essere interpretati come soluzioni esemplari, e su ciascuno di essi si vorrebbe sapere di più. Questa sensazione si riduce se si considera che il libro è il primo di una nuova collana, che si propone proprio di indagare temi, luoghi e approcci introdotti con Urban Ecology. In quest'ottica di ricerca collettiva il libro assume un diverso significato. Quindi il consiglio è di leggerlo tenendo sott'occhio le prossime pubblicazioni della collana, solo così forse saremo in grado di capire se, come dice Peter Lang, ci troviamo di fronte alla nascita di una nuova disciplina.

Alessandro Petti
alepetti@statelessnation.org
  [22may2006]
       

Questa pagina è stata curata da Matteo Agnoletto.






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