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Books Review

    Architettura naturale

   
   

Alessandro Rocca
"Architettura naturale"
22 publishing, Milano 2006
pp. 215, € 22

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È ormai qualche tempo che scambiando opinioni con altri architetti della mia generazione emerge diffusa la sensazione di trovarsi di fronte a una situazione di stallo, come se nessuno, celebri star o esordienti rampanti, fosse più in grado di produrre qualcosa di veramente significativo. Può darsi che si tratti del disincanto fisiologico di chi, avvicinandosi alla mezza età, non riesce a provare le emozioni delle prime scoperte, ma è anche vero che mostre, libri, riviste e sopralluoghi ci restituiscono un mainstream internazionale tanto ansioso di darsi una immagine sperimentale e trasgressiva quanto, in definitiva, incapace di deviazioni sulfuree o, semplicemente, di una reale capacità di tagliare angoli e meandri delle pratiche consolidate e produrre visioni innovative.

Alcuni tra i più giovani sembrano voler reagire a questa situazione riproponendo l'ennesimo ritorno a ipotesi autonomiste, ai fondamentali dell'architettura. Un tentativo quantomeno prematuro, vanificato nelle sue intenzioni rivoluzionarie dalla similitudine con i colpi di coda delle retroguardie, e, di fatto, così abusato da confermare la percezione di una disciplina avvitata in una sterile coazione a ripetere. Con maggiore freschezza, altri provano viceversa a sondare mondi paralleli, anche marginali, nei quali cercare una possibile rigenerazione del nostro sguardo, se non delle nostre attitudini progettuali. Un obiettivo che la 22 publishing, nuova casa editrice milanese, intende perseguire fin dalla sua prima proposta. Il titolo del bel libro di Alessandro Rocca, Architettura naturale, assume a questo proposito un significato programmatico, che va al di là della referenzialità diretta con i materiali in esso presentati.

La raccolta di una serie di opere e installazioni a cavallo tra arte, architettura e paesaggio, in diverso modo connesse a una manipolazione leggera di "oggetti trovati" nella e della natura, fa qui da sfondo alla ricerca di una maggiore "naturalezza" del gesto progettuale, della sua necessità. Nell'ampia sequenza di immagini e di brevi commenti relativi a lavori anche molto recenti spicca infatti il capitolo dedicato alla mostra di Bernard Rudofsky sull'Architettura senza architetti, tenutasi al MoMA nel 1964 e dedicata a illustrare esempi di edilizia prodotta direttamente dai suoi utilizzatori, soprattutto presso culture strettamente legate ai propri territori. La connessione diretta tra modi di vita, risorse disponibili e prestazioni funzionali che contraddistingue quelle realizzazioni assume per gli architetti -sostiene l'autore- il medesimo ruolo che hanno avuto silos, piroscafi, aeroplani e automobili per Le Corbusier, o -potremmo aggiungere- della strip di Las Vegas per Venturi: un invito, cioè, a spogliarsi delle sovrastrutture discipinari e guardare la realtà con attenzione ai processi che la producono.

  [25feb2007]

Armin Schubert, Organismo Lustenau, 2005. Assemblaggio di tronchi e rami di pero, altezza 1.35, lunghezza 4.5 metri.


Armin Schubert, Convesso: concavo, Legname legato, Lustenau, 2003.
 


Armin Schubert, Convesso: concavo, Legname legato, Lustenau, 2003.

Al contrario delle strutture indagate da Rudofsky, gli interventi raccontati da Alessandro Rocca sono tutto fuorché spontanei. Il loro interesse sta nel complesso intreccio di questioni e strumenti che sovrintende alla loro palese semplicità, nel trasferimento di modalità di approccio tra mondi differenti e nella loro sovrapposizione. La sensibilità climatica dell'Ice Pavilion di Olafur Eliasson si alterna alla differenziazione dei microclimi sperimentata da N Architects nella loro installazione al PS1 a New York. Le macchine per guardare di Ex.Studio o di Chris Drury (le cui Cloud Chamber utilizzano il principio della camera oscura) attivano specifiche condizioni paesaggistiche che danno luogo a sottolineature simboliche nei Cannocchiali estimativi di Giuliano Mauri, collocati a cavallo del Neisse tra Germania e Polonia. Analoghi effetti ottici sono rintracciabili nelle installazioni di Mikel Hansen o nella Waterhouse di Nils Udo. Ancora Giuliano Mauri usa materiale vivente nella sua Cattedrale vegetale, e come lui Marcel Kalberer nelle Sanfte Strukturen e David Nash nell'Ash Dome. Gli stessi autori e gli altri presenti nel volume impiegano largamente materiali il più delle volte reperiti in sito -acqua, pietre, ciottoli, paglia, rami, tronchi di alberi caduti- e tecniche tutt'altro che sofisticate, basate sull'autocostruzione e spesso sulla partecipazione di vasti gruppi di volontari.


Edward NG, Ponte per l'attraversamento del fiume presso Maosi, nord-ovest della Cina.


Edward NG, Ponte per l'attraversamento del fiume presso Maosi, nord-ovest della Cina.

Caratteristiche materiali e costruttive che istituiscono un rapporto sensibile, interattivo con luoghi e tempi, disponibile ad accogliere eventi ed incidenti in forme transitorie e temporanee. Un approccio che il mondo dell'arte definisce con la formula site specific, fatto dell'interpretazione delle potenzialità locali, dell'incontro tra quello che si trova sul posto e uno sguardo altro.


N Architects, Canopy, P.S. 1 Contemporary Art Center, Queens, New York, 2004.


Mikael Hansen, Il muro, installazione per cittadini Arte Sella, Borgo Valsugana, Italia, 1994.

Leggendo il libro e ragionando sulle sfide progettuali lanciate dall'insieme dei suoi contenuti, mi è venuta in mente la famosa incisione di Claude-Nicolas Ledoux con la casa delle guardie campestri nel castello di Maupertuis. La sfera edificata che campeggia al centro dell'immagine è posta all'interno di uno scavo, operazione che ne sottolinea la prepotente autonomia. Quasi invisibile, sul lato sinistro dell'inquadratura, sorge una specie di "capanna primitiva" fatta di rami e di frasche, probabilmente costruita dal pastore che è lì davanti con il suo gregge. Da una parte un programmatico distacco dalla natura o, in altri termini, la raffigurazione della volontà di dominarla, dall'altra una più amichevole forma di adattamento alle occasioni contingenti. Sebbene la similitudine morfologica e materiale con il secondo approccio risulti subito evidente, le "architetture naturali" di Rocca condividono con la sfera di Ledoux più di un aspetto: esprimono specifiche e sofisticate intenzioni progettuali, descrivono e rappresentano modi contemporanei di interpretare la trasformazione ambientale, evitano di legarsi a particolari necessità funzionali, attivano contrasti quasi surrealisti con i territori nei quali vengono realizzate. Architetture a bassa tecnologia ma ad alto contenuto concettuale, le cui paradossali strategie insediative indagano l'ambiguo e indefinibile confine tra artificio e natura, parlandoci così con particolare efficacia della natura dell'artificio.

Giovanni Corbellini
giovannicorbellini@libero.it

   
       

Questa pagina è stata curata da Matteo Agnoletto.






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