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L'altro De Carlo

Giovanni Corbellini





Federico Bilò (a cura di)
A partire da Giancarlo De Carlo
Gangemi, 2007
192 pp., € 18,00

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La Gangemi Editore è nata nel 1962 da una esperienza manageriale del suo fondatore: Giuseppe Gangemi. Sin dagli esordi ha saputo tessere una prolifica relazione con l'ambiente architettonico spesso di area romana. La linea editoriale si caratterizza, infatti, per una attenzione nei confronti dei grandi temi classici spesso rivolti a problematiche di natura squisitamente italiana. La Gangemi pubblica, inoltre, anche svariate riviste legate all'architettura tra cui l'ormai storico bimestrale "Controspazio". Il testo qui presentato fa parte della nutrita collana dedicata all'architettura, all'urbanistica e all'ambiente.

Giancarlo De Carlo, scomparso nel 2005, ha avuto la fortuna di fare in tempo ad assistere al riaccendersi dell'attenzione intorno alla sua figura. La copertina dedicatagli dalla rivista "Domus" -all'esordio della direzione di Stefano Boeri- e la mostra organizzata dal Centre Pompidou nel 2004, oltre a quella "autobiografica" di Roma l'anno successivo, testimoniano, infatti, di una rinnovata considerazione rivolta al suo pensiero e della sua connessione con il dibattito architettonico internazionale di questo inizio di millennio.


Locandina della mostra Team 10: A Utopia for the Present.

Il convegno A partire da Giancarlo De Carlo, organizzato nel marzo 2006 da Federico Bilò con il sostegno della Facoltà di architettura di Pescara, è stato alimentato da una viva partecipazione, capace di superare la mera occasione celebrativa. I contributi presentati in quella occasione e recentemente pubblicati, costituiscono una riflessione operativa sull'attualità di alcuni dei nodi problematici che caratterizzano l'attività di De Carlo nei molteplici, sovrapposti e intersecati ruoli di architetto, urbanista, docente, animatore e provocatore culturale, promotore editoriale, direttore di rivista, teorico, saggista...

Casa Sichirollo, Urbino.

Il volume si apre con una serie di domande che il curatore ha sottoposto a ciascuno dei relatori (Carmen Andriani, Pepe Barbieri, Franco Berlanda, Cristina Bianchetti, Piergiacomo Bucciarelli, Maristella Casciato, Antonio Clemente, Alberto Clementi, Giangi D'Ardia, Bruno Gabrielli, Margherita Guccione, Ariella Masboungi, Rosario Pavia, Maria Luisa Polichetti, Sara Protasoni, Piero Rovigatti, Francesco Samassa, Antonio Troisi, Claudio Varagnoli). Domande che individuano, di volta in volta, diatribe nostrane, come l'ostilità verso De Carlo da parte del milieu disciplinare italiano, questioni teoriche fondative, come l'idea di un'architettura "generalista" lontana da specialismi e da ipotesi autonomiste, connessioni con la realtà vista attraverso uno sguardo politico di matrice anarco-situazionista declinato nel sociale con fiducia partecipativa e, apparati linguistici, forse, uno degli aspetti più contraddittori di una vicenda intellettuale programmaticamente incoerente.

Pianta di Ca' Guerla, Urbino.

Proprio l'eclettismo o, meglio, come rileva con precisione Maristella Casciato, il "polimorfismo linguistico" di De Carlo è, probabilmente, alla base di un giudizio abbastanza condiviso, anche in questo volume, sulla sua architettura. Essa appare, qui e ora, drammaticamente più datata del pensiero che l'ha prodotta, la cui freschezza emerge fragrante dagli scritti, nelle numerose, folgoranti citazioni riportate dai vari contributi del convegno e nelle riflessioni che esse riescono a stimolare. Non credo si tratti solo della difficoltà, a ragione sottolineata da Giangi D'Ardia, di trovare nella sua opera piacevolezze compositive, pronte a "farsi copiare", né del "freno" che un atteggiamento serio e responsabile opporrebbe, secondo Bruno Gabrielli, all'attività del progettare.


Piastra del villaggio Matteotti, Terni.

È vero che De Carlo sembra aver rovesciato l'approccio di molti maestri dell'architettura (spesso pronti a qualsiasi sotterfugio legale e intellettuale per affermare la propria volontà di forma), preferendo ad una certa forma di cinismo una idea dell'architettura come servizio alle comunità. Ma anche questo impegno collaborativo, nella sua traduzione costruita, evidenza una sorta di tradimento delle sue premesse. Il polimorfismo linguistico decarliano sembra, infatti, derivare dal perdurare di una specifica attenzione alla forma come rappresentazione della complessità delle stratificazioni storiche, scalari e sociali connesse a ogni ipotesi di trasformazione. Qualcosa di abbastanza lontano dall'idea di architettura, che lo stesso De Carlo riprende dal Filarete, come "spazio fisico tridimensionale, organizzato per risolvere un bisogno con mezzi che quanto sono più semplici e intensi tanto più raggiungono un significato universale" (1982). La volontà di tenere insieme tutto ("l'alloggio deve rispondere a pieno alle diverse culture della comunità" sostiene nei suoi ultimi scritti) e l'eco di un certo organicismo alla Jane Jacobs ("il disordine è il più delle volte una forma superiore di ordine", 1991) si risolvono spesso in complicate stratificazioni di segni, come se l'architetto non si fidasse fino in fondo della componente processuale e antilinguistica espressa nei suoi scritti.

Collegio universitario, Urbino.

L'idea di una disciplina il cui scopo "non è di produrre oggetti ma di dare forma e organizzazione allo spazio in cui si svolgono le vicende umane, sviluppando processi" (1982), di una architettura capace di "rovesciare la procedura consueta e stabilire che gli obiettivi di un programma sono materia di progettazione" (1992), in grado di "ridefinire i limiti della responsabilità dell'architetto, per incoraggiarlo a indagare sulle ragioni e gli effetti delle trasformazioni che progetta nella città e nel territorio" (1992), rappresenta la sfida contemporanea del pensiero di De Carlo. Una sfida la cui indagine trova in questo volume un interessante, agile e informato punto di partenza.

Giovanni Corbellini
gcorbellini@units.it
[7 dicembre 2008]
       

La sezione Books di ARCH'IT
è curata da Elisa Poli


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