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Mario Ridolfi, le architetture

Vinicio Bonometto





Marcello Fabbri, a cura di
Mario Ridolfi. Le architetture
"Controspazio 111/112"
2005



 

La rivista "Controspazio" è stata fondata nel 1969 da Paolo Portoghesi, che l'ha diretta fino al 1983. Attuale direttore della testata romana è Renato Nicolini.

 

Il fiume editoriale inarrestabile di libri e riviste che si occupano d'architettura e di critica architettonica ci porta sovente a non considerare con il giusto peso iniziative lodevoli che scontano però una non adeguata pubblicità. Mi riferisco alla ristampa del doppio numero di "Controspazio" per i tipi di Gangemi, monografico sull'opera di Mario Ridolfi, a poco più di trent'anni dalla prima diffusione.

Se, infatti, si è data ampia diffusione alle iniziative "del centenario", legate al riordino parsimonioso di Francesco Cellini e Claudio D'Amato del fondo Ridolfi presso l'Accademia di San Luca e sfociato in tre pregevoli uscite editoriali: Mario Ridolfi all'Accademia di San Luca edizione critica del corpus dei disegni di architettura e dei documenti dello studio Ridolfi e Fondo Ridolfi-Frankl-Malagricci (1924-1984) dell'Archivio dell'Accademia nazionale di San Luca, Roma, Graffiti, 2003; Le architetture di Ridolfi e Frank, Milano, Electa, 2005; Mario Ridolfi architetto 1904-2004, atti del convegno tenuto a Roma e Terni del 2004, Milano, Electa, 2005 (quest'ultimo però curato da Renato Nicolini), quasi nessun commento è trapelato tra gli addetti ai lavori per il numero 111-112 di "Controspazio" che ristampava quello del 1974, né per il numero 114-115, che commentava quella oramai lontana esperienza attraverso un interessante dialogo di Paolo Portoghesi con Renato Nicolini.

Il "vecchio" numero monografico su Ridolfi infatti altro non era che una mirabile iniziativa di Paolo Portoghesi, allora direttore di "Controspazio", che volle pubblicare tutti i progetti e le realizzazioni di Mario Ridolfi. A onor del vero va ricordato che il progetto editoriale di Portoghesi nascondeva però un doppio fine: il"metodo" di Ridolfi poteva arricchire di significato lo slogan teorico speculativo della "presenza del passato" creato dallo stesso Portoghesi e dalla Biennale di Venezia. Ma se "l'ancoraggio" ridolfiano ai postmoderni naufragò quasi subito, la novità editoriale ha avuto comunque il merito di rilanciare un serio interesse nei confronti dell'architetto romano e del periodo in cui operò.


Concorso per il Palazzo della civiltà italiana all'EUR, 1937.

La nuova popolarità di Ridolfi nella fine degli anni Settanta deriva infatti, più che da un impossibile ricaduta stilistica nei confronti dell'architettura postmoderna, dallo svelamento di una ricerca che narra della prima normalizzazione dell'architettura moderna italiana. Un approccio, quello ridolfiano, che dapprima fonde l'avanguardia razionalista del nord-Europa con l'essenzialità pratica e teorica in uso all'ora arretrata società italiana, per poi arrivare, col procedere degli anni a spingersi verso una logicità funzionale accompagnata da tecniche ed essenzialità formali derivate da invarianti della tradizione e dai contesti in cui essa agisce. Vittorio Gregotti la chiamò "l'aspirazione alla realtà" dell'architettura italiana, ovvero un fare architettonico pervaso da un riferimento costante alle nozioni di storia e tradizione e di cui Ridolfi, sia nel pre- che nel dopoguerra, fu uno dei maestri indiscussi.




Scuola media Leonardo da Vinci, Terni, 1952-'61.



Una invariabilità, questa, che aiuta a capire, più di altre, perché la crisi del razionalismo in Italia sia avvenuta prima che quest'ultimo avesse raggiunto una consolidata maturazione. Crisi che però favorì una espressione architettonica singolare e poco paragonabile con i fatti esteri, in cui il moderno italiano andrà "incontro ad un processo di frantumazione da cui derivarono una pluralità di esperienze, eresie, ripensamenti, [da] fungere da elemento di coesione resterà diffuso però un impegno civile e sociale".

Ne è infatti testimonianza la produzione ridolfiana degli anni trenta (che va dall'ufficio postale di piazza Bologna sino alla partecipazione ad entrambe le fasi di concorso per il palazzo del Littorio) ma di ancor di più quella successiva al 1938, quando il giovane architetto romano si troverà escluso da ogni possibilità partecipativa per l'E42, essendo stato eliminato, sia nel concorso per la piazza delle Forze Armate che in quello per il palazzo della Civiltà Italiana. Ridolfi infatti a partire da quell'anno lavorerà sull'unico incarico rimastogli, ovvero quello per la Mostra dell'Abitazione, sempre nell'ambito dell'Esposizione Universale, ma d'importanza decisamente inferiore.

L'impegno dell'architetto è però eccezionale, sia in termini quantitativi che qualitativi, i lotti assegnati a Ridolfi sono due, ma i ripensamenti e le modifiche ai progetti sono moltissimi: scorrendo i disegni si percepisce una totale aderenza alla causa della funzionalità domestica (di fatto già espressa nella realizzazione delle palazzine romane Rea del 1934 e Colombo del 1935), sempre però "rifiutando ogni forma di standardizzazione e meno che mai, di serializzazione". Difficile così non constatare, attraverso le numerose tipologie affrontate (dal blocco in linea, ai duplex, ai complessi alloggi sfalsati) un convinto interesse per il tema dell'abitazione, che lo porterà da lì a poco ad eccellere in termini di capacità operativa nel risolvere i problemi posti dalla ricostruzione postbellica.

Vinicio Bonometto
vinicio@iuav.it

[7 dicembre 2008]
       

La sezione Clippings di ARCH'IT
è curata da Matteo Sintini


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