IT REVOLUTION |
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Hyper-Architecture Antonino Saggio |
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Luigi Prestinenza Puglisi "HyperArchitecture. Spazi nell'età dell'elettronica" (La rivoluzione Informatica) Italia, 1998 Testo & Immagine (Universale di Architettura, n. 38) pp96, €12,39 postfazione di Antonino Saggio acquista l'edizione inglese del libro online a prezzo scontato! |
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[in english] > IT REVOLUTION BOOK SERIES |
I.1. Fluidità al quadrato Riprendiamo alcuni fili. Fluidità è parola chiave dell'informatica. Il singolo atomo informativo non è fissato su supporti (pietra, pergamena, papiro, tela, carta) ma è costituito da un impulso elettrico. Muta con la velocità della luce, ma soprattutto sono le relazioni che lo legano agli altri atomi che mutano istantaneamente. Il mondo informatico è infatti come una ragnatela mobile il cui elemento fondamentale sono le interconnessioni. Se la fluidità descrive, è la dinamicità che caratterizza questo mondo. Possiamo riaggregare nuclei l'uno all'altro, gerarchizzarli in una miriade di relazioni e creare dei modelli. E al variare di un atomo verificare il cambiamento dell'intero sistema oppure, cambiando il senso, l'ordine o l'intreccio delle connessioni, formare mondi diversi. The cloud. Diller+Scofidio. >> Facciamo il più semplice degli esempi. Anche se spesso non ne siamo coscienti, scriviamo in maniera diversa al computer. Il cervello si muove con più velocità, possiamo sempre migliorare e cambiare le parole, immaginiamo e metaforizziamo di più, ma quanti hanno chiaro che è proprio l'interconnessione la chiave? Gli artisti, come sempre, capiscono prima. Un romanziere d'avanguardia, per esempio, scrive buttando giù un flusso spontaneo e caotico di avvenimenti, di storie, di personaggi. Vi si abbandona come a un torrente. Sulla montagna dei dati, indicizza poi le informazioni (cioè mette una serie di parole chiave "uomo, natura, Claudia" ai fatti) e ricava, attraverso ricerche guidate dal computer, le associazioni, le strutture, le forme narrative. Nascono così varie storie da cui selezionare la più significante oggi. Il suo universo è malleabile. Ora è chiaro che se ci occupiamo di spazialità architettonica, di che tipo di "scrittura" architettonica dobbiamo usare per capire il senso della rivoluzione informatica, la risposta non può risiedere solo nel primo livello, gli atomi e la loro capacità di mutamento, ma deve affondare proprio nella loro interconnessione dinamica. È questa relazione, questo pattern come lo definisce Fritjof Capra, il vero motore di tutta questa era, ivi compresa l'architettura. Ma come? I.2. Metaforizzazione Proiettare, mutare, simulare sono attraversate da un tema su cui riflettere ancora: quello delle figure retoriche (ossimoro, metonimia e molte altre ancora ma fermiamoci, per semplicità, solo sulla metafora). Le figure retoriche, che hanno uno sviluppo fortissimo proprio nella scrittura al computer, in fondo creano proprio un interconnessione, un modo di relazionare dati per lanciare messaggi, per convincere. La figura retorica ha un aspetto potenzialmente dinamico che altre relazioni (causa ed effetto, prima e dopo, sopra e sotto) non hanno. Se viene detto: "Sei bella come la luna" il messaggio è polidirezionato: c'è una chiave di lettura ma altre sono possibili (al variare delle culture, dei momenti, dei paesi eccetera). I messaggi della nostra epoca elettronica sono sempre più metaforici e sempre meno assertivi. È l'enorme mole delle informazioni che impone nessi, ma nessi più liberi, più aperti. Un esempio? La pubblicità del mondo industriale è stata assertiva. Questo sapone lava più bianco, questo jeans è più resistente. Sappiamo che la pubblicità oggi manda dei messaggi tutti traslati tutti metaforici. Induce, sostanzialmente attraverso l'uso delle figure retoriche, a una associazione tra una serie di elementi e il prodotto. Spesso senza neanche farlo vedere, il prodotto, e spesso senza neanche descriverlo. Si compra prima la narrazione, l'utopia di vita, che il prodotto promette, poi la sua forma e si dà assolutamente per scontato che esso funzioni. Il contenitore stravince sul contenuto. |
[05nov2002] | ||
KlangTurm. Coop Himmelblau. >> |
Ma questo processo di
metaforizzazione, indotto da un sentire che supera i meccanicismi industriali per aprirsi ad una sfera più libera, e polidirezionata di
messaggi, questo processo basato sulle interconnessioni dinamiche della metafora, investe tutto ai nostri giorni. Basti vedere il design e
la stessa sfera per altro più resistente ai cambiamenti dell'architettura. Un edificio non è più buono solo se funziona, è solido, spazialmente ricco, vivibile eccetera ma perché rimanda ad altro da sé. Libeskind fa una Z drammatica per raccontare il dramma dell'olocausto, Eisenman un ballo di zolle telluriche per la sua chiesa, Gehry un fiore di loto nel suo auditorium, Domenig crepacci che si scontrano nella sua casa. Sappiamo che il processo di metaforizzazione investe buona parte dell'architettura di oggi e che il suo campo fondamentale è una nuova interiorizzazione del paesaggio e del rapporto tra uomo e natura. Questo è acquisito, o quasi. Per andare ancora avanti e battere il terreno dove è ancora duro dobbiamo tornare all'elettronica e soprattutto al suo centro: le interconnessioni. I.3. A Bill Dopo l'invenzione del personal computer, siamo attorno al 1977, la prima rivoluzione dell'informatica è avvenuta nel 1984 quando fu diffuso un sistema operativo (cioè il modo in cui l'utente utilizza il computer) rivoluzionario. La base fu, naturalmente, la metaforizzazione. Non più codici astrusi che apparivano su uno schermo inanimato, ma oggetti su uno schermo – scrivania. Per aprire o duplicare un documento lo si indicava con un puntatore e vi si cliccava, per copiarlo lo si trascinava in un altra localizzazione, per cambiargli nome, semplicemente si riscriveva sulla sua piccola icona, per buttarlo lo si metteva in un cestino. Questo modo di procedere per metafora, metafora del mondo reale applicata all'elettronica, fu assimilata anche dai programmi. Per disegnare c'era una tavolozza di strumenti, per scrivere un rullo simile a una macchina da scrivere, per disegnare un tecnigrafo. Questo primo livello di metaforizzazione fu fondamentale perché introdusse milioni di persone al computer e fu talmente importante che divenne uno standard su più piattaforme. Ada ETHZ. >> Ma la seconda invenzione fu ancora più importante e fu così innovativa che solo oggi si comincia effettivamente a capirne la portata. Eravamo nel 1987 e un genio, William Atkinson, dopo aver contribuito sostanzialmente alla costruzione della metafora della scrivania, sviluppò una nuova idea. Perché non dare all'utente non solo una metafora preconfezionata, ma la possibilità di creare egli stesso delle metafore? Perché non lavorare, cioè, a uno strumento "creatore" di metafore? Bill creò così Hypercard, che è appunto un ambiente informatico creatore di metafore. L'utente butta giù informazioni sotto qualunque forma (disegni, scritti, numeri, tabelle, sequenze animate, oggetti tridimensionali e quant'altro) e al contempo, o dopo, fa due cose fondamentali: crea le connessioni e organizza un ambiente metaforico. Il più banale di questi ambienti è la card (la scheda) dove sono contenute le informazioni e dove cliccando su ciascuna si può procedere nella rete delle relazioni, ma accanto alla scheda vi possono essere milioni di altri ambienti metaforici. La produzione di un artista è nel suo studio virtuale, su una lavagna si svolge una lezione virtuale, si fa lo shopping a casa in un negozio vero e soprattutto si possono sognare e costruire mondi che non esistono. Questo è il breve ciò che si chiama Hypertesto. La base è l'interconnessione tra gli atomi informativi e la creazione di un ambiente metaforico in cui le interconnessioni hanno luogo. La conseguenza è che l'utilizzatore ha dei tragitti non obbligati, non sequenziali. Può seguire percorsi già prefissati o trovarne suoi nuovi. In qualche modo, è come se il romanziere di prima desse la sua struttura significativa ai dati e allo stesso tempo lasciasse aperta al lettore la possibilità di creare una sua. Ormai questo sistema è dappertutto perché mentre nel 1987 si era relegati a un singolo computer oggi Internet è una ragnatela planetaria che lega tra loro tanti mondi informativi. I.4. Pittore dell'Hypertesto Torniamo all'architettura e domandiamoci: possiamo lavorare anche in architettura a questo secondo livello? Possiamo lavorare a una architettura che sia non solo metaforica, ma anche "creatrice di metafore", che lasci aperta, libera, strutturata/non strutturata la propria decodificazione e che suggerisca e lanci all'utente la possibilità di fare "la propria storia"? Insomma il fine vero non è solo la metaforizzazione di primo livello, ma quello di secondo. Riuscire non solo a immaginare un'architettura fluida, metaforica, aperta, che giochi sulla pelle come nuovi immateriali sensori, che inglobi e faccia tesoro di una multimedialità che si spinge nei sistemi di controllo e in quelli informativi ma che sia soprattutto capace di generare e far generare altre metafore, che sono quelle della vita, e del suo svolgersi in questa nuova dimensione: tutto il passato e tutto il futuro. Possiamo lavorare attorno a quest'idea ambiziosa e difficilissima come frontiera del nostro impegno? Infine: esiste una parola più adatta di HyperArchitettura per descrivere questa sfida? Cosa ci può aiutare? Può essere mai che questo sentire, questo bisogno in un secolo così ricco di eventi, di personalità, di geni, non sia stato già almeno intuito? Nell'architettura di quest'ultimo decennio si sono fatte alcune scoperte importantissime guardando all'arte figurativa. L'ultimo Gehry deve moltissimo a Boccioni e al suo concetto di traiettoria, a quello sforzo di superare la plastica dell'oggetto isolato per una vibrazione atmosferica. Peter Eisenman ha mutuato più di una tecnica dalla vibrazione di Duchamp e di Balla. Il dripping di Pollock è sfiorato in alcune ricerche sulle nuove forme del paesaggio e della costruzione della natura, ma chi ha veramente intuito la spazialità insita in un Kandinsky? Atomi e mondi geometrici sono inseriti nei suoi quadri in una ameba liquida, ma queste figure si interconnettono con linee, con sovrapposizioni, con interconnessioni. L'insieme emana energia e sembra come un Hypertesto perché può continuamente muoversi, ha una struttura fotografata in un attimo ma il suo valore non è l'attimo statico di un Mondrian, ma la possibilità di divenire, di essere libero e aperto. Certo sappiamo che senza la rottura della scatola e l'orientalismo impressionista non c'è Wright, che lo spazio di Braque prelude al Bauhaus, che il vigore del gesto e della deformazione espressionista si apparenta a Mendelsohn e a Scharoun, che i piani neoplastici trasmigrano quasi direttamente in Rietveld e Mies. Sappiamo che gli artisti hanno una spazialità che trasmigra in architettura. Ma la spazialità fluida, liquida, sottomarina, metaforica, simbolica e interconnessa di Kandinsky (e di Mirò e di Klee) è, senza l'informatica, impossibile da concettualizzare in architettura. Ma con l'informatica essa diventa almeno nebulosamente intuibile. Questo è forse quello che cercheremo di fare con questa strana parola: Hyperarchitettura. Antonino Saggio |
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