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Il
Motivo di Sant'Ivo Antonino Saggio |
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NUOVE
INTERPRETAZIONI ICONOGRAFICHE E ARCHITETTONICHE DEL CAPOLAVORO DI
FRANCESCO BORROMINI ALLA SAPIENZA DI ROMA. |
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Due
sono gli scopi di questo scritto. Il primo è dare una risposta
a quattro insiemi di elementi iconografici presenti in Sant'Ivo alla
Sapienza di cui a oggi è rimasta incerta o in alcuni casi (vedi
I e IV) poco o mai affrontata la soluzione. Innanzitutto (I) la presenza
ricorrente del tema della corona, (anzi con più precisione
"sempre" di due corone); poi (II) il ricorso al tema binario
in una serie numerosissima di elementi; inoltre (III) l'interpretazione
della spirale sulla lanterna e infine (IV) il ruolo decisivo attribuito
alla sfera posta alla sommità della costruzione. Questi quattro
gruppi di elementi iconografici sono visti, ed è la particolarità
di questo scritto, non solo in maniera nuova ma anche in strettissimo
rapporto con lo sviluppo delle scelte architettoniche di Borromini.
L'apparato iconografico non è un "di più",
uno strato decorativo apposto su una sostanza spaziale che le è
estranea. Al contrario le scelte iconografiche sono rafforzate dalle
decisioni spaziali e organizzative e le une e le altre costituiscono
la forza dell'opera. "Il Motivo di Sant'Ivo" indica come
risieda in questo indissolubile intreccio il centro della progettazione
di Borromini e il segreto dell'opera. |
[02mar2005] | |||
Vi
è una differenza tra il tema e il motivo. Il tema rappresenta
quell'insieme d'idee che hanno un campo d'applicazione sintattico.
Non tutti gli architetti hanno un tema. Anzi solo alcuni riescono
ad elaborarne uno e a piegare le occasioni a ricerca su quel tema
piuttosto che a semplice adesione a fatti contingenti. Ma il motivo
è più del tema. Il motivo intreccia indissolubilmente,
e a volte drammaticamente, la caratteristica della ricerca sintattica
alle ragioni profonde che riguardano il tempo e le sue crisi e naturalmente
la storia generale e personale. Cose spesso non dette, o che è
meglio non dire, ma solo mostrare a chi sa vedere. * Sant'Ivo
alla Sapienza, la cappella per l'università di Roma che si
assesta sul fronte meridionale di un ampio cortile porticato del massiccio
palazzo dell'Università romana fondata nel 1303 è la
più completa costruzione di Borromini e la più significativa
opera dell'inversione di forme e di significato che l'architetto mette
in atto nella sua produzione. |
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Come si sa, Borromini lavora attraverso l'intreccio di due triangoli equilateri che determina una pianta centrale ad andamento poligonale composta da sei nicchie. Tre nicchie hanno un andamento concavo (e ospitano da una parte l'altare maggiore e alle due ali le porte di accesso alle sagrestie) e tre nicchie hanno forma convessa e ospitano l'accesso principale e due altari. Inoltre, al piano superiore, queste tre nicchie formano altrettante logge che raccordano il vano della chiesa ad altri ambienti del primo piano dell'Università. La figura concava e quella convessa sono raccordate tra loro attraverso sei grandi speroni angolari che premono lo spazio verso l'interno, le nicchie concave lungo il perimetro trattengono e rilanciano all'interno la pressione, mentre le tre nicchie convesse, per la particolarità della loro conformazione a triangolo spezzato, lanciano tutto le forze fuori dallo spazio, come se le linee forza non si possano che ricongiungere oltre l'involucro murario. (3) La figura mistilinea formata in pianta da un intreccio di parti concave e convesse si rivela, inusitatamente, nel cornicione che termina la parete verticale della costruzione. La pianta è "letteralmente" leggibile in sospensione, in una sua traslazione a sedici metri di altezza nella linea zigzagante di un cornicione aggettante marcato da una potente linea di chiaroscuro. Al cornicione non vengono sovrapposti i consueti elementi di raccordo per creare la base circolare di una cupola, ma l'architetto vi fa partire direttamente sei spicchi che di nuovo alternativamente concavi e convessi creano la copertura. Creano la copertura, "non" la cupola. Perché se una cupola ha la figura di un manto omogeneo che scende, qui abbiamo una anamorfosi, un combinarsi e trasformarsi delle figure nate dal basso, dalla compenetrazione dei due triangoli, sino alla progressiva perfezione del cerchio. È il ballo dell'unione, è il combinarsi dei diversi nella vita che si svolge. Questa danza, nel vorticoso roteare delle forme intrecciate, assume l'andamento della volta celeste che negli stessi anni il cannocchiale di Galileo ha insegnato a scrutare e a capire: le stelle sono terrene, sono "nostre" e allo stesso tempo sono spirituali e sublimi come forse mai erano state. Con questo ballo Borromini determina uno dei momenti più alti dell'architettura di tutti i tempi e dispiace non poter essere d'accordo con chi sosteneva che Borromini non raggiunge i vertici di Caravaggio. Il movimento "non raccordato" della copertura arriva, dicevamo, ad un cerchio di circa tre metri di diametro da cui piove la luce dall'alto, ma Borromini deve assolutamente continuare perché il frutto della metamorfosi che le due figure hanno subito nel loro intreccio deve ancora darsi. Ora bisogna capire bene qual è la storia che si associa a questo mirabile sforzo architettonico. Borromini ci parla solo di una composizione di geometrie, di luce, di trasformazioni che dinamizzano lo spazio? Borromini insegna solo come riportare magistralmente una composizione di temi geometrici diversi ma compenetrati alla purezza sferica dell'unità? Borromini ci raccolta solo il suo essere un artista "astratto" dello spazio e delle forme o ci vuole raccontare anche un'altra storia? La storia che questo caposaldo eretico e diverso che è Sant'Ivo racconta è quella della compenetrazione tra gli opposti per generare nuove scoperte, nuova vita, nuove conoscenze. In questo intreccio, in questa compenetrazione, in questo dualismo, in questo scontro-incontro si genera e si rigenera sempre. Questa è la storia che Sant'Ivo ci narra con una forza tenace, commovente, tragica perché intimamente e indissolubilmente legata allo sviluppo spaziale del tema. Quali sono questi dualismi, allora? Il primo, naturalmente, è quello tra Scienza e Spirito, tra conoscenza razionale e fede, tema lacerante in quegli anni come abbiamo ricordato e che nella sede dell'Università di Roma ha ovviamente un punto di non trascurabile incontro e scontro. Il secondo è quelle delle nozze del Sole e della Luna nella stessa tradizione della chiesa. (4) Il terzo, naturalmente è di più antica tradizione ed è quello in cui la figura della compenetrazione e della ricerca di equilibrio tra opposti non è solo metaforica ma fisica ed è quello del rapporto tra uomo e donna, dell'atto che genera appunto la vita. La figura della croce a braccia uguali pre-cristiana, lo Ying/Yang orientale, la Stella esagonale del sigillo salomonico sono tutti simboli di queste forze opposte che trovano equilibrio nella creazione. |
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Il
tema iconografico (vedi I) della corona, (anzi come dicevamo "sempre"
di due corone) rappresenta esattamente questo sviluppo. Il tema si presenta
nel fronte di Sant'Eustachio con i motivi decorativi dei due balconi
l'uno caratterizzato da una corona aguzza maschile e una fiammeggiante
femminile, e si riprende con forza negli stupendi motivi scultorei delle
due nicchie sopra gli accessi delle sacrestie che chiudono il triangolo
sull'altare. Naturalmente il tema della corona fornisce piena evidenza
figurativa a quello che è un tema binario ricorrente in molti
altri apparati iconografici dell'opera. I motivi floreali delle altre
nicchie sono sempre alternati (fiori a stele nelle une, sistemi di rose
inserite nei cassettoni nelle altre), anche le file di stelle che accompagnano
la copertura si presentano in file alternate ad otto o sei apici, così
come il motivo degli angeli serafini e cherubini alternati sempre nella
copertura. Ma ovviamente il tema binario e la compenetrazione d'opposti
è all'origine anche e soprattutto della pianta. Appunto i due
triangoli equilateri compenetrati a formare una stella a sei punte o
sigillo di Salomone. Soffermiamoci ora sul tema della spirale sulla lanterna (vedi III). Su questa spirale è stato scritto un numero di contrastanti interpretazioni (dal monte del purgatorio dantesco, alla torre di Babele, alla tiara papale...). In particolare, se si accettano motivi araldici alla base del progetto (5) la spirale della lanterna viene affidata ad un insieme "disomogeneo" e disorganico d'interpretazioni. Si rende così cervellotico quello che ha al contrario un'evidente linearità: l'opera invece di presentarsi come un coesivo sistema che pervade come un fluido, spazio ed elementi iconografici, organizzazioni geometriche e motivi simbolici, diventa un incongruo mercato di allegorie. |
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La spirale presenta invece con tutta chiarezza il tema della dualità ed è composta da "due" corone semplicemente una dentro l'altra. La prima è accompagnata dagli identici motivi ornamentali a pietre dure usate nelle altre corone presenti nell'opera e forma nel suo sviluppo verticale una spirale avvolgente che culmina nella seconda corona, fiammeggiante, da cui parte la costruzione in ferro che porta al cuore e al culmine dell'opera. La sfera. Abbiamo scritto in altre occasioni che Roma ha sangue Etrusco, non romano. E tanto più sensibili sono i suoi artisti tanto più sentono sotterraneamente, ma in maniera decisiva, questo influsso. Ci si stupirà allora che nelle tombe etrusche (per esempio in quella di Montovolo (6)) esista chiarissima la stessa sfera che usa Borromini ad evidente significato di continuo mutarsi e rigenerarsi della vita (o se si vuole, più prosaicamente semplicemente, mutarsi e rigenerasi della conoscenza)? Nella tomba dei Tori a Tarquina appare nell'affresco non solo la sfera-uovo (troppo lungo sarebbe descrivere l'evidentissima analogia), ma addirittura la sfera sormontata da una croce greca usata come decorazione del fregio e alternata ad altre figure che potrebbero essere gigli. Si noterà che la conclusione della spirale borrominiana sia proprio una sfera, appunto l'esito, l'unità, il nucleo di dna formato dalla compenetrazione tra opposti da cui si rigenera la vita. Alla sfera sormontata a Sant'Ivo da una croce greca con gigli alle estremità, è appoggiata la colomba con l'ulivo. È un simbolo comunemente accettato dello Spirito Santo ma anche un messaggio che Francesco lancia. La colomba guarda infatti verso l'obelisco della Fontana dei fiumi che è sormontata da una precedente colomba questa volta berniniana. |
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La
figura delle aste in ferro che in sospensione sorreggono la sfera ha
inoltre anch'essa una simbologia. Quello delle due mani alzate e unite
sopra il capo a innalzare al cielo il frutto dell'unione. Ho trovato
in un sarcofago conservato nella Sala II del Museo Gregoriano egizio
ai Musei Vaticani un dipinto con esattamente lo stesso simbolo delle
due braccia sollevate sopra la testa a innalzare una sfera. È
solo un'incredibile coincidenza? Appena sotto vediamo la corona che
cinge il capo a sua volta inserita e compenetrata in un'altra corona
a forma di spirale!! La spirale della lanterna di Sant'Ivo si genera dalle compenetrazioni che si originano "dal basso", si avvita in accelerazione nell'aria e esplode nell'uovo-sfera. Che può essere visto come fine del processo nel doppio significato che ha la parola in Italiano. Fine come termine della compenetrazione degli opposti che si generano a partire dalla pianta, ma anche fine come scopo, come motivo. |
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