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HELIOPOLIS 21. Radical Reconstruction





Lebbeus Woods 
"Radical Reconstruction"
USA, 1997
Princeton Architectural Press 
212pp, $21.00
essays by Aleksandra Wagner and Michael Menser

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Come sosteneva il sociologo americano Lewis Mumford, l'architettura è lo specchio della società. Se la diversità è ormai stata acquisita come un valore sociale da promuovere in contrapposizione all'omologazione, perché mai in architettura si è costretti a proporre il contrario?

[15dec2001]
"Radical Reconstruction" è un omaggio al Massimalismo, inteso come "meravigliosa complessità" in contrapposizione alla "retorica del Reduttivismo e del Minimalismo". Lebbeus Woods, vincitore, nel 1994, del Chrysler Award for Innovation in Design, architetto e brillante professore universitario di teoria e progettazione sperimentale, ne è l'autore. Utopista come un "novello" Etienne Boullèe, espressivo come Gianbattista Piranesi, rivoluzionario come il teorico veneziano Carlo Lodoli, "Lebbeus Woods, è largamente considerato il più eccitante e originale visionario dell'architettura odierna", ma risulta, paradossalmente, quasi sconosciuto nel nostro paese. Anche se "Radical Reconstruction" non offre soluzioni necessariamente buone e tantomeno rassicuranti; costituisce un occasione, affinché anche i professionisti e gli appassionati di architettura in Italia prendano coscienza della complessità delle matrici progettuali e delle architetture "possibili" al di là delle convenzioni. Emblematico quanto Woods stesso afferma: "cos'è l'architettura radicale?" Egli ha una sola risposta: "quella nella quale non si sa ancora come comportarsi". L'apparato teorico di "Radical Reconstruction", perfettamente integrato da disegni infarciti di annotazioni autografe, è un esempio del fervore del dibattito internazionale sull'architettura e ci suggerisce che la centralità della questione della conservazione dei beni monumentali, in contrapposizione alla progettazione genericamente e con poca precisione definita "moderna-contemporanea", tradisce il provincialismo che spesso caratterizza l'approccio alle questioni architettoniche in Italia. Nel volume si delinea una nuova "rivoluzione copernicana" dell'architettura: l'imprevedibilità, l'incontrollabilità e la scala degli eventi che possono modificare l'habitat umano rendono insufficienti ed obsoleti i mezzi che siamo abituati ad utilizzare per qualificare l'ambiente urbano.

L'opera, suddivisa in tre parti e sostenuta da saggi di Aleksandra Wagner, Michael Menser e dello stesso Lebbeus Woods, indaga sulle possibili relazioni tra architettura e forze distruttive di origine antropica o naturale. La frammentazione e il decadimento delle periferie, la povertà e la devastazione, nel pensiero del maestro americano, diventano momento di riflessione e ispirazione per nuovi approcci alla progettazione. In perfetta sintonia coi tempi moderni, in antagonismo con lo snobismo di certe élites europee, il volume è inoltre un compendio di cultura trasversale e isotropica: ai frequenti riferimenti letterari e politici, nelle parti scritte, fa da contrappunto l'accattivante impostazione grafica improntata ad uno stile caro agli appassionati di fantascienza. Le visioni apocalittiche delle città prese in esame (Sarajevo, L'Havana, San Francisco), disegnate con tecniche che ricordano quelle di alcune riviste di fumetti in cui si mischiano scenografie del cinema espressionista tedesco con lo stile post-atomico del filone "Mad Max-Waterworld", convincono del fatto che i limiti tra eventi catastrofici, utopia e realtà sono assai più labili di ciò che crediamo, come i recenti fatti di New York hanno tragicamente evidenziato.

Nella prima parte del volume Woods presenta i progetti per la ricostruzione di Sarajevo. Le sue parole, che al momento della pubblicazione sembravano un monito, hanno oggi il sapore di una giusta e feroce analisi: "sebbene nessuno lo desideri" eventi ancor più gravi ci attendono se l'umanità, dopo lo "sciogliersi" della guerra fredda, continua a frammentarsi "lungo nuove e imprevedibili linee" come le crepe che si formano su un grande monolito di ghiaccio. "E' un'immagine paurosa e deprimente da disegnare", ma "soltanto affrontando l'insanità della distruzione volontaria, la ragione può nuovamente credere in se stessa". In considerazione di ciò Woods crede che gli eventi catastrofici portino conseguenze tali per cui il concetto di pianificazione stessa perda di significato e che essi aprano una seria sfida all'idea di pianificazione in sé: "in un campo dominato dalle incertezze non è possibile disegnare coerentemente con predeterminati programmi di uso" siano essi multifunzionali, flessibili o ibridi. Nei fatti, come afferma Haris Pasovic, "Sarajevo è la prima città del ventunesimo secolo". Per essa, evidentemente, le risposte del ventesimo secolo sono chiaramente inadeguate anche riguardo alle questioni di architettura. Collassato l'ordine sociale che li aveva promossi, i palazzi della città non hanno altro significato che quello di "monumenti alla morte".

La violenza della guerra costringe a un esame più profondo delle relazioni e delle interdipendenze esistenti tra violenza e creatività, distruzione e costruzione. Su una impalcatura solidamente politico-filosofica, Woods compie una sorta di trasposizione in architettura del "lussureggiamento dell'ibrido" attraverso contaminazioni tra edifici preesistenti e "nuove" strutture. I concetti di ricostruzione proposti si basano sul principio di costruire "sui resti esistenziali di guerra come via per trasformare e cambiare la violenza trascendente". A seconda delle differenti modalità, in modo certamente provocatorio, lo stesso Woods definisce tali innesti come "croste", "cicatrici", "iniezioni", "nuovi tessuti" (che ricordano sensibilmente antropomorfismi alla Hans Ruedi Giger). Egli immagina high houses e strutture architettoniche simili a insetti metallici ipertrofici e poliformi che si arrampicano tra palazzi di "regime" o semplici abitazioni "spolpate" da esplosioni e bombardamenti: Woods estende i precedenti studi sul disegno di spazi atipici (freespace), e di spazi ai margini di palazzi esistenti (egli presenta nel volume anche specifici progetti di ricostruzione su cui aveva lavorato nel 1993 riguardanti l'Elektroprivreda building e le Unis towers, opere dell'architetto Ivan Straus).

Filosoficamente, come lo stesso Woods dichiara, i progetti proposti per l'Havana non si discostano da quelli per Sarajevo. Questi da una parte sembrano pura fantasia, dall'altra propongono una "civica cooperazione come base per la ricostruzione… Nessun livello di stratificazione sociale è necessario qui, niente più mediazioni di idee attraverso la burocrazia". Woods propone tre progetti come risultato della visita all'Havana avvenuta nel 1995 in occasione di una conferenza. In essi ricorre il tema del "muro", leitmotiv della sua produzione teorica: il primo progetto è un "nuovo limite urbano proposto per Melacòn" e una terrazza artificiale sul mare; il secondo progetto riguarda un nuovo muro urbano "lungo il limite ideale della città del periodo coloniale", inteso come una costruzione massiccia di muratura e cemento che contiene servizi pubblici e che serve sia come limite sia come sostegno per la costruzione di nuovi tipi di spazi per abitanti all'interno della città vecchia"; inoltre, proprio in virtù del particolare contesto culturale è politico, Woods ritiene che l'Havana sia il luogo ove proporre la costruzione di un Meta-Institute il cui scopo è quello di "ideare principi, pratiche e regole attraverso le quali le istituzioni (sociali, politiche, culturali) possano continuamente revisionare e riformare se stesse".

I progetti per San Francisco infine esplorano, relativamente all'architettura, nuove relazioni "potenzialmente creative" non solo con gli effetti del terremoto, ma più criticamente, con la natura in senso più ampio. Woods parte dal presupposto che gli edifici convenzionali siano costituiti da strutture ortogonali: in zona sismica tale condizione li rende potenziali Killer. Questo paradosso, secondo Woods, può essere superato ripensando ab ovo la progettazione. Egli, infatti, idea differenti tipologie abitative che resistano alle sollecitazioni in qualche modo assecondandole o letteralmente evitandole, ad esempio attraverso la qualità e l'inerzia dei materiali o attraverso la flessibilità delle strutture. Nascono così le shard houses, le slip houses, le wave houses, le fault houses e le horizon houses.

La critica che più spesso è stata mossa a Woods è che, in qualità di architetto, non ha mai "colpito nel segno" con le proprie realizzazioni. In realtà sono gli "eruditi fondamenti filosofici" a sostenere la sua teoria e i suoi straordinari disegni. Sarebbe come negare il fatto che la lezione dei grandi trattatisti, da Vitruvio a Milizia, abbia determinato le basi per la creazione di architetture altrimenti impensabili. Ed è infatti proprio nel "brodo di coltura" del Massimalismo che è cresciuta una generazione eroica di architetti come Gehry, Morphosis, Coop Himmelblau e Libeskind, solo per citare gli esponenti più noti. E mentre i "crociati" del "tutto com'era, dov'era" riempiono le pagine culturali di alcuni quotidiani e, per fortuna, di poche riviste specializzate, la Cooper Union, Harvard, la Columbia, la Penn State formano oggi generazioni di architetti per i quali Woods è un eroe underground e la sua teoria è già "culto".

HELIOPOLIS 21

ocmel@tin.it
Alessandro Melis, Gianluigi Melis, Benedetto Montesi, si laureano a Firenze. Si uniscono a formare il gruppo di progettazione Helipolis 21, con sede a Pisa. Si occupano di progetti pubblici e privati, partecipano a concorsi ottenendo premi e segnalazioni. Alcuni dei progetti di H21 ricercano una definizione colta del progetto e delle sue principali declinazioni verso esempi fortemente legati ai rinnovamenti linguistici internazionali: ampliamento del liceo scientifico "Pitagora" a Cagliari (1996); convention central presso la centrale idrica di Pisa (1996); nel 1998, il progetto di concorso per un parco e area espositiva all'aperto ottiene il primo premio nazionale di architettura Trevi-Flash Art. Nel 1997 curano il restauro e la riconversione in museo delle acque della centrale idrica di Pisa (in corso di realizzazione). Tra le realizzazioni più recenti: stazione ecologica per la raccolta differenziata dei rifiuti ecologici urbani a Pisa (2000) e ristrutturazione di un appartamento nel centro storico di Pisa (2000). Nel 2001 è stata pubblicata una monografia sul lavoro di H21 a cura di Paolo Caroli e Giovanna Gheri, edita da ETS.

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la pagina collection è curata da
Matteo Agnoletto

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