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DE BATTÉ. Le città invisibili





Italo Calvino
"Le città invisibili"
Einaudi, 1980



 
Credo che Le città invisibili di Italo Calvino sia un libro da consigliare agli studenti di architettura, come libro di testo in parallelo a Come si fa una tesi di laurea di Umberto Eco. Due libri strumentali, ma il primo più che mai un vero manuale di lettura della città, il secondo un vero breviario per comporre con metodo capitoli, bibliografie etc. Calvino ha sempre provato a parlare di spazio, come nelle Cosmicomiche dove argomenta la forma dello spazio o il racconto "senza colori" che introduce alla visione monocroma (un po' tipica quasi di tutte le scuole d'architettura), e dalle collezioni di sabbia o il parallelo Palomar sino ad arrivare alle Lezioni americane, il percorso si fa sottile e raffinato, astrae sempre temi di architettura, offrendo un prezioso settaccio dove far passare Eisenman, Holl, Ito, Piano, Foster... diventa una rilettura spoglia dai giochi di posizione stilistica o di categoria. Qui sta il punto: rileggere anche il Novecento non più per categorie di movimento ma per grandi temi riconducibili a letture possibili di chi usa e consuma lo spazio, fuori dagli specialismi.

Infatti le dinamiche del "consumo e/o d'uso" sono insiemi che movimentano in modi esponenziali fruizioni e spostamenti mettendo a dura prova il senso dell'architettura e della città. Sotto questo profilo ritorna un senso complesso dei tempi come cronologie o meglio cronometrie, le dinamiche in un punto dello spazio possono essere correlate a più dimensioni temporali in interscambi di tempo, qui sta la modernità. La dimensione e lo spazio hanno sempre avuto una relazione a parametri come la fatica, un tempo misurabile in forza lavoro, al concetto di spostamento unico per tutti (giornate a cavallo) e questo cadenzava spazio tempo, o meglio ancora, come rincorreva ancora (in tempi "moderni") il Giedion nel volume Spazio tempo architettura. Dimensioni del tempo oggi che si dilatano in bolle di sapone e s'infrangono dopo l'uso, questo spazio veramente contemporaneo e relativo produce dinamiche dove è quasi impossibile fermarne lo stato, o sospenderlo, questo fluido errante di flussi, di scambi, di comunicazioni, di immagini... come un torrente, segue naturali scoscesi piani drenanti in turbinii metamorfici. Forse qui sta l'interesse osservativo di chi ha organizzato la Biennale [l'ultima Mostra di Architettura della Biennale di Venezia, "Metamorph", ndr] in chiara lettura metamorfica, o quelli sono i primi segnali di eventi (già conosciuti) prossimi in divenire?! Comunque si pongono cronologie come ed oltre ne Il castello dei destini incrociati.

[27dec2004]


A questo, e dopo il panagirico, volevo introdurre due libri nuovi chiave da leggere contemporaneamente e così poter rileggere Le città invisibili che introducevo prima. I libri in questione Percorsi anomali di Giuseppe Zuccarino e Taala di Marco Ercolani. Il primo è in riferimento alle peculiarità del lavoro degli autori esaminati: Bataille, Caillois, Klossowski e Michaux. Ognuno di essi infatti è caratterizzato da una visione fortemente personale della scrittura e dell'esistenza in genere, visione che lo conduce spesso a formulare teorie e a realizzare opere insolite e contrastanti rispetto a quelle consuete. Se qualcosa li accomuna davvero in profondità, è proprio l'irregolarità del loro modo di pensare. Sia che affrontino temi di per sé scottanti o sgradevoli, come quelli dell'erotismo perverso, della follia o della morte, sia che propongano idee inusuali in ambiti che parrebbero rassicuranti o definiti da tempo (come quelli relativi al rapporto tra natura e cultura, arte antica e arte moderna, linguaggio verbale e linguaggio non verbale), essi riescono ogni volta a spingersi in una direzione personalissima, magari opinabile ma di sicuro esente dal vizio della gregarietà. A ciò si aggiunge una diversa provocazione, quella che investe la forma stessa delle opere, nelle quali si ritrovano i più insospettati incroci fra prosa e poesia, racconto e saggio, letteratura e filosofia, finzione ironica e discorso serio. Questo lavoro raffinato di Zuccarino mi ha riportato a quei registri del lavorare nel già costruito, patrimonio ormai di scuole italiane con sfumature lievi da Genova a Palermo, ma non solo mi ha riportato a un gioco sapiente già tracciato da Queneau in Esercizi di stile, un saper lavorare con diversi registri sullo stesso oggetto.

Il secondo libro tratta di una città, forse aggiuntiva a quelle invisibili di Calvino, e come dice l'autore "sono tentato dal descrivere Taala come si descriverebbe una città mirabile, enigmatica o terrorizzante. Insomma, costruirti il romanzo della città, perché tu possa leggerlo. Ma Taala non era così. Chi si aspetta un'oasi romantica vide dei palazzi d'acciaio: chi avrebbe voluto una città d'acciaio affondò in una palude. Insomma Taala deluse tutti. Per un certo periodo di tempo, ci sentimmo quasi irrisi da lei: il suo opporsi ai nostri desideri ci sembrò il pensiero diabolico che ci opponeva per non essere posseduta. Poi cominciammo a capirla. E allora divenne il bello amarla, provare un senso di stupore e di rispetto, di felice meraviglia... ecco cos'era Taala: una città sventrata, una trincea con nubi di polvere e di fumo, i sacchi di sabbia nelle strade, gli schermi che si gonfiano nell'aria, secondo il vento... Taala è proprio così: una città incerta di sé che tutti possono plasmare, come un vaso di cera...". Un racconto che rimanda si a Calvino ma apre immaginari delle periferie, delle mutazioni figurative secondo Kroll, o la Beirut secondo De Carlo dove la partecipazione gioca il ruolo del vaso di cera.

Brunetto De Batté
bdebatte@libero.it
 
 

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