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Le nuove tecnologie e Borromini: la mostra di Roma

di Silvia Bendinelli e Alessandra Faini

[04feb2000]


"Non mi sarei messo à questa professione al fine d'esser solo copista". Questa orgogliosa dichiarazione di poetica, inserita ad apertura di una dei testi fondamentali della storia dell'architettura europea, l'Opus Architectonicum di Francesco Borromini, male sembra adattarsi alla figura dell'artista che viene proposta dalla mostra dedicata all'architetto ticinese, da Palazzo delle Esposizioni a Roma. Inaugurata il 15 dicembre, l'esposizione rimarrà nella capitale fino al 27 febbraio per poi raggiungere l'Albertina di Vienna, una delle istituzioni che assieme alla Biblioteca Hertziana di Roma ne ha curato la realizzazione e l'allestimento.

Nonostante la mostra raccolga la quasi totalità del materiale autografo dell'architetto, tutto di grande importanza e bellezza, la reale portata rivoluzionaria di questo dirottatore della storia dell'architettura, come lo definisce Zevi, non riesce ad emergere dalla inanimata sequenza di affollati ambienti che ospitano la mostra nel palazzo piacentiniano. Eppure gli strumenti a disposizione dei curatori avrebbero permesso una presentazione globale della personalità dell'architetto, modernamente compresa tra ansia di sperimentazione, uno sguardo libero verso la tradizione e una nuova e spiccata sensibilità spaziale. Proprio quest'ultimo elemento, così significativo, viene a mancare in virtù di un taglio interpretativo che sembra voler consegnare al pubblico un Borromini forse troppo intento a progettare giuochi virtuosistici, perso dietro capitelli a volute invertite e preziosismi da architettura obliqua.

Ma se l'opinabilità di questa interpretazione, suggerita -è proprio il caso di dirlo- dall'Accademia, non fa altro che rafforzare la problematicità della figura borrominiana, e di conseguenza la sua straordinaria forza, le carenze che la mostra presenta dal punto di vista didattico e allestitivo non lasciano spazio a interpretazioni. Il primo elemento che a riguardo piace mettere in evidenza è la mancanza di organicità nella concezione espositiva, che immediatamente viene a riflettersi nella prassi espositiva. Al visitatore non risulta intelligibile il percorso dell'esposizione, poiché manca un itinerario strutturato in grado di collegare coerentemente i materiali esposti e di comunicare i contenuti della mostra. E una notevole disattenzione è ancor più riscontrabile nelle soluzioni allestitive: le etichette esplicative sono illeggibili perché troppo piccole e non rispettose di una corretta progressione numerica. Pannelli non accattivanti e poco chiari, cavalletti ingombranti rendono la visita ancora più complicata. Sebbene il percorso proposto al fruitore sia di tipo cronologico, a visita conclusa si ha la sensazione di essere riusciti ad afferrare molto poco della personalità borrominiana.


Francesco Borromini. S. Ivo alla Sapienza, Roma, 1642.


Disegno autografo di Borromini per la pianta di S. Carlo alle Quattro Fontane, Roma, 1638-41.

Francesco Borromini. La cupola spiraliforme di S. Ivo alla Sapienza, Roma, 1642.
Un secondo elemento che immediatamente infatti risalta all'attenzione del visitatore è la scarsa attenzione dedicata alle modalità di comunicazione dei contenuti della mostra. Al visitatore comune non rimane che aggirarsi nelle sale, alla ricerca di un appiglio interpretativo o di un segnale che possa guidarlo nella faticosa ricerca dell'arcano senso di quei "silenziosi" disegni appesi alle pareti. Eppure a questo inconveniente si sarebbe potuto ovviare anche sfruttando al meglio quelle ricostruzioni virtuali che, seppur studiate con una certa cura e realizzate con efficacia, sono accessibili da postazioni multimediali troppo defilate rispetto al percorso della mostra e poco seduttive nel loro austero e sobrio proporsi ad un pubblico non necessariamente esperto nel loro utilizzo: forse brevi "istruzioni per l'uso", comprensibili e dotate di una certa visibilità avrebbero evocato una maggiore familiarità con il mezzo. Elemento questo che dimostra come nella pratica dell'allestimento, i computer dedicati non abbiano avuto una considerazione paritetica come strumento di comunicazione nella concezione della mostra: se fossero stati pensati come parte integrante del percorso, le, difficoltà didattiche, insite nelle qualità stessa dei contenuti, sarebbero state in buona parte superate. Tutto ciò malgrado il sito ufficiale della mostra (www.borromini.at) enfatizzi l'utilizzo delle nuove tecnologie per la ricerca e la diffusione del "verbo borrominiano".

L'utente delle postazioni multimediali può scegliere tra due opzioni: navigare sul cd-rom in vendita al book-shop del Palazzo ("Francesco Borromini. Opere") oppure concentrarsi esclusivamente sulle animazioni virtuali, in pratica leggere le sei fabbriche analizzate nella loro consistenza spaziale grazie a interessanti ricostruzioni virtuali: attraverso un'agevole percorso lo spettatore può godersi l'analisi volumetrica e strutturale di Santa Maria dei Sette Dolori, la ricostruzione della facciata di San Carlino alle Quattro Fontane, l'opera, la geometria i volumi di S. Ivo alla Sapienza, il rifacimento di San Giovanni in Laterano e la ricostruzione della non realizzata Sagrestia di S. Pietro, il progetto di un grande spazio ottagonale sormontato da una cupola. Ogni animazione ha origine e si imposta sui disegni progettuali di Borromini, cosicché la coerenza storiografica è rispettata e nel contempo è garantita una comunicazione assoluta: in definitiva si tratta di un'ottima dimostrazione delle capacità delle nuove tecnologie che così applicate, comunicano non solo i risultati della ricerche documentali compiute, ma diventano un vero e proprio strumento di analisi e verifica delle ipotesi storiografiche. A maggior riprova occorre sottolineare che l'animazione di San Carlo è stata realizzata sulla base di ipotesi ricostruttive di H. Schlimme e C.L. Frommel. Un solo rammarico: che queste ottime ricostruzioni virtuali siano limitate alle sei fabbriche appena citate e non approfondiscano anche le altre opere del celebre architetto. Inoltre il catalogo della mostra, edito da Electa, si limita a citare tale fondamentale strumento interattivo e non offre uno spazio adeguato al cd-rom: questo atteggiamento non può che confermare la sensazione di scarsa considerazione delle nuove tecnologie da parte di un corpo scientifico forse ancora un po' troppo ancorato a vecchi e sorpassati prassi storiografiche.

Quest'analisi, non proprio generosa, offre lo spunto per riflettere su una questione, che sentiamo in primis di carattere etico, e che inevitabilmente, prima o poi, la moderna museografia dovrà definitivamente affrontare. Per quali tipi di pubblico si debbono organizzare le mostre? O ancor meglio, per quale tipo di pubblico non è più tempo di organizzare mostre? Alla seconda formulazione ci sentiamo di rispondere con dadaista allegria: "a quello degli addetti ai lavori".

Silvia Bendinelli

silvia.bendine@lycosmail.com

Alessandra Faini
alefaini@libero.it

Disegno di Antonio da Sangallo il giovane (1484 1546).


www.borromini.at

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