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Esposizioni

The Salone.
How to do it manual

Giannino Malossi



Nelle scorse settimane la Triennale di Milano ha ospitato, nell'ambito dell'annuale Salone del Mobile, l'evento L'invasione degli ultracorpi interattivi, prodotto dall'Interaction Design Institute di Ivrea. Abbiamo chiesto a Giannino Malossi, autore delle linee guida che hanno portato alla realizzazione dell'iniziativa, di poter pubblicare alcune delle sue considerazioni, utili per una comprensione delle strategie e delle modalità di avvicinamento ad un evento espositivo originale e di successo.



Qualsiasi cosa è manipolazione. Questo, a volte, è un fatto positivo.
Joseph Beuys


 
Alcuni frammenti per definire una serie di linee guida per una possibile mostra al Fuori Salone (Milano, aprile 2004).

Se i frammenti fossero incrementati, sviluppati ulteriormente, messi in relazione tra di loro...
...il tutto diventerebbe un vero e proprio manuale con suggerimenti, frasi, citazioni e altre manipolazioni assortite, un manuale "How to do" da tenere a portata di mano nei casi in cui ci siano bisogni urgenti di una mostra sull'Interaction Design.

Dobbiamo innanzitutto concordare su un punto: l'Interaction Design tratta delle relazioni tra le persone e la tecnologia. Diciamo che l'Interaction Design è progetto applicato a queste relazioni. Ovvero, lo studiare le relazioni tra le tecnologie disponibili, combinandole con le necessità e i desideri umani, nel contesto della cultura quotidiana.
L'Interaction Design cerca di dare una forma migliore agli oggetti, servizi e ambienti in cui viviamo la nostra la vita con la tecnologia.
C'è un bisogno di ragionare sul rapporto tra persone e tecnologie? Sì, assolutamente.

[14may2004]
La maggior parte delle volte i tecnologi e gli ingegneri (per non parlare dei marketing people), cioè i principali attori della immissione di tecnologia nella vita corrente, ragionano in termini di hybris dell'innovazione e sono influenzati dalla sindrome da ritorni finanziari immediati. Le loro discipline di riferimento per definizione non tengono conto degli elementi 'non-tangibili' quali le culture, i linguaggi, i simboli, le emozioni e le necessità difficilmente valutabili e riducibili a dati quantificabili che stano tra le persone e gli oggetti della vita quotidiana, e anche tra le persone e la tecnologia.

L'Interaction Design riflette sul gap tra la tecnologia e la cultura del quotidiano. Questa riflessione, tra l'altro, aiuta anche a pensare e sviluppare nuovi modelli economici (sostenibili).
In una economia post-fordista i valori non tangibili sono le reali fonti del valore aggiunto.

Già queste poche parole indicano alcuni dei molteplici motivi per cui ha senso ragionare e studiare l'Interaction Design. Motivi che spaziano dagli ambiti culturali a quelli economici (senza contare quelli etici).

L'Interaction Design è vicino all'Industrial Design ma non è esattamente la stessa cosa. Dalla storia, dalla teoria e critica del design industriale (generalmente definito come 'cultura del progetto') prende il metodo e la prospettiva, trasportandoli verso i luoghi più avanzati del dominio della tecnologia. Il risultato è una nuova costellazione di discipline che non sono ancora completamente scoperte e sviluppate, ma che sono già in grado di porre interessanti domande (e ipotizzare alcune risposte riferite al mondo del design).

Una mostra, per essere un successo deve avere senso.
Sia la mostra stessa sia la comunicazione prodotta per la mostra o meglio dalla mostra.
L'esperienza del senso è il risultato più bello che un gruppo di progettisti può offrire al proprio pubblico. Il vero significato di una mostra di Interaction Design al Salone del Mobile non dovrebbe limitarsi al mostrare i lavori, i prototipi, le ricerche portate avanti dai suoi insegnanti e studenti, quanto piuttosto creare un'occasione per iniziare a porre alcune domande riferite al mondo delle interazioni (e magari iniziare a ipotizzare qualche possibile risposta), per la prima volta in Italia.

Il livello di interesse percepito in termini di evento e di esperienza fa del Salone un evento di rilevanza globale, ben oltre i confini dei propri reali contenuti. Il salone definisce lo standard in termini di discorso legato al design. È la vera "fiera", dove chiunque arriva a uno dei suoi molteplici eventi (per altro sparpagliati per tutta la città), scambia e commercia qualsiasi cosa che andrà a influenzare la stagione successiva: merci, ma anche idee, informazioni, suggerimenti, emozioni.
La fiera è uno show dove si può vedere chi sta salendo e chi sta scendendo. Non a caso il business delle fiere è un tipico sistema controdeduttivo: funziona al meglio quando l'economia è debole. Quando l'economia è depressa, allora gli scambi sociali diventano il mezzo per lo sviluppo successivo.

Essere al Salone deve essere accettato con la volontà e la coscienza di partecipare a un evento "sociale" e "professionale" che è l'essenza del mondo del design nei suoi termini più reali. Non si tratta di un semplice evento media. Il design non è merce da essere manipolata ai fini della comunicazione. Il design è comunicazione in quanto tale (lasciando gli aspetti più tecnici da parte). Il Salone ha il successo che ha perché è il luogo (e il momento) in cui vengono esercitate le qualità comunicative e sociali condivise dalla comunità del design italiano (progettisti, critici e business). Il Design italiano ha il successo economico che ha perché è radicato non solo nello "spettacolo del design" (cioè nella comunicazione sul design) ma anche nella vita quotidiana italiana. Portare Interaction Ivrea al Salone significa portare il discorso disciplinare dell'Interaction Design in questo contesto.



SUL CONTENUTO. LE QUESTIONI PRINCIPALI. Produrre una mostra riesce meglio se uno ha qualche cosa da dire. Ipotizziamo che Interaction Ivrea presenti lavori, prototipi, ricerche portate avanti dai suoi insegnanti e studenti.
Va bene, però, plausibilmente, si è in grado di dire molte altre cose.

In generale, per riuscire a dare una cornice generale convincente e forte, a ognuno dei progetti (così come introdurre le questioni legate all'Interaction Design) andranno affiancati una serie di temi laterali. Questi temi laterali possono essere comunicati usando opportune mappature, videoinstallazioni, documentazioni online, elementi di contenuto che possono nutrire il website e altre forme di comunicazione. Possono anche essere immaginate pubblicazioni specifiche o artefatti che sopravvivranno all'esibizione, diventando così lo strumento per definire e sviluppare una piattaforma di condivisione di sapere. O addirittura, una comunità connessa.



CONTENUTI: I TEMI A LATO. Il confronto tra lnteraction Design e la "Cultura del Progetto" italiana. Ovvero, una mappatura critica-analitica sulla specifica esperienza del design italiano nell'ambito della tecnologia (Olivetti, ma anche Mari, Zanuso, Sapper, De Lucchi, Santachiara...).

La relazione tra Interaction Desing e la cultura "Pop-olare".
E cioè un video (o un'altra mappa critica) delle prefigurazioni passate del futuro tecnologico (da Verne a Matrix). In altre parole: l'immaginario SF che ha determinato l'idea di innovazione tecnologica.

La specifica attitudine di Interaction Ivrea nei confronti della tecnologia.
Il metodo e l'esperienza sviluppata da Walter Aprile e Massimo Banzi, l'approccio alternativo, pragmatico, demitizzato e molto italiano e parecchio in linea con le tradizioni artigianali del design alla tecnologia che è sottinteso nei progetti dei "Ciccios" e che ne fa un mondo a parte rispetto all'universo fallimentare delle profezie disastrosamente autoavveratesi dell'ICT.

Da quanto detto sopra consegue che la riuscita della partecipazione al Salone dipende dalla capacità di esprimere le proprie idee (esporre i propri prodotti) in maniera quanto più compatibile con i linguaggi del momento (il che non vuole necessariamente dire accodarsi alle idee prevalenti). Come la moda, il Design "che si dà per nuovo" (come tale si presenta al Salone) svolge la funzione di indicare un futuro che in realtà è già iscritto nel presente.

Per questo le proposte che si fanno devono essere compatibili con l'idea generale di "novità" condivisa (il che NON vuole dire la solita insopportabile sviolinata tipica della comunicazione ICT, l'innovazione ecc... che molto ha contaminato anche la comunicazione intorno all'Interaction Design, vedi articolo su IDEO su uno degli ultimi Domus). Novità vuol dire proprio nuovo NUOVO. Nuovo deve essere essenzialmente il modo di comunicare il nuovo: per esempio senza darlo per scontato, ma introducendo nuove idee critiche sul presente (e magari anche sul passato) del design. Magari senza tono apodittico e didascalico (come nella mostra "Quotidiano Sostenibile") ma in maniera emozionale (esempio tipico: la prima presentazione di Memphis nel 1980). (Ovvio....)

Ma nuovo deve essere anche il modo in cui i progetti vanno presentati: il linguaggio dell'Interaction Design non può essere dato per scontato. Insieme ai progetti occorre comunicare che Interaction Design è una naturale espansione della cultura del progetto nell'ambito degli apparati tecnologici, dei sistemi e delle interfacce con cui si utilizzano, già oggi, nella vita di tutti i giorni. E occorre farlo usando emozioni e toni "di tutti i giorni" e non il lessico (jargon) della pretesa specificità disciplinare dell'Interaction Design.

Titoli possibili:
- Incontra l'Interaction Design
- Interaction Design Stato dell'Arte
- This is Interaction Design
- Invasion of the Interaction Body Snatchers
- L'invasione degli Ultracorpi Interattivi
- Interaction Design Acrobatics

Sottotitolo (per qualsiasi dei titoli sopracitati):
- La prima mostra sull'Interaction Design in Italia

Le prime due proposte sono molto dirette e semplici, però dopo anni di comunicazioni basate su "visioni" e "scenari", una frase diretta, semplice, pragmatica sembra una soluzione ragionevole.
Con un'ipotesi di questo tipo ci si avvicina allo stile di comunicazione dell'Industrial Design ai suoi livelli più alti, depurato da tutte le esagerazioni del marketing e della New Economy. Si tratterebbe anche di una descrizione pura e semplice del contenuto della mostra: lo stato dell'arte attuale dell'Interaction Design, letto alla luce delle esperienze di Ivrea (tra l'altro, l'unico luogo in cui in Italia oggi si fa Interaction Design). Un titolo come quello ci dice che la mostra ci dirà il vero. Nulla di più. È abbastanza.

La terza proposta è di nuovo riferita al mondo della cultura pop ed è immaginata per esprimere il contatto tra tecnologia, arte, cultura di tutti i giorni, design. This is tomorrow era il titolo della prima mostra Pop Art a Londra, nel 1952 (si vedano Richard Hamilton, Reyner Banham e l'Independent Group).

La proposta successiva è riferita al mondo della fantascienza e a quel substrato di ironia che dovrebbe essere presente nel progetto. Siete familiari con il concetto di detournement? Se non lo siete ve lo spiego. Se si cerca di essere seri, si arriverà sempre a perdere perché la gente ti percepirà come persona noiosa. Senza ironia, l'altra alternativa possibile è quella di essere visti come pretenziosi e falsi. La citazione è dal film di Don Siegel: "The invasion of the Body Snatchers". In italiano: "Invasione degli Ultracorpi".
È evidente che i Ciccio vanno molto d'accordo con il concetto di "Ultracorpi": sono alieni giunti nell'edificio della Triennale e nel mondo del design. Arrivano dal nulla, (cioè, non dal nulla, da Ivrea). Portano nuove contaminazioni, nuovo sapere, nuove nozioni. Contengono progetti, sfornano interessanti manipolazioni di tecnologia e senso: danno forma all'Interaction Design.
C'è un ulteriore significato in questo titolo: è un richiamo al livello narrativo della fantascienza che lavora sulla messa in luce di nuovi immaginari nel mondo e (specialmente nei film) da forma alla maggior parte della relazioni visiva tra la cultura del quotidiano e la tecnologia così come la conosciamo (vedi Roby the Robot).

L'ironia è alla base anche dell'ultima proposta. In questo caso la citazione è riferita a Ettore Sottsass. Una volta disse (era il 1979) che la Triennale è come un circo e che chiunque sia attivo nel mondo del design dovrebbe usarla per farci vedere le sue doti di acrobata. Vediamo un poco gli acrobati dell'Interaction Design che cosa sono capaci di fare...



NOTE. IL PROGETTO DI ALLESTIMENTO INTESO COME MACCHINA COMUNICATIVA. La mostra non dovrebbe essere intesa come un evento singolo, quanto piuttosto come il primo passo in un canale di comunicazione più allargato. Questo significa che ci sono alcuni passi prima (nonché altri dopo), e plausibilmente anche altri a lato. Tutti i passi nel canale comunicativo allargato vanno progettati e condotti dalla squadra di progetto. Il progetto di allestimento è di per sé un progetto per una macchina comunicativa. I progettisti dell'exhibition sono le persone che gestiscono la macchina comunicativa. Ma questo fa sì che le maggiori responsabilità del tutto ricadano sulle spalle degli exhibition designers.
Sapete quello che volete raccontare? Ne siete realmente sicuri e certi? Siete in pieno controllo di tutti i contenuti?

CONTENUTO "MEDIA FREE". Il contenuto della mostra deve essere concepito e prodotto secondo una modalità "media free": le parti più difficile di una pianificazione di una mostra sono tutti gli avvenimenti che capitano PRIMA DELLA PRODUZIONE: il concetto, la linea narrativa, l'architettura delle informazioni. Una volta che questi elementi sono stati chiarificati (e solo quando questa chiarificazione è avvenuta) allora essi possono essere usati con media diversi, adattandoli ai differenti aspetti di ogni medium specifico.

La mostra non dovrebbe essere guidata e tirata dalla comunicazione, quanto piuttosto l'opposto. La mostra dovrebbe essere la forza trainante del piano di comunicazione.

Giannino Malossi
malo@planet.it
ATTACHMENT. SULLA PAROLA DESIGN

In: Vilèm Flusser, Filosofia del design, Milano, 2003
(Vilem Flusser, The shape of Things, London, 2003)

In inglese la parola design è sia un sostantivo sia un verbo (e questo la dice lunga sulla natura della lingua inglese). Come sostantivo significa –fra l'altro– "intenzione", "proposito", "piano", "intento", "scopo", "attentato", "complotto", "figura", "struttura" di base" e tutti questi significati (e altri) sono in stretta relazione con quelli di "astuzia" e "insidia".
Come verbo (to design) significa "architettare qualcosa", "simulare", "ideare", "abbozzare", "organizzare", "agire in modo strategico". Il termine deriva dal latino signum, che vuol dire "segno" e ne conserva l'antica radice. Così, dal punto di vista etimologico, design significa "disegno". A questo punto sorge lecita la domanda: come ha fatto la parola design ad assumere il suo attuale significato internazionale? Non si tratta di una questione da intendersi da un punto di vista storico, nel senso cioè di dover andare alla ricerca di fatti che testimonino dove e quando la parola ha acquisito il suo attuale significato. Si tratta di un interrogativo di natura semantica, nel senso che vuole indurre a riflettere sul perché questa parola abbia assunto tale significato nel dibattito contemporaneo sulla cultura.

La parola si trova in contesti associati alle idee di astuzia e di insidia. Un designer è un subdolo cospiratore che tende le sue trappole. Negli stessi contesti compaiono altri termini molto significativi: in particolare meccanica e macchinario. In greco méchos indica un dispositivo escogitato per trarre in inganno, quale una trappola, di cui il cavallo di Troia è un esempio. Ulisse viene chiamato polymechanicòs, che a scuola viene tradotto "astuto". Il termine méchos stesso deriva dall'antica radice MAGH, che possiamo riconoscere nel tedesco Macht ("potere", forza") e moegen ("volere", desiderare"). Perciò un macchinario è un dispositivo ideato per trarre in inganno; una leva, per esempio, inganna la forza di gravità, e la "meccanica" rappresenta la strategia per "imbrogliare" in corpi pesanti.
Un'altra parola che compare nello stesso contesto è "tecnica". Il greco téchne significa "arte" e si collega a tékton, "falegname". Il concetto di fondo, in questo caso, è che il legno (in greco hyle) è un materiale informe al quale l'artista, il tecnico, conferisce una forma, in modo tale che essa appaia in primo luogo. L'obiezione di fondo mossa da Platone nei confronti dell'arte e della tecnica era che esse tradiscono e distorcono le forme intelligibili (le Idee) quando le trasferiscono nel mondo materiale. Per lui gli artisti e i tecnici sono traduttori delle idee e imbroglioni perché inducono subdolamente le persone a percepire idee distorte.

L'equivalente latino del greco téchne è ars, che in tedesco si traduce con Dreh ("idea", espediente", "trovata", trucco", nel gergo della malavita). Il diminutivo di ars è articulum ("piccola opera d'arte") e indica che qualcosa ruota, verte intorno a qualcos'altro (per esempio il polso). Perciò ars significa "agilità", "destrezza", e artifex, l'artista indica innanzitutto, un "imbroglione". Il vero artista è il prestigiatore, come testimoniano parole quali "artificio", artificiale", e persino "artiglieria". Il termine Kuenster suggerisce che l'artista è ovviamente una persona "in grado di fare qualcosa", poiché il termine tedesco per arte, Kunst, deriva dal verbo koennen "potere", ma anche in questo caso l'aggettivo gekuenstelt, che significa "artificiale", "artefatto", "affettato", ha la stessa radice.

Queste considerazioni costituiscono già di per sé una spiegazione esauriente della posizione che la parola design occupa nel discorso contemporaneo. I termini design, macchina, tecnica, ars e arte sono strettamente collegati l'uno con l'altro, ognuno è impensabile a prescindere dagli altri, e tutti traggono origine dalla stessa visione esistenziale del mondo. Tuttavia, questa corrispondenza interna è stata negata per secoli (almeno sin dal Rinascimento). La cultura borghese moderna ha operato una netta separazione fra il mondo delle arti e quello della tecnica e delle macchine; così la cultura è stata rigidamente scissa in due rami che si escludono a vicenda: quello scientifico, quantificabile e "duro", e quello artistico, qualificativo e "morbido". Questa deleteria suddivisione ha iniziato a diventare insostenibile verso la fine del XIX secolo. La parola design si inserì nella breccia e andò a formare un ponte fra le due branche. Ciò è stato possibile perché in termine esprime una connessione interna fra arte e tecnica. Per questo in epoca contemporanea design indica grossomodo il luogo in cui arte e tecnica vengono di comune accordo a coincidere (e insieme a esse le loro specifiche modalità scientifiche e critiche) spianando la strada a una nuova forma di cultura. Per quanto questa possa essere una buona spiegazione, tuttavia non è sufficiente. Dopotutto, ciò che accomuna i termini citati sopra consiste nel fatto che tutti si ricollegano (fra l'altro) a concetti quali l'inganno e l'insidia. La nuova forma di cultura a cui il design dovrebbe spianare la strada è una cultura consapevole di essere fallace. Perciò la domanda è: chi e che cosa inganniamo quando ci occupiamo di cultura (di arte e di tecnica, di design, insomma?). Per fare un esempio: una leva è una macchina semplice, il suo design si ispira al braccio umano: di fatto si tratta di una braccio artificiale. La tecnica su cui si basa è antica probabilmente quanto la specie umana, forse anche di più. E questa macchina, questo design, questa arte, questa tecnica intendono sfidare la forza di gravità, eludere le leggi della natura e, proprio grazie allo sfruttamento strategico di una legge di natura, emanciparsi in maniera ingannevole dalle nostre limitate condizioni naturali. Per mezzo della leva –nonostante il nostro peso corporeo– dovremmo poterci sollevare sino a toccare le stelle se ce ne fosse bisogno e, se ci dessero un punto d'appoggio, essere in grado di spostare il mondo intero dai sui cardini. Quindi l'intenzione (design) alla base di tutta la cultura consiste nell'ingannare la natura per mezzo della tecnica, sostituire ciò che è naturale con ciò che è artificiale e costruire macchine in grado di fare uscire un dio che siamo noi stessi. (...)

A questo punto occorre fare una confessione. Il presente saggio è sorretto da un'intenzione (design) precisa: svegliare gli insidiosi e subdoli aspetti della parola design che in genere passano sotto silenzio. Se lo scopo fosse stato diverso, avrei potuto, per esempio, insistere sul fatto che il termine design è collegato a Zeichen, "segno", ad Anzeiche, "indizio", a Vorzeichen, "presagio", ad Abzeichen, "segno distintivo". In quel caso sarei arrivato forse a una spiegazione diversa, ma ugualmente plausibile, del ruolo attualmente svolto da questo termine. La risposta è appunto questa: tutto dipende dall'intenzione (design). [GM]
 

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