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Triennale di Milano. Bilancio di un'esperienza

Luca Molinari



Nei quattro anni di incarico come responsabile del settore architettura della Triennale di Milano, Luca Molinari ha realizzato un programma complesso, nell'insieme delle cui articolazioni è possibile scorgere, oggi, una molteplicità di linee di azione ancora tutte attive. Luca Molinari ha lavorato in Triennale per ricostruire un contatto diretto con la realtà nazionale, ricercando sovente le più giovani generazioni, dando loro spazio per l'espressione e per il confronto. Lo ha fatto in maniera non esclusiva, cercando di raccogliere le più valide proposte in grado di descrivere in un quadro ampio lo stato della ricerca italiana contemporanea, operandosi per interpretarne gli orientamenti, per rintracciare i punti di contatto con la sperimentazione internazionale ma anche e forse soprattutto con i tracciati storici della produzione architettonica in Italia. L'ambito espositivo, durante il periodo di attività di Luca Molinari in Triennale, è stato inteso non come macchina sterile che si attiva realizzando immagini di fatti già avvenuti, ma come laboratorio per la produzione di idee e di fenomeni. Un percorso insicuro e faticoso, che Luca Molinari ha saputo seguire con coraggio e agilità, gestendo un programma che, anziché imporre principi e regole assolute, ha avuto la forza di adeguarsi ai cambiamenti. Al momento della sua sostituzione, decisa dal consiglio di amministrazione dell'ente e resa nota nello scorso ottobre insieme alla nomina di Fulvio Irace, diversi sono i nuovi sentieri aperti e ancora molto resta da dire e da costruire intorno alla realtà italiana contemporanea. [MB]



Non è mai facile provare a tracciare il bilancio di una esperienza, soprattutto quando le porte sono appena state chiuse alle spalle e le carte delle ultime incombenze ancora occupano la scrivania, ma credo che la forza di un percorso consapevole stia anche nella capacità che ha di essere poi raccontato e che soprattutto diventi occasione per fare qualche riflessione che vada oltre il semplice dato di realtà. Cosa vuol dire allora oggi pensare e produrre una mostra di architettura? Cosa vuol dire in generale occuparsi di architettura, oggi, in Italia? Che valore acquisisce mettere in mostra, o attivare una discussione in questo particolare frangente storico?

Il mio è un punto di vista deformato dall'esperienza di quattro anni come responsabile per il settore architettura e membro del comitato scientifico della Triennale di Milano, nobile e decaduta (allora) istituzione creata nel 1933 per promuovere l'architettura e il disegno, centro indiscusso dell'introduzione pubblica in Italia del gusto e della cultura moderna, luogo di sperimentazione e vetrina per tutte le generazioni di giovani architetti italiani e stranieri (la lista infinita degli architetti e artisti invitati è un impressionante dizionario della cultura moderna internazionale dagli anni Trenta ad oggi).

La storia della Triennale degli ultimi trent'anni è la storia della nostra cultura architettonica: progressivamente frammentaria, provinciale, marginale, frustrata in un ruolo di nobile decaduta amata dalle generazioni più avanti con gli anni e dimenticata dagli studenti, incapace di costruire un progetto culturale forte e insieme problematico.

La Triennale cercava di avviare da almeno un decennio un faticoso progetto di rinascita e metamorfosi troppo spesso frustrato dalla discontinuità politica e istituzionale di chi avrebbe dovuto supportarla. Il rifacimento della Galleria e dell'ingresso con l'accoppiata Aulenti-Riva cercò di dare un segnale, poi la gestione scientifica di De Michelis con l'istituzione di un sistema di mostre temporanee come complemento necessario all'Expo triennale apre un fronte ormai ineludibile per una Istituzione che ha a disposizione più di 5000 metri quadri disponibili per mostre ed eventi. Segue la sfortunata, perché breve, fase De Marzio (presidente) e Boeri (curatore), quindi un biennio di oblio, silenzio, impaccio. Nel 2000 arriva con nomina bipartisan Augusto Morello, olivettiano, teorico e promotore di lunga data del migliore design italiano e della sua cultura, che raccoglie l'eredità sfilacciata degli ultimi anni e tenta un intervento di sistema che sembra aver dato negli anni risultati insperati. Una Expo spalmata lungo l'intero triennio con un sistema variato e complesso di mostre, eventi e laboratori.

In testa l'idea di cambiare radicalmente il volto della Triennale, istituzionalmente e fisicamente, per riconsegnarla alla città e alla cultura più alta italiana ed europea. Una operazione consapevole della debolezza mediatica dell'istituzione, della sua fragilità culturale e della metamorfosi che la società italiana e la cultura dell'architettura del design e dell'architettura sta ancora vivendo.

Una istituzione con 5000 metri quadri da tenere attivi, un personale fisso ridotto all'osso a confronto con tutte le altre istituzioni gemelle straniere, e un budget che negli anni viene intaccato di quasi il 30% dai tagli delle diverse Leggi Finanziarie a fronte però di un costo mostra medio e di comunicazione inevitabilmente in crescita per la volontà evidente di mantenere il massimo livello di qualità all'interno di ogni evento prodotto dall'Ente.

Tutto questo inquadrato nello scenario economico di crisi e contrazione forte dato dal biennio post 11 settembre con una difficoltà molto chiara di individuare sponsorship importanti capaci di affiancarsi continuativamente al progetto Triennale. E le scelte del presidente furono basicamente due: dotarsi di un comitato scientifico e di curatori d'area presenti e attivi all'interno dell'istituzione; ripensare radicalmente il piano terra dell'edificio spostando la libreria al centro, allargando il Design Cafè e portandolo ad uno standard degno delle migliori istituzioni culturali internazionali e affidando il progetto d'insieme a Michele De Lucchi.

Le scelte, soprattutto nel secondo caso, si rivelarono decisive. L'intervento De Lucchi, dopo le prime inevitabili polemiche, ha raccolto un successo di pubblico e critica importante e a segnato l'inversione di tendenza decisiva nel processo di decadimento della Triennale. Un'azione che ha preparato il terreno per gli interventi che stanno avvenendo oggi e che seguiranno nei prossimi anni con la riconquista del giardino storico, l'apertura a breve del nuovo Centro Studi e soprattutto la creazione del nuovo Museo del Design che occuperà la curva del primo piano dell'edificio. Malgrado la tragica scomparsa di Morello nell'estate del 2002, le linee guida del progetto complessivo erano talmente chiare da essere seguite e in seguito reinterpretate anche dalla nuova presidenza che ha saputo dare una necessaria attenzione alla dimensione comunicativa di quanto si stava producendo e ad allargare progressivamente il concetto di trasversalità delle esperienze e culture capaci di essere accolte nel palazzo.

Credo sia importante aver fatto questo breve excursus per offrire un quadro non semplice in cui ci si è mossi provando a definire un progetto per l'architettura che partisse da due presupposti fondamentali: pensare a mostre ed eventi non chiusi al mondo degli specialisti ma anzi con l'obbiettivo dichiarato di aprirsi sempre di più al grande pubblico, riportare l'architettura italiana e la sua promozione al centro del progetto Triennale mettendola insieme in contatto forte con alcune delle realtà culturali e progettuali più attive e giovani del quadro europeo e contemporaneo.

Un'azione che non poteva essere lineare ed autonoma come avviene per altre istituzioni (tipo Biennale) in cui il curatore si prende la responsabilità diretta di un progetto e del budget che gli viene affidato, ma che era sottoposta alla discussione interna (peraltro spesso salutare) al comitato scientifico, al confronto con la presidenza e con il consiglio di amministrazione. La mia scelta di fondo fu quindi quella di concepire un sistema di eventi separati nel tempo che provassero sulla distanza ad offrire uno sguardo aperto, problematico e trasversale su di una serie di temi legati al concetto generale della XX Expo "La Memoria e il Futuro". L'azione si è quindi articolata su tre fronti: la città in cambiamento come luogo di riflessione generale; l'architettura italiana come elemento su cui intervenire con una serie di azioni pubbliche; un sistema di piccole mostre e convegni/eventi per aprire il sistema Italia ad alcune delle energie più vitali e attive nel sistema culturale internazionale.

Si è trattato di una messa a fuoco progressiva derivante in parte dalla mia mancanza di esperienza istituzionale, dalla difficoltà soprattutto iniziale di portare pubblico alla Triennale e dalla complessità del mettere in mostra l'architettura, cronicamente oggetto misterioso per chi non sia architetto e nella maggior parte dei casi anche molto noioso da seguire ma molto costoso da esporre.

Sono così seguite tra il 2001 e il 2003 tre mostre che hanno provato a riflettere ed esporre la città contemporanea nel suo farsi: USE -Uncertain State of Europe (a cura Multiplicity); Effetti Collaterali (a cura Luca Molinari) e Asfalto (a cura Mirko Zardini). In tutti e tre i casi si sono portati al pubblico lavori di ricerca molto avanzati, spesso in progress, con allestimenti in cui la relazione tra conoscenza esposta, impianto progettuale, scelte grafiche e comunicative, le diverse discipline coinvolte e la presenza attiva ed emotiva del pubblico erano messe al centro dell'intervento. Non mostre di sistema, assertive di verità e conoscenze di cui si sente poco il bisogno ma eventi per pensare e sentirsi coinvolti attivamente e nell'allestimento e con una serie di eventi pubblici che ogni volta hanno animato nel tempo tutte le mostre. Alcuni valenti esponenti dell'accademia mi hanno accusato provocatoriamente in questi anni di non aver mai fatto mostre di architettura, ma in realtà queste esposizioni cercavano di porre con forza la necessità di una riflessione aperta e problematica sul significato e l'identità della cultura architettonica e della progettazione a fronte del mondo attuale e dei cambiamenti radicali a cui è sottoposto.

La mostra è concepita come atto politico (ovvero di scelte consapevoli) e insieme emozionale, come luogo di esperienza e insieme di coinvolgimento delle energie giovani e attive espresse dalla nostra cultura di ricerca. Non mostre per consacrare ma per porre interrogativi e offrire spazio a chi abitualmente non ne trova se non nei circuiti laterali, undergrounder. E sotto questo punto di vista in occasione di alcuni allestimenti o per la definizione di spazi interni alla Triennale sono stati organizzati negli anni alcuni piccoli concorsi ad inviti per giovani architetti italiani (tra gli altri ricordo Cliostraat, A12, Ghigos, ma0, Avatar, Fabio Novembre, Servino, Alessandro Scandurra, nicole_frv, UFO, Molteni, PARK) per ampliare possibilità di accesso e intervento dei progettisti alle prime esperienze e per ritornare alla tradizione tipica di Triennale di trasformarsi spesso in un palcoscenico per l'opera prima di autori emergenti. Contemporaneamente la mia attività si è sviluppata in direzione dell'architettura italiana contemporanea con l'unica, vera azione che una istituzione come la Triennale di Milano doveva avviare: la creazione della prima edizione della Medaglia d'Oro per l'Architettura Italiana, un evento pubblico capace di sancire pubblicamente in Italia e all'estero, il ritorno dell'architettura italiana dopo un decennio di oblio.

Si trattava di rendere visibile quanto di buono si stava costruendo sul campo e insieme di dare consapevolezza alla stessa architettura italiana di quanto stava producendo portandola a riflettere sulle proprie risorse, identità e limiti. Abbiamo così elaborato una macchina complessa (forse troppo) capace di aumentare al massimo la capacità di ascolto verso l'esterno, non quindi una operazione di vertice, ma una operazione aperta a tutte le realtà attive della progettazione e della committenza pubblica e privata, che metteva in gioco la segnalazione di un gruppo importante di critici italiani e stranieri e l'auto candidatura. Il primo bando riguardava opere costruite tra il 1995 e il 2002; vennero presentate 450 opere di cui più del 40% frutto di auto segnalazione. La giuria presieduta da Giancarlo De Carlo si riunì nell'aprile scegliendo vincitori e una rosa di segnalati che compongono la mostra e il catalogo, entrambi bi-lingui. Alla fine di maggio venne inaugurata la mostra e catalogo a Milano, quindi i passaggi nel 2004 a Napoli (con un incontro, unico nel suo genere, che mise a confronto più di 40 giovani architetti del Sud Italia) e Roma per seguire all'inizio del 2005 a Singapore e Shanghai.

All'interno delle tante iniziative pubbliche, dei dibattiti, delle pubblicazioni portate avanti a supporto e comprensione dell'architettura nazionale contemporanea, credo che la Medaglia d'Oro abbia rappresentato un momento importante in questa fase così delicata e decisiva per a nostra architettura. A questa azione abbiano affiancato nell'ultimo anno la serie mensile di incontri intitolati "Cantieri aperti" in cui l'obbiettivo dichiarato è stato quello di mostrare la grande architettura pubblica italiana, figlia di questa ultima stagione di progetti e di nuovi autori, nel suo farsi. L'obbiettivo è quello di mettere in luce la complessità del fare architettura oggi, la difficoltà del farla in Italia con risultati accettabili ma anche i risultati insperati che il sistema a volte ha saputo produrre (Fiera di Fuksas, restauro del Pirelli e Scala in testa), mettendo ogni volta in scena il dialogo che avviene tra le parti coinvolte: il committente, il progettista, l'impresa e lo strutturista. A completamento dell'attività espositiva sono state ospitate alcune mostre importanti come Olivetti. Città e architettura (con un progetto di allestimento da concorso Triennale di 99IC), Nuova Architettura Tedesca, Austria West, Città e disegno. Architettura Portoghese, Volti nuovi per teatri antichi, tutte ogni volta integrate da incontri che hanno portato molti degli autori europei di maggior interesse a Milano, spesso anche per la prima volta.

Nell'ultimo anno la discussione interna sulla difficoltà di produrre mostre di architettura per un grande pubblico mi ha portato a definire un evento pubblico distribuito in un arco temporale importante (maggio e giugno) e con la volontà di allargare ulteriormente le maglie della discussione e soprattutto degli interventi disciplinari espandendo l'idea del confronto e soprattutto della presenza delle nuove realtà creative e concettuali nel quadro internazionale.

La prima Festa dell'architettura con i suoi incontri, presentazioni di libri, visite guidate ai cantieri e alle architetture, letture pubbliche di classici, cinema, open degli studi più importanti o emergenti della città è stato un primo momento pubblico della città sull'architettura credo importante per cercare di trasformare l'architettura da fenomeno tecnico, separato dalla realtà, in fatto vissuto socialmente (e non solamente subito) e discusso al di là dei luoghi comuni.

Ma è stato soprattutto con il Forum internazionale Utopia e Tradimento, con l'incontrarsi fitto per due giorni di autori dal mondo dell'architettura, dell'arte, del digitale e web, della genetica e della scienza, della scrittura e della critica, che si è cercato di portare all'attenzione la necessità che dovrebbe avere ogni importante Istituzione pubblica in Italia di produrre eventi culturali con contenuti concettuali e programmatici alti e ambiziosi, capaci di stimolare con forza l'ambiente in cui opera, di scuoterlo mettendolo in contatto con le migliori risorse disponibili; non unicamente una parata di stelle per fare tutto esaurito ma la messa in mostra delle risorse reali, eccellenti con cui dialogare necessariamente. E il tema scelto centrava sulla necessità di essere oggi di essere consapevolmente, politicamente visionari per tornare ad incidere; di riflettere sul ruolo dell'utopia nel '900 per attivare nuove forme di operatività e di visioni attive per la realtà contemporanea. E questa condizione può essere solamente avviata attraverso nuove forme di dialogo attivo e di condivisione dei saperi e delle esperienze.

Credo che molte di queste iniziative siano state un segnale importante che anche in Italia esiste una nuova (o più di una...) generazione di autori capace di intervenire attivamente all'interno della realtà e di fornire strumenti concettuali e creativi diversi, sicuramente meno definitivi e rassicuranti ma altrettanto problematici, curiosi, attenti a quanto sta cambiando (ed è molto) nelle realtà vicine e lontane a noi. Credo che sotto questo punto di vista e con tutte le contraddizioni ed errori del caso la Triennale abbia offerto negli ultimi quattro anni alcuni segnali interessanti che spero aiuteranno molti di noi a traguardare le soglie di quell'incerto chiuso e un poco provinciale che troppo spesso attanaglia la nostra visione del mondo e di come ci si possa intervenire con consapevolezza.

Luca Molinari
[08jan2005]
> TRIENNALE DI MILANO

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