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I CORPI DELL'ARCHITETTURA DELLA CITTA'
convegno a cura di Antonino Terranova

[ABSTRACTS]

UMBERTO CAO



[31may2001]
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La scomparsa del pudore

Premessa

Perché, nonostante tanti nani e (culi di) ballerine, tanta esplicita volgarità, sesso per famiglie la domenica pomeriggio, telemercati di paccottiglie per dimagrire, quiz per imbecilli simmetrici tra le diverse reti, pedofilie camuffate da zecchini d’oro, telegiornali di sola cronaca nera, perché, nonostante tanta TV spazzatura, solo un programma televisivo come “The big brother” ha fatto ribollire (soprattutto nella ideologica Francia) polemiche e moralismi?
Probabilmente perché, dopo anni nei quali il “comune senso del pudore” si era modificato con il consenso di leggi e consuetudini, con questo format televisivo non si manifestava semplicemente un altro spostamento, ma cadeva l’ultimo diaframma, ovvero la “dimensione del pudore”.

Scomparso il pudore, il corpo si mostra nelle infinite occasioni e comportamenti del vivere associato. Il corpo come immagine, veicolo di comunicazione, rappresentazione di una bellezza o bruttezza, simbolo di benessere come di sofferenza. Il corpo straziato da una bomba e il corpo levigato di una modella.

E con il corpo della modella al telefonino il corpo più estremo dell’architettura contemporanea. Con il corposo e accigliato architetto, l’incorporeo paradosso di una invenzione architettonica…
Eppure uno dei principi del comporre architettura è sempre stato quello di distinguere tra il visibile, ovvero lo spazio pubblico, e l’invisibile, ovvero lo spazio privato; e una delle sue maggiori difficoltà è stata quella di aprire l’invisibile privato allo spazio dell’aria e della luce, oppure, al contrario, di delimitare il visibile pubblico in uno spazio chiuso di definizione e di consenso. Ma se cambiano le regole del gioco e l’architettura partecipa al grande spettacolo mediatico scompare anche questa distinzione. Pensiamo a quella strana casa costruita mesi fa proprio per ospitare i concorrenti del Grande Fratello: tutta introversa, aperta solo su un patio interno murato, ma soprattutto priva di finestre al posto delle quali sono diaframmi specchiati che consentono le riprese televisive. Anzi la casa è insieme dimora privata e studio TV, luogo di vita e di lavoro, spazio chiuso dell’intimità familiare e luogo indefinito ed aperto ai canali della comunicazione ventiquattroresuventiquattro, ambiente di vita quotidiana, ma anche sito Intenet e catalogo IKEA. Questo paradosso di cartapesta potrebbe essere il primo esempio di una architettura senza pudore.

Ma se si comprime questo spazio segreto, la dimensione del “pudore” appunto, e contemporaneamente si dilatano lo scambio e la comunicazione, se si riduce lo spazio “dentro”, ovvero lo spazio della dimora e della sosta, e si amplifica lo spazio “fuori”, e cioè quello dell’attraversamento e della comunicazione, allora l’architettura oggi è solo “rappresentazione”? E questa frontiera tra il dentro e il fuori, al di là delle sue ineludibili soluzioni tecnologiche, che reale consistenza propone: è una sottile linea di confine lungo la quale non c’è spazio di mediazione, o si sta di qua o di là? Oppure, all’opposto, è una soglia, uno spessore di spazio vitale tra le cose. E, in questo caso, porsi all’interno della zona di separazione degli spazi estremi, esprime equidistanza, mediazione o conflitto?
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