I CORPI DELL'ARCHITETTURA DELLA CITTA' |
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ORAZIO CARPENZANO |
[31may2001] | |||
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Frank e Megan. Sul limite dello schema meccanico corpo-mente Per una cultura che tende sempre più a divinizzare il computer, riaffilarsi al corpo può significare la riscoperta della materia, della sua resistenza a processi di formalizzazione virtuale della realtà; inoltre, per quanto riguarda il manierismo dell’immateriale, l’opacità dei corpi (di alcuni più di altri) può essere un bel contrappunto compositivo. Le ibridazioni e manipolazioni dei codici lavorano per nuovi biotipi in grado di parlare stereometricamente di materia e virtualità, appunto, opacità e trasparenza dei corpi. Questo sposta i limiti di alcuni schemi facendo emergere territori che scavalcano sistemi di identità binarie. Una ricerca che aiuti ad espandere le forme della vita e delle relazioni, delle percezioni e delle comunicazioni e quindi le forme dell’architettura, può essere un territorio interessante sul quale riscattare il corpo dell’architettura come uno strumento nuovo: lo strumento di un istinto verso la forma e il gioco dell’esistenza. Sulla nuova entità che l’architettura sta cercando di assumere, la dotazione cognitiva e percettiva “disciplinare” è inadeguata. Tra le meraviglie e gli incubi delle mutazioni contemporanee non deve però mancare il senso dell’esperienza concreta, che significa affrontare i rischi della realtà (l’espansione dei corpi, intesi come sensi, menti, relazioni, linguaggi, forme di energia e di vita). Il punto della nostra riflessione è proprio questo: Lo scambio del limite tra realtà rischiosa e conforto dell’immaginazione (in termini di certezza e precisione) può rappresentare bene il dato sul quale rifondare una riflessione seria dell’architettura. Architettura che agisce con il corpo in un rapporto “coevolutivo”. I nuovi corpi architettonici dovranno sempre più essere fatti d’esistenza ma anche di forme trasfigurate della medesima. |
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