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TRANS-POSIZIONI. Dallo Strutturismo alla Metabolarch

di Ennio Ludovico Chiggio
[Lo strutturismo]

L'Architettura transita per tutto l'Ottocento attraverso i luoghi dell'ingegneria, che incontra entrando in un rapporto controverso, un po' rifiuto un po' stupefazione. In qualsiasi caso necessitata al fare, si impossessa del "calcolato" e lo applica; di qui la ragione degli esiti modernisti attestati sulle tipologie dell'acciaio, su cui si è mitizzato a vario titolo: dalla presenza alle grandi Expo fino alla Fiction cinematografica. Dopo i migliori e molto più spesso peggiori esercizi di stile del Post-moderno attardati tutti però, sul costrutto in pietra, il volto nuovo del fare progetto ossia la Transarchitettura si presenta con due aspetti singolari al Contemporaneo: l'uso dell'elaboratore come pratica di poiesis progettuale e l'utilizzo dispiegato di morfologie topologiche che nel fattuale si presentano con reticolazioni wire-frame o con elementi tensionali in metalli "nobili".

Di qui l'interesse puntuale e se vogliamo anche la riscoperta, assumendone le modalità della ricerca sul campo, di imprese da tempo strutturate e rivolte allo sviluppo del settore petrolifero e in senso più allargato alle tecnologie subacquee o spaziali. Non si può, infatti, nascondere l'effetto di stupefazione che produce, su un progettista, una piattaforma di trivellazione off-shore: una torre emergente dal mare, sospesa nei propri aggetti tecnici, macchina rievocante il faro, la nave da trasporto, condensazione formale di tutti i mitologhemi afferenti al mare, come non seguire fascinati le evoluzioni librate che vengono trasmesse a terra delle stazioni orbitanti.

I nodi sono stati per lungo tempo il punto focale dell'indagine sulle strutture e le travi reticolari, il sintagma costruttivo dell'ingegnere, presentificare il telaio, significava rendere esplicito il concetto fondamentale del progetto innovativo ottocentesco e poi modernista hight-tech. Sulla dicotomia struttura-sovrastruttura si sono perse molte pagine di indagini, agitate dal vento delle ideologie, ma alfine dal punto di vista politico prima e formale poi, la prima è shiftata sulla seconda e sempre più gli apparati, i costrutti di grande dimensione si presentano come esoscheletri, come le cere anatomiche disvelano "oscenamente" le interiora… la potenza del "De corpore fabrica". Si è presupposto, per lungo tempo, che l'organico si manifestasse nelle pieghe dello sviluppo come evento lineare (proliferazione), rizomatico e connesso, mentre l'inorganico-artificiale prendesse forma solo grazie al discreto, agli elementi finiti compositivi, per sezioni, insomma, per frammenti (non lineari), aggregazioni composite necessitate al giunto. La mediazione si ebbe con il "gonfiabile" che negli anni '60 si presentò come tipologia progettuale architettonica, in quanto imitava molto bene per analogon l'organico, si modellava a sufficienza! Entro certi limiti era autostrutturante, ma ai carichi critici delle grandi dimensioni l'effetto Zeppelin si dava ancora: il traliccio si ripresentava inesorabile… come endoscheletro o esoscheletro.

L'organico letto biologicamente (e non solo) ai livelli superiori, ha dei limiti, deve munirsi di struttura scheletrica con cavità capaci di sorreggere e distribuire le parti molli e flessibili degli apparati vitali, eufemisticamente è il ventre gonfiabile del mammifero (l'architetto metabolico di Greenaway). Quale allora l'ideologia, non dichiarata, della Transarchitettura dal momento che mostra eventi epiteliali, con dermoidi -significante puro- che investono però improbabili ossificazioni tali da assicurare stabilità dimensionale al sistema, mentre al converso comunica instabilità percettiva? Ancora, perché la ricerca ossessiva di quella famosa rottura della costanza dei percettologi, tale da rendere impossibile una decodifica del progetto a colpo d'occhio se non un de-strutturato neo-strutturista streamline da bolidismo macchinico? Quale appunto se non lo scenario che questo quaderno parzialmente raccoglie e mostra?

In questa instabilità di orizzonti entomologici si gioca stranamente tutta la superfetazione neobarocca (Calabrese) e neo gothic (Virilio) dell'epitelio metabolico, macchinico del compresente (leggi contemporaneo sub specie storica). Embriologica è l'emblematica trans; il metabolismo della forma, la sua eziologia formale occupa, pre-occupa più del risultato, un pensiero orientato all'origine, più che al fine, per utilizzare categorie del filosofo (Cacciari). Il sublime tecnologico si presenta metabolico ora, come nell'Ottocento si presentò strutturista, poiché tutto il reale si va sciogliendo in Bit!



[Neo geometrie e movimento]

La necessità di chiamare in causa, avocare la "geometria", ovvero la magia del segno, si presenta -necessitato rigore- ogni qual volta il soggetto della pre-visione panicamente cerca di de-codificare il cosmos, attraverso la sua virtualizzazione progettuale:l'architettura. Certo non è da oggi che tale atteggiamento si sostanzia, già il Rinascimento, dopo la pausa dell'Evo Medio, aveva cominciato a crucciarsi sugli elementi geometrici e bisognerà, però, approdare alle ulteriori indagini seicentesche che si apriranno al Moderno per far saltare quella strettoia assiomatico-deduttiva che porterà alle geometrie non euclidee.

Sappiamo che fu Felix Klein, il grande sistematizzatore geometrico, certamente primo, dopo l'elementarietà euclidea, della modernità. E' della fine Ottocento il suo tentativo di unificazione: il Programma di Erlangen, in cui traccia i fondamenti della struttura gruppale, ove spiegò che tale "gruppalità" si ha nel caso due geometrie, pur operando su enti diversi, presentino la stessa struttura. Il teorico costringe, quando insorge, alle più rarefatte essenze degli astratti enti, elevandosi, ma anche calandosi in una seppur veloce analisi: si può dichiarare apoditticamente che la geometria è interattiva! Gli esiti sono qui, antistanti…, ora l'operatore progettuale rende articolato il manufatto architettonico, in modo da fargli assumere valenze figurali stirabili, estensibili, da opporre alle primitive geometriche (applicando il desiderio) in modo da imporre al supposto geometrico una rivoluzione figurale che ne rompa la costanza. Significa (ri)produrne l'essenza tramite rotazioni e traslazioni nello spazio-interagito con forature e suture (topologie), giunzioni, alfine con-giunzioni, formalismi complessi che negli esiti più arditi portano al connessionismo: reticoli e matrici.

Le agitazioni del teorico (in caduta libera!) continuano mentre interroga, con l'orecchio teso agli enunciati che i transarchitetti vanno illoquendo. La loro abilità rappresentativa è divenuta "potente" e si è manifestata in modo che l'edificato sia divenuto capace, in senso lato, di produrre una presenza antropo-assimilata entro uno skemata che rende capace l'oggetto-architetturale di essere "se stesso" non quando si esprime come "f.f."… facente funzione, ma esplicita, manifesta con modalità fatica (e surrettizia?) quello spirito della geometria, genius loci che si presentifica all'interfaccia umana che lo osserva. Quantico insomma! Detto in termini visibilisti: noi vediamo le funzioni che possiamo o vogliamo cogitare (vedere?). Sulla funzione-funtore il dialogo politico si è già espresso alla eziologia del Moderno, ovvero in quella "natura" del rapporto tra le cose, che a suo tempo si era definita "geroglifico" del sociale. Il Moderno si era presentato, infatti, con la capacità di aprirsi alle sorprese del soggetto mobile attraverso il "dettaglio" (caro a Loos come a Warburg) in cui le particule, ovvero il "discreto-digitale" era capace di togliere fissità all'architettura "caricata" (caricatura), portandola all'interno di uno spazio fortemente espansivo in cui si era data egemone una borghesia attenta alle proprie rappresentazioni "puro-visibili".

Il Moderno escogita le funzioni omotetiche che snodano gli enti geometrici come dilatatori dello spazio, ed è in questa loro peculiare funzione che vengono ora utilizzati come assunto progettuale capace di portare alle estreme conseguenze quell'approccio abduttivo, indagatore, che nell'arco d'anni tra il 1970 e il 1980, aveva posto in essere una forte accelerazione del vissuto… vivibilità delle "cose" come contemporaneità. La gestione dello spazio che doveva, in quegli anni, immagare per sorprendere, infatti, pose il movimento-interfaccia come cifra caratterizzante le avanguardie artistiche e non solo. Il movimento si doveva presentificare esplicitando con enfasi la "dinamica". Questa esaltazione della cifra stilistica rendeva visibile, emblematica, la geometria e il movimento. Si presentano infatti, al momento, nuove Mappe distali, che si espandono in un esasperato gioco, con forte articolazione espressiva, fino al funambolismo.

L'oggetto, quando si ostenta nei propri vettori, esemplifica, mette sotto traccia, sottolinea gli elongamenti del corpo come significante dell'azione scenica. Vogliamo qui sostenere esplicitamente che gli oggetti architetturali sono azioni sceniche, in cui lo spazio (il vuoto) viene a conflitto con gli elementi plastico-fluidi e nella sfida, ingombrato diremmo da prosecuzioni e protesi virtuali, porta a una idealità in cui il corpo s'espande in vettori-linee forza di energia vitale, come materia sublimata dell'oggetto non più stativo. E' l'eidola della materia che si pre-sume già come spazio. 



[Le Morfogenesi]

Dobbiamo ammettere che benché siano avvenute molte cose di fronte ai nostri occhi (nello spazio percettivo-fenomenico), continuiamo a stupirci di ciò che l'elaboratore ci presenta nella fase di rendering, ossia quando mettiamo alla prova il risultato virtuale, in modellazione, di qualcosa (lo spazio del pensiero-cognizione) che abbiamo duramente faticato a dipanare nella fase di wire-frame. Eureka! Splendido! Ma un passo più in là oltre la sottiletta di micron fosforici che hanno espresso tale evento spettacolare, cosa è successo? Il fenomeno a cui assistiamo ci rimanda a considerazioni altre? Se fai l'epistemologo o l'analizzatore semiotico delle immagini, la risposta è sì. Ma se sei un operatore, leggi architetto, e da anni frequenti il campus universitario in cui ti incontri quotidianamente con informatici dei sistemi e altra fauna a "stretto spettro" pragmatico-scientista, la cosa appare di default. Sei nel sistema -implicitato- e ne comprendi tutte le articolazioni, semmai la metafisica la adotti come impianto speculativo per giustificare ciò che pulsionalmente-scientificamente hai già raggiunto. 

Zone preliminari, frange infra-ordinarie e infra sensibili, di paesaggi alla deriva sono quotidianità su cui muovi i tuoi passi nello spazio, poiché è lo spazio che ti si presenta come costruzione concettuale e nelle sue pieghe e faldonature (Mille Plateaux deleuziani), nella sua instabilità dimensionale cerchi una collocazione che ti renda percepibile. Alla deriva della prospettiva trovi l'erratico e l'insolito. Tra fluttuazioni quantiche e lo spazio-tempo inflazionistico la progettazione si sta dispiegando con forza, ed è ormai chiaro che tutto ciò sia stato definito Transarchitettura e che su ciò siano stati chiamati Maître à penser da Heidegger, Deleuze fino a Virilio.

La massa documentale a disposizione (caotica) è elevata, tuttavia un certo ordine sequenziale intorno alle origini di certe strutture di pensiero può ancora avvenire in omaggio anche alle nuove teorie del caos. Ci riferiamo a quegli studi di modellazione dei tessuti embrionali apparsi nell'editoria scientifica, molti anni or sono, in cui si poteva rilevare come gli stessi si disponessero distorcendosi in un reticolo geometrico, in cui agivano due forze: una in contrazione e l'altra in allungamento. Rimandiamo ancora il lettore alle indagini, di qualche anno successive, che risolvevano via elaborazione digitale il tema delle macchie del leopardo in cui tramite figure di interferenza tra due pattern in rotazione si presentavano zone di vibrazioni a maggiore o minore frequenza. Il modello matematico impiegato dette risultati eccellenti spiegando così la varietà dei manti (hypersurface) animali tramite un meccanismo di reazione-diffusione dei melanociti operanti su strutture morfogenetiche; attivatore e inibitore producevano massimi e minimi locali. Tutto ciò ruotava attorno alla famosa Teoria Morfogenetica di Renè Thom, che metteva in scena le "caustiche", ossia quegli insiemi di linee e di punti luminosi prodotti dalla luce che incidono su una superficie dopo aver subìto riflessioni e rifrazioni. Ora sappiamo che l'infinita varietà di eventi fenomenici presentati dalle caustiche possono essere ridotti, grazie alle tipologie fondamentali della teoria delle catastrofi, a un numero ragionevole, sebbene cuspidi, farfalle o rondini abbiano ancora del sorprendente dal punto di vista percettivo.

Tutto ciò si presenta nello scenario delle pagine seguenti in cui le geometrie topologiche trovano ampia dimostrazione ad opera degli architetti emblematici di cui abbiamo fatto regesto, ma ci sembra ancora necessario insistere su una recente teoria matematica che ha aperto sviluppi impensabili, gli Oggetti Frattali dovuti a Benoit Mandelbrot che hanno modificato tutti gli impianti di mappatura degli applicativi. Vorremmo qui fare cenno alla grande catena di invenzioni e perfezionamenti avvenuti nel mondo della computazione applicata all'elaboratore o addirittura sviluppata da esso attraverso gli Algoritmi, strutture elementari protocollari (matematiche) in grado di generare sofisticate strutture di mappatura, oppure capaci di annullare la compresenza di figura sfondo nelle modellazioni tridimensionali.

La mutazione oggi presente dovuta alle tecnologie innovative, sembra assimilabile ad un punto di rottura, ad una isteresi che si ripercuote sulla società e sul suo assetto politico, ma quel poco di "Storia" che possiamo amministrare, ci induce a riflettere che molto spesso il pensiero si è trovato a fare i conti con modalità di transizione così vivaci e problematiche da indurre ad un pessimismo esistenziale. Le cose stanno ancora così, ma tutto sembra più "facile". Le protesi di pensiero e l'atteggiamento cognitivista ci spingono con sempre più sicurezza verso orizzonti ibridi dove le soglie tra le intelligenze sono labili! Il soprprendente è che gli architetti di questa ultima generazione hanno visto, nelle nuove tecnologie, la possibilità di accelerare ed accrescere le proprie produzioni, la capacità di comprendere le rotture implicate dalle nuove tecnologie ed è fuori luogo qualsiasi negoziazione intorno a supposte perdite di identità determinate dall'eccesso dispiegato nel progetto dell'era digitale.

Gestire la complessità entra nella logica d'interazione e di movimento, in cui la velocità del sistema impiegato provvede ad una copertura distale profonda nel momento comune evenemenziale. I linguaggi adottati dalla cibernetica, anche più elementare (i computer domestici!) sono in grado di manipolare enormi masse di dati in una processualità globale che si presenta "formalizzata" nella singolarità locale dell'applicativo. La forma è tout-court informazione ed è stabile per quel "nanosecondo", dopodiché si insiemizza nella perpetua riorganizzazione e mutazione della labilità della RAM. E qui l'assoluto architettonico dell'inerte collassa sia formalmente che teoricamente!

Gli algoritmi di animazione, segnano l'evoluzione di una massa informazionale che viene scandita, scansionata e immessa in memoria con compressori in grado di compattare e dare "anima-azione" alla simultaneità generativa dell'evento, le "Audio Visual Interlaved". L'animato condensa il movimento in un vettore di forza più che nella sequenza di piatti immaginali del montaggio disneyano! Assimilare l'animazione al futurismo o ad altre correnti vorticistiche può indurre in errori fatali, in quanto essa è strumento di concezione; non è il solido che compenetra lo spazio neutro dell'esterno ad essere visualizzato come nelle tecniche più o meno "ingenue" del cubismo o futurismo fino alla mimesis o all'adocchismo navale o spaziale bolidista, bensì un accadere della concezione in un ambiente già dinamizzato dalle presenze in oscillazione quantica. Ogni "stabilità" della materia, infatti, è convenzionale e in funzione del linguaggio che la intende comunicare: informazione allo stato nascente! L'in-forma-azione contiene già la forma agita etimologicamente, e non è un caso!

Il fatto nuovo che sembrava aver perso di consistenza metafisica, ossia la perdita della "sacralità" insita nel "genius loci", trova oggi una più "laica" risposta. Il "luogo" si genera attraverso la sua negazione, come direbbe il filosofo, è il limite che lo identifica, infatti partecipa del profano, ossia di ciò che lo circonda attraverso un epitelio vibratile di sensazioni osmotiche all'altro (non luogo). Ancora, se il "limen", l'epitelio, si è così modellato nella sua intelligenza selettiva, in grado di riconoscere/riconoscersi, porta inevitabilmente ad aggiornare tutta la metafisica della identità .



[Le metabole dell'architettura]

Nella neoretorica del Gruppo µ le figure sono chiamate metabole e distribuite nel piano dell'espressione e nel piano del contenuto come metaplasmi e metatassi, metasememi, e metalogismi, di qui il tentativo di nominazione e didattico al contempo di mostrare categorie del pensiero "figurale" a partire dal dissolvimento del linguaggio, delle sue regole e del suo contrario: il rafforzamento delle regole. Nella mostra che accompagna questo Quaderno è visionabile un video in cui l'autore presenta dei modelli elementari come sememi visivi facendo loro subire progressive manipolazioni "virtuali" fino al raggiungimento di metalogismi complessi.

Questa entomologia architettonica si presenta come una danza di reticoli wire-frame che per artifici illuminotecnici assumono epiteli variabili (applicazione di algoritmi di mappatura). Questi imenotteri o lepidotteri fuoriescono da scenari metamorfici di sviluppo biologico, da strutture di Skylab, da variazioni di texture frattali, oppure da schemi circuitali per elaboratori più che da plasmi di liquidi in movimento. Vengono utilizzate pieghe catastrofali e applicativi di metabol tipici dei programmi avanzati di modellazione solida. E' necessario che anche il testo, il registro verbale diegetico muti comportamento, si trasformi in testo transfluente in quanto "Tutto transita nella permanenza"dice Eraclito, Transflussione, fluire attraverso grandi trasparenze, correggendo in continuo la deriva inevitabile...

Isaac Newton, vagando teoreticamente nella notte, sosteneva che la funzione primitiva era fluente, la sua derivata era flussione; questa assunzione metaforica viene qui messa in scena, dato che di vivere e di abitare in uno spazio si tratta. Il flusso, sia esso luminoso o magnetico, è il valore di una grandezza in moto che attraversa una determinata area; così sentenzia il lemmario tecnico, tutto bene se l'area in questione non fosse la facies architettonica. La Storia, quindi, anche quella dell'Architettura, pare... ci insegua, incalzi nella sua accelerazione costante; essa produce, infatti, una tale sovrabbondanza di dettagli, un eccesso, che si fatica tenerle dietro senza strumentazioni di bordo, oggetti idonei alla registrazione. Necessario risulta un rammentatore tecnologico, digitale, in grado di ripresentare il Teatro della Memoria e la sua retorica, che riesca alfine a restituire, a darci conto degli spazi vissuti come inimmaginabili. 

La soggettività che nella modernità postuma si è dilatata a dismisura ha formato un Ego dell'architetto, espanso, alla ricerca continua di stupefazioni... un soggetto che si sostanzia come individualizzatore di riferimenti... attua designazioni nell'attraversamento delle soglie... dal luogo dell'indifferenza, il reticolo urbano, a quello della differenza, il luogo dei sentimenti; nel primo opera paratatticamente, nel secondo sintatticamente... cosicché il suo mansionario, il suo compito risulta insoluto!

Paul Virilio in un suo saggio (piuttosto depressivo) titola e definisce La città al limite come crisi della nozione di dimensione che appare, dunque, come crisi dell'intero, come crisi di uno spazio sostanziale, omogeneo, ereditato dal mondo greco che si tra-muta in uno spazio accidentale, eterogeneo, in cui le parti, le frazioni, tornano ad essere essenziali, atomizzazione, disintegrazione delle figure, dei punti di riferimento visibili che favoriscono tutte le trasmigrazioni, tutte le trasfigurazioni. Si sostiene che l'improvvisa effrazione delle forme intere, la distruzione delle proprietà dell'unico, porta entro la dimensione temporale, la percezione sequenziale delle apparenze urbane, ove la trasparenza ha da tempo preso il posto delle apparenze, la profondità di campo delle prospettive classiche è stata sostituita dalla profondità di tempo del tecnologico avanzato. In un suo enunciato spiazzante e sorprendente ci comunica che lo schermo ha improvvisamente sostituito la piazza, come crocevia dei massmedia.

La prospettiva senza orizzonte dell'evento transarchitetturale porta ad accedere alla città possibile solo come sistema d'ascolto elettronico; la presenza, infatti, dei citoyen è quella di interlocutori in transito permanente, residenzialità residua. C'è rottura di continuità fisico-spaziale che si agglutina nella durata, una "durata" che le tecnologie avanzate presentate come globale "new economy" attivano, tramite una serie di interruzioni, di occultamenti successivi o simultanei, organizzando e disorganizzando l'ambiente urbano al punto da provocare il declino ed il degrado irreversibile dei luoghi classici per trasformarli "virtuosamente" in generalità del loisir. La città è sovraesposta sostiene ancora con bella definizione Virilio in quanto l'opacità dei materiali da costruzione si riduce a nulla. Le strutture portanti si enucleano attraverso il "muro-tenda", in cui la trasparenza e la leggerezza dei materiali high-tech vengono rappresentate nei modelli di studio con il calco modellato, il rodoid, il plexiglass, abbattendo l'opacità del supporto di carta e rimanendo abbagliati dalla fluorescenza del monitor. L'interfaccia-schermo del computer è la superficie d'iscrizione di una nuova forma di rappresentazione ove, privato dei limiti oggettivi, L'elemento architettonico va alla deriva, galleggia in un etere elettronico sprovvisto di dimensioni spaziali, inscritto nella sola temporalità di una diffusione istantanea. Nell'interfaccia dei monitors e degli schermi di controllo, l'altrove comincia "qui e viceversa". Reversione del limite che porta, fa partecipare lo spazio costruito di una topologia elettronica in cui l'inquadramento del punto di vista e la trama dell'immagine numerica rinnovano il parcellario urbano. Al vecchio occultamento privato / pubblico, alla differenziazione fra abitazione e circolazione, succede una sovraesposizione in cui viene a cessare lo scarto fra "vicino" e "lontano".

L'esperienza del vissuto si apre a un falso giorno elettronico, in cui il tempo reale è de-classato alla rapportualità con il reale, ma diviene solo "commutazione" d'informazione; al tempo che passa cronologico-storico, succede il tempo che si espone istantaneamente sullo schermo del terminale, la durata diviene "supporto-superficie" d'iscrizione, letteralmente, o meglio dice Virilio, cinematicamente: il tempo produce superficie. La forma urbana non è più resa manifesta da una qualsiasi linea di demarcazione, da una divisione fra qui e altrove, ma è divenuta programmazione di un "uso del tempo". Si accede con un protocollo audiovisivo, in cui l'ascolto e l'indice di ascolto rinnovano l'accoglienza del pubblico, la ricezione mondana. In questa prospettiva ingannevole, l'inerzia tende a sostituirsi all'antica sedentarietà, a causa dell'instant comunication via satellite o fibra ottica; I'arrivo soppianta la partenza: tutto "arriva" senza che sia avvenuta la necessaria partenza. Ogni superficie è un'interfaccia fra due ambienti in cui regna un'attività costante sotto forma di scambio fra le due sostanze poste a contatto. Ovvero la nozione di superficie contamina la "superficie-limite" come membrana osmotica, una mutazione attinente al concetto di delimitazione in cui la delimitazione dello spazio diviene commutazione, passaggio obbligato, transito-costante-attività di scambi incessanti, transfert fra due ambienti, fra due sostanze. Virilio sembra arrendersi (di fronte all'evidenza), che ormai l'apparenza delle facciate e delle superfici, nasconda una trasparenza segreta, uno spessore senza spessore, un volume senza volume, una quantità impercettibile.

[28nov00]
Ennio Ludovico Chiggio









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