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EXTENDED PLAY

Welcome MirHotel

di Ernesto Luciano Francalanci
Am-Mir-Arti

Tra non molto si realizzeranno i primi insediamenti su pianeti e satelliti artificiali e naturali. Quali saranno, se ci saranno, le opere artistiche e gli elementi decorativi di queste inedite architetture e quali saranno i corpi che li abiteranno? Saranno dei corpi biologici, dei corpi tecnologici, dei corpi virtuali o dei corpi mutanti? Sulla plancia di comando di queste nuove navi, potrà ancora trovare collocazione il disegno dell'angelo di Paul Klee, che Benjamin portava sempre con sé, a rammemorare continuamente, con il suo capo volto all'indietro, le macerie provocate dalla storia e dal progresso? Quali sono, pertanto, le nuove forme simboliche di rappresentazione all'interno della società spettacolare e mediatica, caratterizzata dall'intreccio tra scienza, tecnologia e nuove estetiche comportamentali e quali arti "moderne" sopravviveranno nello spazio extraterrestre ed in quello elettronico? Quanto segue individua una serie di coordinate concettuali, a partire dal riconoscimento della sparizione progressiva dei corpi fisici, delle materie atomiche e delle merci pesanti e, nello stesso tempo, nella constatazione della parallela espansione di dimensioni immateriali, di merci imponderabili e di virtualità esistenziali, determinanti estetica! Le produzioni attuali di arte, architettura, tecnica e elettronica s'intrecciano, infatti, in una dimensione rizomatica, profondamente interconnessa con la cosiddetta economia dell'entertainment, e, più in generale, con la filosofia cosiddetta dell'accesso.

Tutta l'arte (così come tutta l'architettura) è coinvolta in questa "fusione" fredda, determinata dall'attuale fase del capitalismo, che coincide con la nascita dell'economia delle reti, lo spostamento del capitale da una dimensione fisica ad un regime immateriale, dalla trasformazione dei beni in servizi, dal mutamento delle merci in accessi, leasing, utilizzi, affitti.

Come è stato dimostrato, la proprietà sta per essere considerata un limite alle infinite possibilità dinamiche di esistenza e soprattutto una scelta non più sostenibile per le responsabilità che essa comporta, ma direi, ancor di più, per il fatto che essa è costantemente destinata ad apparire invecchiata ed obsoleta di fronte alle rapidissime innovazioni prodotte e planetariamente diffuse dalla tecnica. Se, quindi, tutto ciò che si fonda su un'idea di bene materiale duraturo, di possesso continuo, e dunque di proprietà, comincia a non rappresentare più un valore, un simbolo, uno status, tutta la cultura e, di conseguenza, tutta la produzione delle arti, si vedranno muovere nella direzione di una commercializzazione immateriale della loro culturalità: ma, essendo nella forma del mercato, o, per meglio dire, del marketing, i loro contenuti saranno obbligati inesorabilmente, da queste leggi, ad acquisire sempre più la "caratteristica del materiale scenico", della performance infinita. Mir, questo super-oggetto ancora orbitante intorno a noi, può salvarsi, divenuta metafora del destino stesso delle arti, architettura compresa, solo se si defunzionalizza, solo se se si decontestualizza duchampianamente, diventando un evento culturale, una performance, una forma di accesso.



Mirabolandia

Un'introduzione opportuna e necessaria richiama testi come Disneyland di Marc Augé, Distretto del piacere di Aldo Bonomi, L'economia dell'entertainment di Michael J. Wolf e soprattutto L'era dell'accesso di Jeremy Rifkin. Certo, la new economy è implicata, ma bisognerebbe vederne ogni piega. Nessun immaginario, più o meno realizzato, nella virtualità, può infatti far dimenticare l'immenso cantiere materiale che sta riformalizzando l'intera superficie planetaria, trasformando ogni residuo naturale in architettura ingegneristica dell'artificiale, per la cui realizzazione ci si serve ancora di mano d'opera in nero… (meno costosa dei robots: da qui i nostri ritardi nella ricerca ingegneristica e il conseguenziale rovesciamento delle energie nell'invenzione architettonica!). La rivoluzione digitale, dal canto suo, sta trasferendo come merci nel ciberspazio tutte le nostre esperienze culturali: i messaggi di tutti i generi vengono integrati afferma Manuel Castells in un unico mezzo, perché questo mezzo è diventato così esauriente, diversificato e malleabile da assorbire nel medesimo testo multimediale l'intera esperienza passata, presente, futura. Per questo motivo il ciberspazio sta diventando un ambiente di existenza così totalizzante e pervasivo da cominciare a mettere tutti i residuali riti di spostamento fisico, d'incontro e d'intrattenimento in condizione critica (la rete che tratta i desideri, come ci insegna Bonomi, è lo spazio liscio dell'ipermodernità: altro che le pieghe-piaghe deleuziane, qui si parla di ventri molli…): è vero che masse enormi di persone si spostano per raggiungere un punto di concentrazione detto loisir, ma questo punto, come dimostra Perniola, è un punto in cui la partenza e l'arrivo coincidono perfettamente, orbitalmente, obitorialmente, un viaggio dal sé al sé!

Solo un'immensa operazione ricombinatoria tra reale e virtuale può riconfigurare dei percorsi di accesso ad esperienze estreme, nelle quali non si prospettino unicamente performance immateriali e simulative, ma anche processi di riterritorializzazione fisica. Perché tanti in pochi luoghi concentrazionari, grazie al dispiegamento di straordinarie strategie di sex-appeal inorganiche (non-luoghi o iperluoghi?), invece che molti luoghi per poche persone? È lo stesso fenomeno che succede con l'arte; essa si è disciolta, assorbita dall'estetica diffusa (dalla tecnica), nelle sue infinite forme rappresentative e comunicative. Ma, proprio per ciò, alcuni ritengono che sia anche il tempo (Post-Utopian Age!) di una possibile resistenza con l'arte, perché, in epoca di simulazione, ad essa, a cui per secoli è stato attribuito il compito di offrirci mondi fantastici e immaginari, viene paradossalmente richiesto di indicare, per la prima volta, delle ipotesi, se non dei principi, di realtà.



Mir Location

In questo momento la Current Mir Location indica 21,3 gradi di latitudine e 40,0 di longitudine ad un'altezza di 343 chilometri; nel tempo in cui s'è completata questa proposizione Mir è transitata sopra l'Etiopia, attraversato il Golfo Persico e si trova in corrispondenza di qualche paese dell'Asia centrale, a 32,7 gradi di latitudine, 52,1 di longitudine e a 349,0 chilometri d'altitudine. Quest'isola artificiale proietta nel cielo ciò che sta per avvenire, secondo previsioni "scientifiche" (fonte MIT), su Terra tra pochi decenni: un ecosistema totalmente high tech costituito da popolazioni di macchine che lentamente potranno prendere il sopravvento sull'uomo. Il numero di aprile 2000 di Wired, la più importante rivista di "filosofia della tecnica", intitola il suo monografico Future Doesn't Need Us, a seguito soprattutto dell'omonimo articolo di Bill Joy, che prospetta un futuro imprevisto: la scienza, come attività sperimentale di ricerca e di produzione è soppiantata da una tecnica o tecnoscienza - sempre più potente e incontrollabile: robotica, nanotecnologia e biogenetica stanno provocando la sparizione dell'uomo, in quanto specie biologica destinata a non sopravvivere allo scontro con un competitore superiore (la tesi vede consenzienti, tra i numerosi scienziati, soprattutto Hans Moravec e Ray Kurtzweil, il cui imminente libro The Age of Spiritual Machines apre l'ipotesi di una sorta di nuova metafisica del soft, dialetticamente contrapponibile a quella spirituale del pensiero religioso e mistico). Tra le migliaia di esperimenti condotti da vari equipaggi ospitati nella Mir, quello maggiormente rilevante è stato lo studio delle modificazioni umane in assenza di gravità: il viaggio da Mir a Marte va compiuto. Fuga, colonia o vacanza?



Mir. Art in Space

Aver a suo tempo compreso (in una mostra, tuttora in orbita internettiana, Mir. Art in Space) che la Mir non è tanto testimonianza della "rovina cosmica" della scienza e del "mito progressista della conquista delle stelle", di cui avrebbe recentemente parlato Paul Virilio, quanto soprattutto un luogo di grande significato simbolico e storico del passaggio dall'esistenza planetaria dell'uomo a quella extraplanetaria, permette di rivendicare alcune riflessioni originali. L'occasione si presta: Mir. Art in Space, ormai nello spazio, impone regole di attenzione (di puntamento) quando ripassa sopra le nostre teste. Le metafore nello spazio volano, dispiegandosi. Esiste, infatti, uno stile anche nell'assenza di peso! Un'estetica delle forme, nei razzi, nelle tute, nei corpi. E nei comportamenti... Mir. Art in Space "espone" l'evoluzione che il concetto di spazio, sia quello cosmico, sia quello concettuale, ha avuto nelle arti figurative e architettoniche e nelle estetiche della comunicazione e dell'informazione. Essa è, quindi, fondamentalmente una mostra sulla nuova architettura del pensiero rizomatico e virtuale, non a caso l'uscita probabile dall'orbita per un viaggio ancora più lontano essendo stata indicata dall'ultima opera in esposizione: l'ambiente musicale realizzato dall'artista americano Lewis De Soto, dedicato al cervello, sede come sappiamo - dell'intelligenza, artificialmente assistita. Le due dimensioni dell'espansione umana, la dimensione materiale del viaggio nel cosmo e quella immateriale del viaggio nelle reti informatiche s'intrecciano. L'uno è un viaggio nel mondo degli atomi, l'altro in quello dei bit. Il terzo viaggio, che tutti gli altri comprende e sussume, è nel mondo dei neuroni, dove atomi e informazioni si fondono. Numero di stelle e di neuroni. L'infinitamente grande, l'infinitamente piccolo. Queste due dimensioni possono essere invertite: l'"universo" potrebbe essere considerato come la proiezione più profonda delle capacità fantastiche e logiche della mente umana e questa come una delle forme, per quanto ne sappiamo, più perfezionate di evoluzione della materia, prima del robot nanotecnologico.



Trans-mir

L'esistenza di quest'isola artificiale sopra la nostra testa è come una specie di ammonimento rivolto al costruttore trilitico: attenzione, questa forma è in transito, sospesa, iper-ingegneria. Non ha più nulla di architettonico. In quest'ambiente è il corpo umano a rappresentare ancora l'architettura residuale; come afferma Virilio (il suo intervento nell'operazione "espositiva" della Trans-architecture, presentata da Marcos Novak a Rotterdam (1998, una "semplice" raccolta di video accanto a trasparenti acetati…) fu puntuale: Surfing the Accident! Vale a dire: la sopravvivenza, nell'epoca della mutazione, è data da un'abilità di galleggiamento sulle pieghe degli eventi, degli "accidenti" più o meno fortuiti. Dice Virilio (pur dal suo punto di vista giudaico-cristiano…): siamo sempre davanti alla morte (alla morte globale!); le società antiche mediavano questo rapporto mediante la religione, ma le attuali società estetiche non possono più permetterselo; dovremmo cominciare a considerare la morte come fanno i surfisti di fronte al pericolo: buttarvisi dentro, nel precipizio dell'onda o della montagna, approfittando dell'accidente, di ogni piega, per farsi sospingere più velocemente in avanti, scivolando via, in una danza sempre più accelerata e dinamica. In altre parole: precedendo la mutazione, affinché essa non ci trovi impreparati. Ma il soggetto ha ancora la possibilità, più che la capacità, di dominare gli accidenti? La questione è eminentemente sociale, un tempo avremmo detto politica. Di quale soggetto parliamo? Il concetto supera il confine occidentale? Altro che inerzia polare, intesa come assoluta inoperosità dell'uomo a causa del comfort tecnologico: qui si tratta di mettere a fuoco lo scontro che si delinea sempre più terribile tra la visione dall'alto e quella dal basso del livello medio, quello abitato (ancora) dall'uomo.



Mir-Age

L'architettura della mutazione è soprattutto trasformazione (traduzione + atomizzazione + logizzazione + metaforizzazione) e metamorfosi (dematerializzazione + simulazione). La somma si fa virtuale! Entriamo nell'altro mondo, transitiamo in realtà due. Il concetto di trans ci serve per indicare il passaggio mediante metafore, soprattutto in architettura, da una dimensione fisica ad una virtuale: ma è proprio sul virtuale che precipitano tutti i nostri luoghi comuni, dal momento che abbiamo bisogno di termini quotidiani (interno, esterno, spazio, tempo, presente, passato, futuro, prima, dopo, porta, finestra, scrivania, corridoio, legame, rete…) per indicare fenomeni che più nulla hanno in comune con esperienze di questa terra, di questo mondo. Prendiamo lo spazio. Nella virtualità lo spazio non esiste. Ci sono solo "oggetti"! O, per meglio dire, gli spazi virtuali non sono spazi veri, ma "collezioni di oggetti separati", tra i quali non esiste alcuna connessione reciproca; solo il ricorso alla proiezione prospettica illude che tali oggetti ineriscano nello stesso spazio. Anche un file VRML, che descrive una scena tridimensionale, non è che una lista di oggetti separati, che possono esistere ovunque nello spazio Web, ognuno di essi potenzialmente creato da differenti persone o da differenti programmi. E finché ogni utilizzatore può aggiungere o eliminare oggetti, nessuno potrà mai conoscere la struttura completa della scena. Ogni singolo oggetto appartiene ad un proprietario identificabile, ma lo spazio tra l'uno e l'altro è "aperto": il Web è stato paragonato all'American Wild West (Lev Manovich). La spazialità del Web, così come è configurato da VRML (esso stesso un prodotto californiano…), riflette precisamente la concezione dello spazio nella cultura americana: nessun interesse per gli spazi, tra le case di proprietà o tra gli edifici industriali o commerciali, non funzionalmente fruibili, che sono abbandonati a se stessi. L'universo VRML è costituito solo di oggetti che appartengono a differenti individui. La trans-architettura si scontra con questo miraggio spaziale: tra architettura e architettura non è possibile contemplare alcuno spazio possibile di esistenza. Essa è virtualmente condannata ad essere legata, peggio che nel mondo fisico, all'interno dell'oggetto. L'architettura virtuale, liberatasi dal cantiere e dall'abitare, obbliga ad un ambiente privo di spazio.



Mir-abili

Da Mir. Art in Space, che era stata pensata come una parte di una macchina più complessa, che comprendeva in progetto lo sviluppo di altre parti concettualmente connesse (tra cui la relazione tra arte e architettura, quella trans, ben s'intende…), si stacca ora abilmente un modulo predestinato a collocarsi su un'orbita estremamente eccentrica. Il modulo staccatosi costituisce un punto nevralgico della stazione madre, un luogo nodale in cui, paradossalmente, si deve ormai, in maniera più pertinente che da un osservatorio delle arti, parlare delle arti e della loro sparizione: da dentro l'architettura decostruita, vale a dire ridotta alla sua essenza virtuale dalla distruzione della percezione prospettica della visione. Questa la questione centrale attorno a cui ora ruota tutto il resto: il virtuale va definito. Come suggerisce Carlo Formenti, per affrontare questioni virtuali occorre forse prendere alcune distanze sia dal pensiero catastrofista e radicalmente "realista" di Virilio, sia da quello eccessivamente entusiastico di alcuni noti interpreti francesi (Pierre Lévy), americani o canadesi (come Derrick de Kerckhove), sia da quello ancor oggi nihilistico di Baudrillard, che dà come scontata la sterminazione del reale da parte della macchina spettacolare dei media. Mi permetto di delineare alcuni punti di quella che Formenti chiama l'altra faccia della realtà, rimasta parzialmente ignorata da Virilio, anche se nell'ultima (più recente) net-interview realizzata da John Armitage, richiamandosi alla strategie tecnologiche della decezione, oggetto di un suo libro, Virilio dichiara che difetto di tutti i nostri conversari sul futuro e sul presente è la mancanza di conoscenza, direi sociale, scolastica e individuale, direi "democratica" di una "cultura tecnologica". Per Virilio, alla fine, la questione è, infatti, ancora una volta "politica": dell'inefficienza della politica, incapace di intervenire progettualmente sulla tecnologia. Un dibattito, su questo tema limite, con il Galimberti di Psiche e techne (" i mass-media sono il mondo") e con il Severino del Destino della tecnica, s'impone ("il capitalismo, ormai consapevole delle sue responsabilità, che non sa tuttavia come risolvere, ha affidato alla tecnica il compito di salvare il mondo").



Mir-Hotel (a cinque stelle)

La partenza dello Shuttle per l'arcipelago ISS (l'ormai altrettanto celebre entità tele-visiva che è per l'appunto l'International Space Station, dotato di opportune web-cam in servizio continuo, che sta orbitando, esattamente in questo momento a -45.8 gradi di latitudine e 87.9 di longitudine a 399,4 chilometri d'altitudine) sta per avvenire di qui a qualche ora, esattamente il giorno 31 di ottobre, la notte di Halloween, portando un equipaggio di tre membri per una permanenza di quattro mesi. La stazione verrà progressivamente ampliata e resa funzionale a permanenze molto durature, che sempre più tenderanno a configurarsi come esperienze di abitazione permanente. Con Mir e ora con Iss, per la prima volta l'uomo abita permanentemente nella macchina. Altra architettura! È la stessa epoca che vede, parallelamente, la macchina cominciare ad abitare il corpo dell'uomo, incistandosi, sostituendosi all'organo, diventando chip di memoria sottocutanea, viaggiando come robotica entità nanotecnologica dentro le vene, le arterie… Altra biologia! L'agenzia internazionale MirCorp, una holding associata alla RSC Energia, la più vecchia agenzia spaziale russa (aveva presieduto al lancio del primo satellite artificiale Sputnik-1 e al primo volo umano nello spazio compiuto da Yuri Gagarin) sta in queste ore cercando di dissuadere il Presidente Putin a recedere dalla decisione, ormai ufficiale, di far discendere la stazione orbitale e farla affondare nell'oceano Atlantico nel febbraio del prossimo anno.

Un appello via Internet è stato lanciato da MirCorp con un certo successo, appellandosi al "profondo significato simbolico di quest'isola spaziale". In realtà l'agenzia di affari russa sta cercando di raccogliere almeno 117 milioni di dollari (circa 40 sono già stati reperiti) per portare a compimento il progetto di utilizzo di Mir come un luogo di vacanza, un hotel con tutti i comfort, riservandosi il diritto di vendita dei biglietti di volo per raggiungere la destinazione. James Cameron, il regista di Titanic, The Abyss, delle due edizioni di Terminator e di altri cult films, ha già prenotato un biglietto per questa dream-holiday, una vacanza di sogno, che la televisione americana NBC intende, come ufficialmente annunciato, seguire, realizzando un programma planetario con gioco a premi. Pubblicizzando la Mir, il ritorno è assicurato! La pubblicità si fa sempre più estesa, intrusiva, profondamente connaturata nella forma e persino nella sostanza stessa delle cose e degli eventi. Il suo confine è lo spazio interstellare (Virilio parla di guerre orbitali). Non solo perché veicolata dai satelliti, ma in quanto ingloba i satelliti stessi, i razzi e le stazioni orbitali all'interno della sua cultura persuasiva, ma sarebbe meglio dire dissuasiva, facendoli diventare supporti cosmici per i suoi messaggi. Un celebre missile della Nasa venne ricoperto con i caratteri del titolo del film Last Action Hero interpretato da Arnold Schwarzenegger, la Coca Cola, così come numerose altre merci, si sono presentate (autorappresentate) come oggetti normali, normalizzati e normalizzanti, appartenenti alla vita quotidiana all'interno della Mir.

Nella filosofia dell'accesso tutto si spettacolarizza, mettendosi in orbita. La colonizzazione non più solo planetaria, si universalizza. Ogni colonia, ancorché cosmica, sarà necessariamente preceduta dalla sua "avanguardia" pubblicitaria. L'estetica della comunicazione, d'altronde, ci istruisce sui tempi che sono per venire e ci prepara ad essi (Mario Costa). Non a caso MTV fissa una delle sue migliori immagini identificative, utilizzando l'icona sacra della prima bandiera americana sulla luna, per affermare la sua capacità di arma strategica, proiettando nel passato ciò che già appartiene a questo futuro compr(om)esso in un eterno presente.

[12dec00]
Ernesto Luciano Francalanci
elf@iuav.unive.it 









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